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giovedì 21 febbraio 2019

Libia, perché con Haftar la Francia minaccia l'Eni

Nel Sud si combatte vicino a un grande giacimento. Come nel 2018 sulla "costa del petrolio", a Est. L'uomo forte della Cirenaica è spinto da Macron e Putin. E può intaccare gli interessi italiani.

Barbara Ciolli



È esattamente lo stesso copione di quando, tra il giugno e il luglio del 2018, lungo la costa si era scatenata la guerra per le condutture e le raffinerie del cosiddetto crescente petrolifero della Libia, tra Bengasi e Sirte. Contesi dalla caduta del regime nel 2011, i terminal portuali e le pipeline di Brega, Sidra e Ras Lanuf erano finiti nelle mani di gruppi islamisti che rivendevano carichi di greggio di contrabbando. Diventati bersaglio dell'Isis, erano stati infine «liberati dai terroristi» dalle milizie che Haftar chiama Esercito nazionale libico (Lna). Dal crescente petrolifero passa oltre il 50% dell'export di greggio libico, circa il 70% delle riserve di idrocarburi (petrolio e gas) dell'ex colonia italiana, in larga parte inestratte, si trovano in Cirenaica. Il giacimento più grande dell'Ovest è invece ad al Sharara, 800 chilometri a Sud di Tripoli, in origine un pozzo libico destinato all'uso e consumo interno.


LA CACCIA AL GAS E AL PETROLIO ALL'EST

Per capire quante porzioni di petrolio si sta congelando la Francia in Libia occorre partire da questa fotografia. Per le turbolenze esplose dopo la morte di Gheddafi, nell'Est i complessi petrolchimici di Ras Lanuf e di Sidra (i maggiori della Libia) sono rimasti bloccati o hanno lavorato a singhiozzo, pur con una capacità di produzione di circa 650 mila barili al giorno, quasi due terzi del totale. Nel 2011 le rivolte dilagarono proprio dalla Cirenaica e non a caso il primo scacco dei ribelli a Gheddafi fu impossessarsi – con lo schermo dei caccia francesi e inglesi – dei porti del crescente petrolifero. La sicurezza si deteriorò sempre di più, a causa della radicalizzazione delle milizie islamiste, e nel 2013 Eni fu costretta a chiudere lo storico e grande campo di estrazione di Abu Attifel, nel Sahara orientale, dove aveva iniziato le prime attività negli Anni 60. Campo poi tornato operativo, almeno dal 2017, mentre Haftar da Bengasi si è accaparrato gli impianti costieri per la lavorazione e lo stoccaggio degli idrocarburi nell'Est.

L'ENI MINACCIATA ANCHE IN TRIPOLITANIA

Sempre in Cirenaica erano pendenti, prima dell'insurrezione contro Gheddafi, i contratti di esplorazione di petrolio e gas delle compagnie straniere emergenti e concorrenti di Eni, come la francese Total, la britannica Bp, l’anglo-olandese Shell e le statunitensi Exxon e Chevron. Nel 2015 nella regione, a Sirte, sbucò anche l'Isis, intanto il Cane a sei zampe si era ritirato in Tripolitania, a estrarre il petrolio e il gas dai campi di al Wafa ed el Feel, nel deserto al confine con l'Algeria, e offshore a largo di Tripoli, per poi lavoralo e smistarlo a Mellitah. Gli ultimi dati di produzione di Eni in Libia parlano di 270-280 mila barili al giorno, mentre nel 2017 (anche grazie alle riprese attività nell'Est) si era toccato il record di 384 mila barili al giorno. Al Sharara è nel mezzo tra i fortini Eni di al Wafa ed el Feel, con una capacità di circa 315 mila barili al giorno (circa un terzo dell'attuale produzione di greggio in Libia). È gestito dalla Compagnia nazionale del petrolio libico (Noc) in joint-venture con Total, la spagnola Repsol, l'austriaca Omv e la norvegese Statoil.

