FONTE: LIBREIDEE.ORG
Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare.
Pochi
giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni
consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo
modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori
finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere,
abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della
nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a
fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a
reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare. Il
pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager
di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente
alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma
costituzionale. Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai
suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo
di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.
La legge Boschi sistematizza processi di riduzione dei poteri e dei diritti popolari e del lavoro, di centralizzazione del potere,
iniziati negli anni ‘80 del secolo scorso con i governi di Bettino
Craxi. Non a caso è in quegli anni che si comincia a parlare di
governabilità e decisionismo. Allora si lanciò il progetto di una
“grande riforma” che superasse il sistema costituzionale uscito dalla
sconfitta del fascismo e rafforzasse il potere
di decidere del governo e del suo capo. Craxi accompagnò questo suo
disegno con il taglio per decreto legge del salario determinato dalla
scala mobile. Questo per chiarire quale fosse il segno sociale ed
economico del decisionismo rivendicato. Nel mondo della globalizzazione
dei mercati e della speculazione finanziaria dominante sarebbe stato
necessario un nuovo tipo di governo, più simile all’amministrazione di
una grande impresa che al governo democratico della società.
Contemporaneamente
allo smantellamento di quei lacci e lacciuoli, per usare la definizione
di Guido Carli, che limitavano mercato e potere d’impresa, negli anni ‘80 si diede il via alla piena affermazione del potere della finanza
sul bilancio pubblico. Nel 1982 venne decisa la separazione del Tesoro
dalla Banca d’Italia, per cui da quel momento l’amministrazione pubblica
per i suoi bisogni avrebbe dovuto indebitarsi con le banche e la finanza
internazionale a prezzi di mercato, invece che ricorrere alla Banca
d’Italia come nei decenni di crescita precedenti. Insomma negli anni 80
si misero in campo tutte le basi delle politiche liberiste contro il
lavoro e i diritti
sociali, poi sviluppatesi nei trenta anni successivi. Ora Renzi riprende
e porta a conclusione tutti i progetti di riforma autoritaria della democrazia
nati oltre trenta anni fa, contemporaneamente ed assieme
all’affermazione delle politiche economiche e sociali liberiste. Il suo
quindi non è un cambiamento, ma il compimento sul piano istituzionale
delle politiche che da trenta anni colpiscono il lavoro.
Roberto
Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere
accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere
e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima
parte, che non viene toccata. La Costituzione più bella del mondo
resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente. Ma come si può
sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione
in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta? Se in una automobile
conservo un po’ della carrozzeria esterna e cambio motore e parti
meccaniche io ho un’altra vettura e anche la carrozzeria ne risentirà,
sempre che non si vada a sbattere. La prima parte della Costituzione,
cioè i principi sul lavoro, sulla salute, sul rapporto pubblico privato,
sull’ambiente, da tempo viene devastata dalle normali leggi dei
governi. Forse che acquistare un operaio come un pacchetto di sigarette
dal tabaccaio, con i voucher, ha qualcosa a che vedere con il concetto
costituzionale di lavoro? E la distruzione dell’articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori e tutte le forme di precarietà previste per
legge, non espellono forse i diritti costituzionali dai luoghi di lavoro?
Di
Vittorio chiedeva di far entrare la Costituzione nelle fabbriche per
realizzarla davvero, oggi la si estromette dal rapporto di lavoro
ridotto a merce, per poi renderla vuota e inutile ovunque. E lo Sblocca
Italia, la Buona Scuola, i tagli alla sanità che costringono milioni di
poveri a non curarsi, quelli alle pensioni, le privatizzazioni non
devastano ogni principio della prima parte della Costituzione? E la guerra in violazione plateale dell’articolo 11? Da tempo la politica
quotidiana dei governi vìola i principi della prima parte della Carta,
la controriforma della sua seconda parte istituzionalizza e rende
permanente il pratico smantellamento della prima. La nostra non è una
Costituzione liberale che stabilisca semplicemente le regole del gioco
per l’accesso al potere
politico. Quello era lo Statuto Albertino, che permise venti anni di
dittatura fascista nel rispetto delle sue regole. La nostra è una
Costituzione democratica a forte caratterizzazione sociale, è una
costituzione sociale.
