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venerdì 12 agosto 2016

Libia, Rete Disarmo: gli interventi militari non risolveranno situazione né batteranno terrorismo

03.08.2016 - Rete Italiana per il Disarmo
Libia, Rete Disarmo: gli interventi militari non risolveranno situazione né batteranno terrorismo
(Foto di Wikimedia Commons)
La Rete Italiana per il Disarmo chiede che l’Italia non conceda l’uso di basi e di spazio aereo per le operazioni militari in Libia. Già nel 2011 il miraggio di una soluzione armata dei problemi della regione.
Il terrorismo si può veramente battere solo potenziando i processi di partecipazione politica e dando supporto pieno alla società civile e ad una costruzione democratica “dal basso”.
Una conferenza internazionale con tutti i soggetti politici, sociali e civili della Libia nell’ottica di una strategia di costruzione della Pace “dal basso” che non contempli l’opzione militare. E’ quanto propone con forza la Rete Italiana per il Disarmo nelle ore in cui la scelta delle potenze mondiali è invece quella di fare alzare in volo aerei e droni e dare spazio alle bombe. Che, come dimostra la campagna militare del 2011 nella stessa martoriata Libia, non hanno mai portato vere soluzioni di Pace.

Secondo gli organismi di Rete Disarmo l’Italia dovrebbe agire con forza per cambiare la prospettiva delle scelte politiche non concedendo basi e spazio aereo per operazioni militari che, allo stato attuale, rischino di far precipitare il Paese africano in un conflitto civile ancor più duro e dalle prospettive allarmanti per tutta la regione. Il nostro Governo dovrebbe anche esplicitare la non disponibilità a sostenere anche indirettamente le operazioni militari internazionali in Libia per esempio attraverso l’invio di armi.
Desta poi particolare preoccupazione l’utilizzo della base siciliana di Sigonella come punto di partenza di droni statunitensi armati, secondo alcune notizie già coinvolti nei bombardamenti di queste ore, senza che siano chiari gli accordi con gli Stati Uniti sulla funzione di questi velivoli militari altamente problematici (ricordiamo le recenti ammissioni USA di uccisioni civili, oltre al caso di Giovanni Lo Porto) e senza che vi siano regole nazionali ed internazionali chiare e riconosciute sul loro uso.
La notizia di una nuova operazione militare internazionale contro il Daesh in Libia, con raid aerei statunitensi su Sirte, conferma quel che da tempo ormai era un sospetto di molti analisti: da mesi sul terreno libico si sta combattendo una guerra “clandestina”, anche con intervento di forze di Paesi NATO a fianco delle varie milizie che tentano di riprendere il controllo delle zone controllate dal Daesh. Lo testimonia in maniera chiara la notizia trapelata nei giorni scorsi dell’abbattimento di un elicottero francese con la morte di tre militari e lo confermano anche le recenti indiscrezioni a mezzo stampa secondo le quali forse speciali americane, inglesi ed anche italiane sarebbero sul campo da tempo in Libia.
Rete Italiana per il Disarmo esprime estrema preoccupazione per questa escalation e per la fretta con la quale il nostro Governo pare essersi allineato alle decisioni dell’Amministrazione Obama, abbandonando repentinamente la cautela espressa finora. Eppure la storia recentissima della Libia dimostra come attacchi militari, oltretutto condotti senza una chiara strategia politica di medio termine e mettendo principalmente in difficoltà la popolazione civile, hanno come effetto principale e rischioso da una parte la radicalizzazione ulteriore del conflitto, fornendo a Daesh occasione di nuovo proselitismo, e dall’altra di mietere numerose vittime civili.
Il terrorismo internazionale e le situazioni di instabilità locale, peraltro in buona misura provocate dalle errate scelte delle potenze della NATO, si può veramente battere solo potenziando i processi di partecipazione politica e dando supporto pieno alla società civile e ad una costruzione democratica “dal basso”.
In tal senso l’Italia dovrebbe farsi portavoce di un impegno attivo per la soluzione negoziale che – per essere efficace  e credibile –  presuppone una neutralità tra le parti in causa in Libia e la capacità di convocare tutti i soggetti politici e sociali in uno sforzo di mediazione e “peacebuilding” volto ad evitare la destabilizzazione della Libia ad opera delle forze “interne”.

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