Un più deciso intervento militare in Libia potrebbe essere
efficace sulla costa ma destabilizzerà l’entroterra e provocherà il
collasso dell’intera regione. Per questo è importante che i vertici
militari non sottovalutino i rischi strategici connessi con una
probabile fuga degli estremismi islamici verso le infrastrutture
energetiche e gli acquedotti del sud, elementi essenziali per la
sopravvivenza della nazione.
Nonostante la ritirata da Sirte, il sedicente Stato Islamico – in
difficoltà anche in Siria e in Iraq – mantiene direttamente il controllo
di diverse province chiave: le coste libiche dai confini delle installazioni petrolifere
40 km ad ovest di Sirte fino ad Al Sidr, l’area di Tikah a sud di
Bengasi, la costa compresa fra Battah e la periferia di Derna. Ma
l’autoproclamatosi Califfato governa anche Sabratah e poi Ra’s Ajdir sul
confine tunisino. Nell’interno, tiene numerose roccaforti; la provincia
più vasta si trova nella zona di Bani Waled. A queste, si aggiungono
una miriade di altre aree, ciascuna sotto il controllo di una delle tante tribù e più o meno direttamente collegate al terrorismo islamista.
I bombardamenti americani sono risultati efficaci ed hanno permesso
alle truppe di terra fedeli al governo di accordo nazionale di Tripoli
di riconquistare quasi interamente Sirte, dove il califfato aveva
insediato i propri quartieri generali proprio nel complesso di
Ouagadougou, il centro di comando realizzato da Gheddafi.
Ma sembra sempre più difficile che il governo unificato di unità
nazionale riconosciuto dall’ONU possa – senza un deciso aiuto esterno –
unire la nazione e dispiegare un esercito in grado di eliminare la
minaccia posta da ISIS, da Ansar al-Sharia e dalle numerose tribù
estremiste. Al momento, si considera sostanzialmente inevitabile un più
ampio intervento militare sotto la guida dell’ONU e più o meno
ufficialmente richiesto dal governo in carica.
IL MOSAICO TRIBALE
Numerose milizie si sono stabilite in un mosaico di aree limitate
sostituendosi all’inesistente autorità statuale. Da cinque anni ciascuna
stringe coi propri vicini effimere alleanze alternate a sanguinosi
conflitti in funzione degli interessi dei capi del momento. Mentre il
monitoraggio NATO della regione settentrionale – dove si concentrano i
terminali petroliferi – permette di avere una chiara visione delle forze
in campo sulla costa, non è altrettanto chiara la situazione strategica
nelle aree lontane dal Mediterraneo e delle relazioni etniche,
religiose e politiche delle tribù che le controllano.
I gruppi terroristici sono concentrati sulla costa e insidiano le città, i porti e le infrastrutture petrolifere,
ma hanno ben compreso l’importanza strategica dell’interno e delle
vaste riserve di energia e di acqua vitali per la sopravvivenza
dell’intera regione.
Chi controlla il sud decide se a Tripoli ed a Bengasi si può
accendere la luce o aprire il rubinetto, se i lavoratori possono
ricevere la loro paga. Ma controlla anche le arterie del commercio, il
contrabbando di armi, il traffico di droga, militanti armati, ondate di
disperati pronti a rischiare la vita per raggiungere il Mediterraneo ed
attraversarlo.
LA SITUAZIONE MILITARE
Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti hanno già – in aria o sul
terreno – unità speciali con compiti di addestramento, monitoraggio e anche interventi limitati,
ma stanno valutando sempre più seriamente un intervento su scala
maggiore volto ad eliminare lo Stato Islamico e fermare le ondate di
profughi. Dopo le guerre nel Golfo, nessuna nazione è pronta a veder
rientrare aerei carichi di bare, ma non a tutti è chiaro che un
intervento straniero provocherebbe un avversione della popolazione
libica già provata dalle esperienze passate, ma anche una decisa
espansione di ISIS che si propone come difensore dell’Islam e del Paese
contro le orde dei colonialisti infedeli.
GEOGRAFIA E INFRASTRUTTURE
La Libia è formata da tre regioni principali: La Tripolitania a Nordovest, la Cirenaica a Est, il Fezzan nel Sudovest. Mentre gli insediamenti, gli interessi stranieri e i terminali energetici
si trovano lungo la costa, la maggior parte delle riserve di acqua e di
energia della Libia si trovano nel meridione, un’area di altipiani
rocciosi (hamadat) e mari di sabbia fine (ramlat), punteggiati di
piccole oasi ed occasionali laghetti. Le aree montuose includono il
Tadrart Acacsus vicino a Ghat nel Fezzan, le montagne Bikku Mitti lungo
la frontiera con il Ciad, e il Jabal Uwaynat nel sudest. La temperatura
media superiore ai 30 gradi e le tormente di sabbia hanno sempre tenuto
lontani gli eserciti stranieri. Inoltre, una rete di letti prosciugati
di antichi fiumi drena l’acqua prodotta dalle rare piogge e viene
comunemente impiegata per nascondere il movimento di truppe e convogli
di contrabbandieri.