Voglio
ricordare quello che secondo me è l’articolo che meglio caratterizza il
senso e lo scopo della nostra Carta, l’articolo 3. All’inizio
quell’articolo afferma semplicemente il principio dell’eguaglianza
formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, fin qui siamo nel solco delle costituzioni liberali e
borghesi. Ma poi nel secondo comma cambia tutto, leggiamolo: “E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del paese”. Ecco, qui la nostra Costituzione
afferma che senza eguaglianza sociale non c’è davvero neppure quella
formale. Marchionne che guadagna 50 milioni di euro all’anno ed un
operaio Fiat che ne prende 25000 non sono eguali. L’uno ha infinitamente
più potere
dell’altro. Per questo il diritto del lavoro non è eguale a quello
commerciale, perché la compravendita della prestazione di lavoro non
avviene tra contraenti con pari forza contrattuale.
Il
diritto del lavoro parte dal presupposto che i rapporti di forza tra
impresa e lavoratore vadano riequilibrati a favore di quest’ultimo; ed è
proprio per questo che le riforme liberiste degli ultimi trenta anni
smantellano il diritto del lavoro e lo sostituiscono con il diritto
commerciale. Secondo la controriforma liberista il lavoro va trattato
come qualsiasi altra merce e non deve essere sostenuto da leggi e tutele
speciali, altrimenti verrebbero violate le sacre leggi del mercato.
L’articolo 3 riconosce la disparità sociale delle classi come limite
assoluto della democrazia
e affida alla Repubblica il compito di “rimuovere”, apprezziamo bene la
forza di questa parola, gli ostacoli economici all’eguaglianza. Chi
sono i soggetti a cui la Repubblica deve offrire la sua tutela
particolare, i cittadini svantaggiati genericamente intesi? No,sono
proprio i lavoratori perché evidentemente per la nostra Costituzione il
grado di libertà reale del paese si misura innanzitutto con quello del
lavoro. Una Costituzione classista? No, democratica nel senso ampio
assunto da questa parola dopo la sconfitta del fascismo.
Si
noti bene poi che il compito di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza
non è affidato al governo o al suo capo, ma alla Repubblica. Cioè al
governo, al Parlamento, alla magistratura, agli enti locali, a tutte le
istituzioni politiche che compongono la Repubblica, comprese le
organizzazioni che la Costituzione riconosce come fondamentali,
sindacati, partiti, libere associazioni. Tutto questo è la Repubblica,
che si dà il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la reale
eguaglianza. La repubblica prefigurata ed organizzata dalla
controriforma di Renzi è invece tutta un’altra cosa. Prima di tutto
nella Costituzione renziana c’è un uomo solo al comando. Il Parlamento è
composto di nominati, direttamente il Senato, indirettamente ma
egualmente la Camera. Che viene eletta con una legge elettorale che
concede il potere
assoluto alla migliore minoranza, che potrà decidere quello che vuole, o
meglio quello che vuole il suo capo, contro la maggioranza del paese
che non l’ha scelta per governare. Un colpo di Stato permanente, frutto
del golpe bianco che ha prodotto la stessa legge di riforma.
Non
dimentichiamo infatti che un Parlamento dichiarato incostituzionale
dalla Corte Costituzionale, con una maggioranza che rappresenta poco più
del 20% del paese reale, ha smontato un Costituzione votata nel 1947 da
oltre il 90% di una Assemblea eletta dal 90% dei cittadini. Il potere
autoritario che scaturisce dai 47 nuovi articoli della Costituzione
renziana distrugge l’autonomia di tutte le istituzioni della Repubblica,
dal parlamento, alla magistratura, agli enti locali. I sindaci
diventano impiegati del governo, visti i vincoli nazionali ed europei
cui sono sottoposti secondo il nuovo articolo 119. I sindacati, anche
per le complicità di Cgil, Cisl e Uil, vengono anch’essi soggiogati al
sistema di potere.
Che a sua volta deve obbedire a vincoli e ordini superiori, quelli
dettati dal vincolo europeo. In sintesi, la controriforma della
Costituzione è un tavolo a tre gambe. Quella centrale, su cui siamo
chiamati ad esprimerci con il referendum, organizza il sistema di potere attorno al capo. Un’altra gamba è l’Italicum, la legge elettorale truffa che determina chi sarà il capo.
