4 agosto 2016, Fulvio Scaglione
D’accordo che siamo d’estate ma le barzellette sull’Isis non fanno più ridere. L’ultima è
questa: c’è un servizio segreto dell’Isis che gira per l’Europa
arruolando tutti i mattocchi che trova per trasformarli in lupi
solitari. Quello di Nizza, che entrava e usciva dagli ospedali
psichiatrici. Quello di Monaco di Baviera, che curava le crisi
depressive con i videogame ammazza-tutti. Quello di Londra, che ha
ammazzato una donna subito dopo essere uscito dall’ospedale dove
cercavano invano di rimettergli in sesto il cervello.
Il meno che si può dire è che questo “servizio segreto” dell’Isis
funziona assai meglio dei nostri sistemi di welfare: li trova tutti, i
disadattati, li convince, li organizza, li indirizza verso il bersaglio.
E senza farsi notare, mai. Perché, com’è noto, nei Paesi europei non ci
sono polizie né servizi segreti, e tantomeno agenti infiltrati nelle
comunità islamiche più a rischio di radicalizzazione. Nessuno, nelle
nostre intelligence, sa chi siano i predicatori più fanatici né chi
incontrino. Nessuno spia le comunicazioni né il web, anche se solo poco
tempo fa abbiamo scoperto che i servizi americani origliavano il
cellulare di Hollande e della Merkel.
Questa è la barzelletta dei ciecamente atlantisti. La grande congiura
serve a spiegare perché siamo arrivati a questo punto, cosa che non era
affatto obbligatoria. E si collega perfettamente all’altra grande
storiella, quella che raccontano i biecamente atlantisti. I quali ora ci
dicono che, proprio per sventare la grande congiura in Europa della
Spectre islamista, bisogna colpire l’Isis a casa sua, a Raqqa, nelle roccaforti che ancora resistono in Siria e in Iraq. Bravi, sette più.
Sono anni che personaggi di tutto il Medio Oriente lo ripetono, anni
che i cristiani della regione lo invocano. E non è mai successo niente.
Due anni e un pezzo di finta guerra con finti bombardamenti. Una
coalizione di 70 Paesi guidata da Usa e Arabia Saudita
che non sa più che scusa trovare per non colpire colonne di miliziani
che attraversano il deserto. Mentre a suo tempo fu possibile far fuori
la Jugoslavia di Slobodan Milosevic e l’Iraq di Saddam
Hussein in poche settimane, pestando duro sulle città e persino sui
treni, senza farsi tanti problemi per le vittime civili. Mentre ogni
sforzo, dall’addestramento di mercenari alla pressione politica
internazionale, è stato diretto per indebolire l’unico argine che
l’Isis, nella sua vocazione al massacro, abbia trovato sulla propria
strada: l’esercito di Assad e l’alleanza Russia-Iran-Hezbollah.
Onestamente sale il sangue agli occhi quando a scrivere certe cose
sono personaggi illustri che hanno grande dimestichezza con la Nato.
L’unica cosa che abbia fatto la Nato, nella crisi gestita dall’Isis ma
organizzata e finanziata dai Paesi del Golfo Persico con la benevolenza
degli Usa e della Turchia, è stata correre a proteggere Recep Erdogan quand’è venuto alle mani con la Russia. E il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg,
specificò che si trattava di proteggere il confine della Turchia con la
Siria, proprio quello attraverso cui in questi anni sono filtrati in
Siria e in Iraq, ad ammazzare migliaia di persone per conto dell’Isis e
dei suoi burattinai, quasi 60 mila foreign fighters. Per non parlare di
tutti gli altri traffici. In altre parole, la Nato correva a proteggere
uno dei principali canali di arruolamento e rifornimento del terrorismo
islamico.
E adesso ci dicono che bisogna colpire Raqqa, colpire il cuore
dell’Isis. A fare i complottisti verrebbe da pensare che i nuovi
equilibrii strategici generati dal vero-finto golpe in Turchia (per
esempio, il riavvicinamento tra Ankara e Mosca) abbiano convinto
qualcuno che è ora di darsi una mossa, prima che certi legami si
rinsaldino e magari Trump diventi presidente.
Ma stiamo alla realtà. E la realtà è che, imperterriti, replichiamo
le stesse commedie, vendendole alla gente come “lotta all’Isis”, “guerra
al terrore”. Per anni la gente del Medio Oriente ci ha chiesto di
smetterla con i bombardamenti scenografici e di cominciare a combattere
davvero gli stragisti islamici. Perché, ci spiegava la gente di là, che
conosce bene i luoghi e i problemi, non c’è altro modo per risolvere il
problema. Abbiamo fatto finta di niente. E adesso che succede? Altro
bombardamenti scenografici sulla Libia, mentre i generali (per esempio,
Marco Bertolini, ex comandante delle missioni italiane all’estero)
avvertono che “i raid aerei da soli non possono essere sufficienti.
Occorre poi una ricaduta sul terreno, occorrono truppe che facciano la
guerra sul serio”.
Il buon vecchio Marx, riprendendo Hegel, diceva che i grandi eventi
della storia si presentano sempre due volte, “la prima come tragedia, la
seconda come farsa”. Ma qui siamo ben oltre la seconda volta ed è più
che venuto il momento di chiedersi: stiamo davvero cercando di eliminare
il terrorismo islamico? Oppure quanto avviene in Europa, tra attentati,
lupi solitari e mattocchi in cerca di un palcoscenico, è il prezzo che
alcuni sono disposti a (farci) pagare nell’illusione di sfruttare
l’islamismo per governare certe parti del mondo?
Preso da: http://www.occhidellaguerra.it/se-la-guerra-allisis-e-una-barzelletta/
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