In ogni famiglia, in ogni
quartiere di Misurata ci sono "martiri". Gli uomini di quella città
costituiscono il 70 dell'esercito libico. Molti sono giovanissimi. Sono
partiti per combattere "quei pazzi criminali dell'Is" e poi "tornare a
studiare"
dal nostro inviato VINCENZO NIGRO
MISURATA - Check-point di Sdada, 80 chilometri da Misurata sulla strada verso Sirte. Il 9 maggio di quest'anno le truppe del Califfato libico erano arrivate fino a qui. Un camion-bomba blindato, di quelli che i miliziani di Misurata non potevano bloccare in alcun modo, avanzò con una mitragliatrice sul tetto che sparava all'impazzata. Il camionista-kamikaze si fece esplodere, facendo una carneficina. Altri giovani soldati di Misurata, altri figli della "città-martire" di Gheddafi sacrificati in questa guerra di Libia che sembra non interrompersi mai. In quel momento il Daesh riusciva a controllare quasi 300 chilometri di costa, a Est verso Bengasi e a Ovest, appunto, verso Misurata. Il punto massimo della sua espansione in Libia. Quella sortita serviva a dare un avvertimento a Misurata, come a dire "state lontani, non vi avvicinate a noi, vi ammazziamo tutti perché noi siamo pronti a morire per il Califfato". Eppure, per i terroristi fu un clamoroso autogol: l'inizio della fine dell'Is in Libia, almeno nel modo in cui lo abbiamo conosciuto negli ultimi due anni.
Per tre giorni a Misurata fu il panico, la gente iniziò a lasciare la città, chi non poteva accumulò scorte nelle case, evitò di uscire per non incrociare le autobombe che i miliziani dell'Is, attraverso i loro proclami, avevano promesso di fare arrivare in città. Poi il consiglio degli anziani si riunì con il consiglio comunale, con i capi militari, con i deputati eletti al parlamento di Tripoli e quelli del parlamento di Tobruk. C'erano Ahmed Maitig, il primo vice-premier nel governo Serraj, il potente uomo d'affari che è anche l'uomo più solido dell'esecutivo libico sostenuto dall'Onu. E Fathi Bishaga, commerciante del settore auto (maggiore importatore di pneumatici in Libia) che è deputato e national security counselor. Insieme a tutti gli altri decisero di chiamare alle armi ancora una volta i giovani, gli uomini, ma anche gli anziani di Misurata. Tutti dovevano tornare a impegnarsi, pronti a dare la vita per la città.
Sirte, check point di Sdada: il punto più avanzato dove è arrivato l'Is
"Misurata è una città di commercianti,
aperta al mondo", dice il fotoreporter brasiliano André Liohn, da anni
al lavoro sui fronti della guerra in Libia e che ha realizzato i
ritratti di questo servizio, raccogliendo le testimonianze dei soldati
di Misurata. Ma in ogni famiglia, in ogni quartiere, in ogni luogo di
lavoro di questa città "aperta al mondo" ci sono "martiri", combattenti
che hanno perso la vita. Più di 5.000 difendendo la città nel 2011
dall'assalto dell'esercito di Gheddafi.( IN REALTà QUESTI "EROI" DI MISURATA, NON SONO ALTRO CHE MERCENARI VENUTI IN LIBIA DALL' ESTERO). E adesso contro il Daesh: i
morti sono già 350, i feriti 3.000. Al fronte i misuratini rappresentano
il 70 per cento dei soldati, il nucleo duro dell'esercito libico. Ma
hanno voluto allargarsi anche alle altre città di Libia, per necessità e
anche per fare di questa contro il Daesh una guerra di liberazione
"nazionale".
Molti di questi miliziani sono giovani, giovanissimi. Come Wajid, 17 anni, al fronte per la prima volta: lavora nel piccolo ospedale da campo che è stato allestito proprio alle spalle della rotonda Safran, dove l'Is giustiziava e impiccava gli sventurati cittadini di Sirte. Oppure Ismail Salah, che ha 20 anni, ma combatte da quando ne aveva appena 16. Studenti, soprattutto, che hanno appena finito le superiori o stanno iniziando l'università. "Combattiamo fino alla cacciata dell'Is dalla nostra Libia e poi torniamo a studiare", ripetono Mohamed, che vuol diventare avvocato, e Osama, che ha preso un fucile mitragliatore in mano per la prima volta pochi mesi fa e ora confessa la sua "paura di morire". Anche lui, come Ahmed, Nail, Wajid e tanti altri ancora, partiti da Misurata "per liberarci da quei pazzi criminali dell'Is". Da quelli che avevano minacciato e messo in allarme una città intera con quel camion bomba lanciato a maggio contro il check-point. E che ora sono stati cacciati dalla quasi totalità dei quartieri di Sirte. "Non sono veri musulmani quelli, distorcono gli insegnamenti del Profeta e uccidono altri musulmani", spiegano i ragazzi di questo strano esercito. Tra l'ospedale da campo e la linea del fronte. Lungo le strade polverose e nelle stazioni di servizio dove sostano blindati e pick up. Molti di questi ragazzi hanno già combattuto nel 2011 contro Gheddafi, altri sono alla loro "prima volta" in guerra.