La
terza gamba è il nuovo articolo 81, che impone anche al capo un vincolo
superiore: quello del Fiscal Compact europeo, il pareggio di bilancio
obbligatorio costituzionalmente. Una repubblica autoritaria a sovranità
limitata, questo è ciò che sta sul tavolo della controriforma
costituzionale. Altro che rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà
e la partecipazione dei lavoratori, la nuova repubblica si dà un altro
mandato, quello di rimuovere gli ostacoli alla libertà d’impresa. Nel
nome del mercato e della austerità europea, il capo supremo deve fare sì
che la repubblica sia sempre più appetibile per gli investimenti della finanza
e delle multinazionali, che devono essere attirati come dice la
propaganda liberista dominante. È la repubblica del Ttip, il trattato
internazionale che vorrebbe concedere il diritto alla
extraterritorialità giudiziaria alle multinazionali, prima di tutto sui diritti del lavoro e sulla tutela della salute e dell’ambiente.
Le fonti ispiratrici di questa Costituzione di mercato sono chiaramente rintracciabili nei centri del potere
finanziario europeo e multinazionale. Basta rileggersi la lettera del 5
agosto 2011, indirizzata al governo italiano da Draghi e Trichet, cioè
dalla Banca Centrale Europea. Quel testo definiva un preciso programma
di governo e di riforma costituzionale, realizzati poi in gran parte
dagli esecutivi che si sono succeduti da allora alla guida del paese. E
poi bisogna ricordare il documento del 28 maggio 2013 stilato dalla
Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza
speculativa mondiale. Quella banca allora scrisse in un suo documento
che le riforme liberiste nei paesi europei periferici, Italia, Spagna,
Grecia, Portogallo, non si erano potute realizzare pienamente a causa
degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali. Quelle
Costituzioni, ricordava sempre la banca, figlie della sconfitta del
fascismo e della parte rilevante avuta in essa dalle forze di sinistra
socialiste e comuniste.
Per questa ragione storica le Costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro, danno troppo potere alle opposizioni così come alle regioni e ai comuni, garantiscono i sindacati e in definitiva danno potere di veto a chiunque scenda in piazza per difendere i propri interessi. Le riforme liberiste della economia
e della società non avrebbero mai potuto dispiegarsi con tutta la loro
efficacia senza cambiare quelle costituzioni, concludeva infine la
banca. Non può esservi dubbio che la legge Boschi corrisponda
meticolosamente agli indirizzi di riforma costituzionale rivendicati
dalla Banca Morgan e che la sua messa in opera cancellerebbe la sostanza
della Costituzione antifascista. Bisogna votare No alla controriforma,
affinché l’Italia sia ancora una repubblica democratica fondata sul
lavoro e non sulle banche.
(Giorgio
Cremaschi, “Il referendum costituzionale è popolo contro banche”, da
“Micromega” del 31 luglio 2016).Il pronunciamento di Soros, che segue
quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri
italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello
scontro sulla controriforma costituzionale. Cioè al fatto che,
contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma
di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della
Costituzione del 1948.
La legge Boschi sistematizza processi di riduzione dei poteri e dei diritti popolari e del lavoro, di centralizzazione del potere,
iniziati negli anni ‘80 del secolo scorso con i governi di Bettino
Craxi. Non a caso è in quegli anni che si comincia a parlare di
governabilità e decisionismo. Allora si lanciò il progetto di una
“grande riforma” che superasse il sistema costituzionale uscito dalla
sconfitta del fascismo e rafforzasse il potere
di decidere del governo e del suo capo. Craxi accompagnò questo suo
disegno con il taglio per decreto legge del salario determinato dalla
scala mobile. Questo per chiarire quale fosse il segno sociale ed
economico del decisionismo rivendicato. Nel mondo della globalizzazione
dei mercati e della speculazione finanziaria dominante sarebbe stato
necessario un nuovo tipo di governo, più simile all’amministrazione di
una grande impresa che al governo democratico della società.Contemporaneamente allo smantellamento di quei lacci e lacciuoli, per usare la definizione di Guido Carli, che limitavano mercato e potere d’impresa, negli anni ‘80 si diede il via alla piena affermazione del potere della finanza sul bilancio pubblico. Nel 1982 venne decisa la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, per cui da quel momento l’amministrazione pubblica per i suoi bisogni avrebbe dovuto indebitarsi con le banche e la finanza internazionale a prezzi di mercato, invece che ricorrere alla Banca d’Italia come nei decenni di crescita precedenti. Insomma negli anni 80 si misero in campo tutte le basi delle politiche liberiste contro il lavoro e i diritti sociali, poi sviluppatesi nei trenta anni successivi. Ora Renzi riprende e porta a conclusione tutti i progetti di riforma autoritaria della democrazia nati oltre trenta anni fa, contemporaneamente ed assieme all’affermazione delle politiche economiche e sociali liberiste. Il suo quindi non è un cambiamento, ma il compimento sul piano istituzionale delle politiche che da trenta anni colpiscono il lavoro.