Il Grande Fiume Artificiale dell’era di Gheddafi raccoglie le immense
riserve di acqua fossile intrappolate nell’acquifero di arenaria
nubiana che si nasconde sotto il deserto e, attraverso una rete di
acquedotti minori, alimenta le città e le aree agricole lungo il
Mediterraneo. E’ l’acquedotto più grande del mondo: si snoda per 4000
km portando 6 milioni di metri cubi di acqua al giorno da sud a nord
lungo due canali paralleli che partono dal Fezzan e da Kufra. Il 70%
della popolazione libica dipende da questa infrastruttura, e le
tubazioni interrate in calcestruzzo possono essere facilmente interrotte
in un qualsiasi punto del percorso.
Trascurando i pozzi petroliferi offshore (quelli Eni sono difesi dalle
forze dell’operazione Mare Sicuro della Marina Militare) ci sono cinque
grandi giacimenti di petrolio e gas: Ghadames/Berkine (nel deserto
della Tripolitania), Sirte (il più grande, sulla costa), Murzuq (nel
centro del Fezzan), la vasta piattaforma Cirenaïca e, infine, Kufra (nel
profondo sud della Cirenaica).
Le strade impiegate per collegare gli insediamenti del sud con la
costa uniscono fra loro le oasi che offrono acqua e punti di ristoro. Le
reti di acquedotti, oleodotti e gasdotti che attraversano il deserto
seguono gli stessi percorsi determinando l’importanza strategica delle
oasi, dei villaggi e dei valichi che attraversano.
LE TRIBÙ
Gli arabi insediati nelle regioni meridionali temono l’arrivo da
oltre confine di decine di migliaia di non arabi, come i Tubu e i
Tuareg. D’altra parte, questi ultimi si sentono minacciati dagli arabi. I
Tubu, indigeni dell’Africa centrale, provengono dal nordest del Niger,
dall’estremo meridione libico ma, soprattutto, dalla catena montuosa del
Tibesti nel Ciad settentrionale. I Tuareg sono un gruppo indigeno
berbero disperso in numerose confederazioni e sparso in buona parte
della regione del Sahel e del Sahara, dove mantengono il controllo dei
collegamenti attraverso il deserto. In Libia, i Tuareg sono insediati
principalmente nel sudovest e sono parte della confederazione Kel Ajjar
che si estende fino all’Algeria orientale.
LE AREE STRATEGICHE NELLA REGIONE MERIDIONALE
Durante l’impero Ottomano, il periodo coloniale
italiano, l’inaccessibile sud della Libia
costituì un rifugio sicuro per i gruppi tribali, politici e religiosi in
conflitto col regime del momento. Ora offre spazio operativo ai gruppi
estremisti cacciati dalle aree confinanti come il Mali settentrionale.
In previsione di un intervento militare per eliminare il califfato dalle
regioni costiere, i nodi nevralgici del sud libico prima descritti
possono costituire sia un rifugio per i terroristi sia un punto da cui
costruire nuove basi in grado di controllare indirettamente
l’infrastruttura energetica e la vita stessa delle città costiere.
Inoltre, il sud della Libia include circa 1000 km di permeabile
frontiera con l’Algeria ed altrettanti con il Ciad, oltre a circa 400 km
sia con il Sudan che con il Niger. La maggior parte delle tribù libiche
non ha tratto alcun vantaggio dallo sfruttamento dei giacimenti nelle
aree meridionali, ma basa il proprio “prodotto interno lordo” sul
contrabbando di uomini, armi e droghe. Da qui gli Jiihadisti possono
collegarsi agli altri gruppi terroristi nell’intero bacino del Sahel.
In conclusione, un intervento militare sulla costa può facilmente
scatenare le tribù del sud libico. Ma questo può portare alla
destabilizzazione dell’intera regione attraverso l’infiltrazione incontrollata di terroristi in
una zona caratterizzata dalla pericolosa combinazione di una rete di
istallazioni economiche vitali e dalla totale assenza di controllo
centrale. Un intervento straniero in una area storicamente ostile tanto
ai regimi stranieri quanto al governo centrale, può coalizzare questo
mosaico di tribù reciprocamente ostili e saldarle con l’estremismo
Jihadista portando il conflitto in una enorme regione dal quale
difficilmente potrà essere stanato.
Finché un governo di unità nazionale non potrà insediarsi ed essere
riconosciuto dalla maggior parte della popolazione e non potrà
dispiegare unità militari riconosciute al posto delle milizie locali,
l’infrastruttura dell’acqua e dell’energia dell’intera regione
rappresenterà un facile bersaglio – ed al contempo un punto di aggregazione – per i terroristi, i ribelli e le organizzazioni criminali di tutta l’Africa centrale.
Adattamento dall' originale: http://formiche.net/2016/08/14/ecco-cosa-mirano-terroristi-e-ribelli-libia/
Nessun commento:
Posta un commento