Ma non c'è solo Misurata qui. Ci sono miliziani che arrivano dalle città del Sud, come Hun: il 28enne Massoud, per esempio che abbiamo incontrato due giorni fa all'interno del compound dello Ouagadougou Center. Aveva combattuto lì con i suoi compagni il giorno prima ed era tornato lì "per capire cosa abbiamo fatto davvero, come abbiamo fatto a vincere contro quei pazzi suicidi dell'Is". Davanti ai suoi occhi c'erano i resti dell'ultima autobomba che i miliziani del Califfato avevano provato a lanciare per aprirsi una via di fuga grazie agli effetti dell'esplosione. In terra c'era ancora il corpo carbonizzato di un terrorista africano, riconosciuto per la pelle scura rimasta visibile dopo che gli avevano tolto le scarpe. "Ecco io ho combattuto contro questi che usano l'Islam per uccidere, per fare schiavi, per usare violenza", diceva Massoud, "l'Islam è pace, ma contro questi rinnegati e per la nostra libertà noi siamo pronti a combattere. E anche a morire, se necessario".
I giovani di Misurata erano stanchi di guerra. Ma sono dovuti tornare a combattere: lo hanno fatto quasi da soli, in una guerra fra le tante che forse ancora non abbiamo capito fino in fondo.
Molti di questi miliziani sono giovani, giovanissimi. Come Wajid, 17 anni, al fronte per la prima volta: lavora nel piccolo ospedale da campo che è stato allestito proprio alle spalle della rotonda Safran, dove l'Is giustiziava e impiccava gli sventurati cittadini di Sirte. Oppure Ismail Salah, che ha 20 anni, ma combatte da quando ne aveva appena 16. Studenti, soprattutto, che hanno appena finito le superiori o stanno iniziando l'università. "Combattiamo fino alla cacciata dell'Is dalla nostra Libia e poi torniamo a studiare", ripetono Mohamed, che vuol diventare avvocato, e Osama, che ha preso un fucile mitragliatore in mano per la prima volta pochi mesi fa e ora confessa la sua "paura di morire". Anche lui, come Ahmed, Nail, Wajid e tanti altri ancora, partiti da Misurata "per liberarci da quei pazzi criminali dell'Is". Da quelli che avevano minacciato e messo in allarme una città intera con quel camion bomba lanciato a maggio contro il check-point. E che ora sono stati cacciati dalla quasi totalità dei quartieri di Sirte. "Non sono veri musulmani quelli, distorcono gli insegnamenti del Profeta e uccidono altri musulmani", spiegano i ragazzi di questo strano esercito. Tra l'ospedale da campo e la linea del fronte. Lungo le strade polverose e nelle stazioni di servizio dove sostano blindati e pick up. Molti di questi ragazzi hanno già combattuto nel 2011 contro Gheddafi, altri sono alla loro "prima volta" in guerra.
Ma non c'è solo Misurata qui. Ci sono miliziani che arrivano dalle città del Sud, come Hun: il 28enne Massoud, per esempio che abbiamo incontrato due giorni fa all'interno del compound dello Ouagadougou Center. Aveva combattuto lì con i suoi compagni il giorno prima ed era tornato lì "per capire cosa abbiamo fatto davvero, come abbiamo fatto a vincere contro quei pazzi suicidi dell'Is". Davanti ai suoi occhi c'erano i resti dell'ultima autobomba che i miliziani del Califfato avevano provato a lanciare per aprirsi una via di fuga grazie agli effetti dell'esplosione. In terra c'era ancora il corpo carbonizzato di un terrorista africano, riconosciuto per la pelle scura rimasta visibile dopo che gli avevano tolto le scarpe. "Ecco io ho combattuto contro questi che usano l'Islam per uccidere, per fare schiavi, per usare violenza", diceva Massoud, "l'Islam è pace, ma contro questi rinnegati e per la nostra libertà noi siamo pronti a combattere. E anche a morire, se necessario".
I giovani di Misurata erano stanchi di guerra. Ma sono dovuti tornare a combattere: lo hanno fatto quasi da soli, in una guerra fra le tante che forse ancora non abbiamo capito fino in fondo.
adattamento dall' originale: http://www.repubblica.it/esteri/2016/08/15/news/libia_miliziani_misurata-146000528/
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