Roberto Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima parte, che non viene toccata. La Costituzione più bella del mondo resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente. Ma come si può sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta? Se in una automobile conservo un po’ della carrozzeria esterna e cambio motore e parti meccaniche io ho un’altra vettura e anche la carrozzeria ne risentirà, sempre che non si vada a sbattere. La prima parte della Costituzione, cioè i principi sul lavoro, sulla salute, sul rapporto pubblico privato, sull’ambiente, da tempo viene devastata dalle normali leggi dei governi. Forse che acquistare un operaio come un pacchetto di sigarette dal tabaccaio, con i voucher, ha qualcosa a che vedere con il concetto costituzionale di lavoro? E la distruzione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e tutte le forme di precarietà previste per legge, non espellono forse i diritti costituzionali dai luoghi di lavoro?
Di Vittorio chiedeva di far entrare la Costituzione nelle fabbriche per realizzarla davvero, oggi la si estromette dal rapporto di lavoro ridotto a merce, per poi renderla vuota e inutile ovunque. E lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, i tagli alla sanità che costringono milioni di poveri a non curarsi, quelli alle pensioni, le privatizzazioni non devastano ogni principio della prima parte della Costituzione? E la guerra in violazione plateale dell’articolo 11? Da tempo la politica quotidiana dei governi vìola i principi della prima parte della Carta, la controriforma della sua seconda parte istituzionalizza e rende permanente il pratico smantellamento della prima. La nostra non è una Costituzione liberale che stabilisca semplicemente le regole del gioco per l’accesso al potere politico. Quello era lo Statuto Albertino, che permise venti anni di dittatura fascista nel rispetto delle sue regole. La nostra è una Costituzione democratica a forte caratterizzazione sociale, è una costituzione sociale.
Voglio ricordare quello che secondo me è l’articolo che meglio caratterizza il senso e lo scopo della nostra Carta, l’articolo 3. All’inizio quell’articolo afferma semplicemente il principio dell’eguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, fin qui siamo nel solco delle costituzioni liberali e borghesi. Ma poi nel secondo comma cambia tutto, leggiamolo: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Ecco, qui la nostra Costituzione afferma che senza eguaglianza sociale non c’è davvero neppure quella formale. Marchionne che guadagna 50 milioni di euro all’anno ed un operaio Fiat che ne prende 25000 non sono eguali. L’uno ha infinitamente più potere dell’altro. Per questo il diritto del lavoro non è eguale a quello commerciale, perché la compravendita della prestazione di lavoro non avviene tra contraenti con pari forza contrattuale.
Il diritto del lavoro parte dal presupposto che i rapporti di forza tra impresa e lavoratore vadano riequilibrati a favore di quest’ultimo; ed è proprio per questo che le riforme liberiste degli ultimi trenta anni smantellano il diritto del lavoro e lo sostituiscono con il diritto commerciale. Secondo la controriforma liberista il lavoro va trattato come qualsiasi altra merce e non deve essere sostenuto da leggi e tutele speciali, altrimenti verrebbero violate le sacre leggi del mercato. L’articolo 3 riconosce la disparità sociale delle classi come limite assoluto della democrazia e affida alla Repubblica il compito di “rimuovere”, apprezziamo bene la forza di questa parola, gli ostacoli economici all’eguaglianza. Chi sono i soggetti a cui la Repubblica deve offrire la sua tutela particolare, i cittadini svantaggiati genericamente intesi? No,sono proprio i lavoratori perché evidentemente per la nostra Costituzione il grado di libertà reale del paese si misura innanzitutto con quello del lavoro. Una Costituzione classista? No, democratica nel senso ampio assunto da questa parola dopo la sconfitta del fascismo.
Si noti bene poi che il compito di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza non è affidato al governo o al suo capo, ma alla Repubblica. Cioè al governo, al Parlamento, alla magistratura, agli enti locali, a tutte le istituzioni politiche che compongono la Repubblica, comprese le organizzazioni che la Costituzione riconosce come fondamentali, sindacati, partiti, libere associazioni. Tutto questo è la Repubblica, che si dà il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la reale eguaglianza. La repubblica prefigurata ed organizzata dalla controriforma di Renzi è invece tutta un’altra cosa. Prima di tutto nella Costituzione renziana c’è un uomo solo al comando. Il Parlamento è composto di nominati, direttamente il Senato, indirettamente ma egualmente la Camera. Che viene eletta con una legge elettorale che concede il potere assoluto alla migliore minoranza, che potrà decidere quello che vuole, o meglio quello che vuole il suo capo, contro la maggioranza del paese che non l’ha scelta per governare. Un colpo di Stato permanente, frutto del golpe bianco che ha prodotto la stessa legge di riforma.
Non dimentichiamo infatti che un Parlamento dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con una maggioranza che rappresenta poco più del 20% del paese reale, ha smontato un Costituzione votata nel 1947 da oltre il 90% di una Assemblea eletta dal 90% dei cittadini. Il potere autoritario che scaturisce dai 47 nuovi articoli della Costituzione renziana distrugge l’autonomia di tutte le istituzioni della Repubblica, dal parlamento, alla magistratura, agli enti locali. I sindaci diventano impiegati del governo, visti i vincoli nazionali ed europei cui sono sottoposti secondo il nuovo articolo 119. I sindacati, anche per le complicità di Cgil, Cisl e Uil, vengono anch’essi soggiogati al sistema di potere. Che a sua volta deve obbedire a vincoli e ordini superiori, quelli dettati dal vincolo europeo. In sintesi, la controriforma della Costituzione è un tavolo a tre gambe. Quella centrale, su cui siamo chiamati ad esprimerci con il referendum, organizza il sistema di potere attorno al capo. Un’altra gamba è l’Italicum, la legge elettorale truffa che determina chi sarà il capo.
La terza gamba è il nuovo articolo 81, che impone anche al capo un vincolo superiore: quello del Fiscal Compact europeo, il pareggio di bilancio obbligatorio costituzionalmente. Una repubblica autoritaria a sovranità limitata, questo è ciò che sta sul tavolo della controriforma costituzionale. Altro che rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e la partecipazione dei lavoratori, la nuova repubblica si dà un altro mandato, quello di rimuovere gli ostacoli alla libertà d’impresa. Nel nome del mercato e della austerità europea, il capo supremo deve fare sì che la repubblica sia sempre più appetibile per gli investimenti della finanza e delle multinazionali, che devono essere attirati come dice la propaganda liberista dominante. È la repubblica del Ttip, il trattato internazionale che vorrebbe concedere il diritto alla extraterritorialità giudiziaria alle multinazionali, prima di tutto sui diritti del lavoro e sulla tutela della salute e dell’ambiente.
Le fonti ispiratrici di questa Costituzione di mercato sono chiaramente rintracciabili nei centri del potere finanziario europeo e multinazionale. Basta rileggersi la lettera del 5 agosto 2011, indirizzata al governo italiano da Draghi e Trichet, cioè dalla Banca Centrale Europea. Quel testo definiva un preciso programma di governo e di riforma costituzionale, realizzati poi in gran parte dagli esecutivi che si sono succeduti da allora alla guida del paese. E poi bisogna ricordare il documento del 28 maggio 2013 stilato dalla Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale. Quella banca allora scrisse in un suo documento che le riforme liberiste nei paesi europei periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali. Quelle Costituzioni, ricordava sempre la banca, figlie della sconfitta del fascismo e della parte rilevante avuta in essa dalle forze di sinistra socialiste e comuniste.
Per questa ragione storica le Costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro, danno troppo potere alle opposizioni così come alle regioni e ai comuni, garantiscono i sindacati e in definitiva danno potere di veto a chiunque scenda in piazza per difendere i propri interessi. Le riforme liberiste della economia e della società non avrebbero mai potuto dispiegarsi con tutta la loro efficacia senza cambiare quelle costituzioni, concludeva infine la banca. Non può esservi dubbio che la legge Boschi corrisponda meticolosamente agli indirizzi di riforma costituzionale rivendicati dalla Banca Morgan e che la sua messa in opera cancellerebbe la sostanza della Costituzione antifascista. Bisogna votare No alla controriforma, affinché l’Italia sia ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulle banche.
(Giorgio Cremaschi, “Il referendum costituzionale è popolo contro banche”, da “Micromega” del 31 luglio 2016).
Fonte: www.libreidee.org
Link: http://www.libreidee.org/2016/08/soros-con-renzi-si-al-referendum-cioe-al-diktat-della-bce/
18.08.2016
Preso da: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16785
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