ENI FA SQUADRA CON I BRITANNICI

Noc è invece proprietaria e partner di Eni nella gestione del complesso di impianti per il petrolio e il gas di Mellitah – l'imbuto del gasdotto Greenstream attraverso il Mediterraneo –, cioè l'impianto dove erano diretti anche i tre tecnici italiani rapiti tra il 2015 e il 2016 e l'equivalente nell'Ovest del crescente petrolifero, anche Mellitah target di alcuni attacchi di cellule dell'Isis. Il Noc è di conseguenza un tradizionale e forte alleato dell'Italia: prima che Gheddafi commettesse l'errore storico di riaprire i legami (mai caldissimi) con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e soprattutto con la Francia, tedeschi, russi e cinesi presenti in misura molto minore in Libia non erano avversari di Eni. Non lo sono al momento neanche i britannici: a ottobre 2018 il presidente del Noc Mustafa Sanalla, l'amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e l'omologo di Bp Bob Dudley hanno firmato una lettera di intenti per l'assegnazione agli italiani del 42,5% del piano di condivisione per l'esplorazione e la produzione (Epsa) in Libia, in modo da ampliare e rilanciare la produzione nell'offshore. Cioè di gas.

I RAID FRANCESI E DI HAFTAR TRA CIAD E LIBIA

Il problema degli italiani, e non solo degli italiani, è la Francia, che come riconoscono anche altri attori europei corre da sola in Libia, sganciata dal sostegno formale al governo di Tripoli di Fayez al Serraj, rivale di Haftar e legittimato dall'Onu e dall'Ue. Certo, anche l'Italia deve mantenere aperto un canale con il generale Haftar, che ha a sua volta canali aperti con il Noc: Eni ne ha bisogno per le attività nell'Est e nelle parti dell'Ovest controllate da milizie sue alleate, ma al contrario della Francia non spinge Haftar in avanti. A dicembre, anche il campo di al Sharara è stato assaltato da miliziani armati che chiedevano più fondi statali e gli stipendi pagati, il Noc ha poi fatto scattare misure di forza maggiore nell'area. E a febbraio il generale della Cireanica ha bombardato la stessa regione nel Sud della Libia, lanciando un'offensiva «anti-terrorista» anche su al Sharara. Mentre, pochi giorni prima, i caccia francesi Mirage erano intervenuti nel vicino Nord del Ciad per fermare «ribelli infiltrati dal Sud della Libia».

I CONTRACTOR RUSSI PER IL GENERALE

La motivazione ufficiale era difendere il presidente amico del Ciad Idriss Deby dai ribelli estremisti libici, mentre Haftar afferma di difendere il Sud della Libia dagli estremisti ciadiani. Anche Haftar è un alleato di Deby: i due si erano da poco incontrati e i vertici militari dell'Lna hanno confermato che l'offensiva su al Sharara è avvenuta in coordinamento con il Ciad. Intanto, il petrolio continua a essere pompato dal vicino campo Eni di el Fell verso Mellitah, pienamente operativo con circa di 70 mila barili al giorno. Dall'autunno scorso nel Sud della Libia si sono raccolte, secondo indiscrezioni britanniche negate dal Cremlino ma riprese anche dai media russi filo governativi, dozzine di contractor privati russi della Wagner, arrivati nell'area di Sebha, per addestrare gli uomini di Haftar armati da Mosca. Il mantra è sempre «combattere gli estremisti e riportare la sicurezza», ma l'area non è mai stata così affollata e il Noc «chiede alle parti di evitare il conflitto e la politicizzazione di un'infrastruttura cruciale».

IL MODELLO COLONIALE FRANCESE IN LIBIA

È un gioco al massacro, dai giacimenti contesi della Libia dipendono anche le forniture interne. Tanto metano delle case e delle attività dei libici viene dai campi Eni che stanno perforando soprattutto i pozzi di gas offshore e di al Wafa. Ma ogni forza, libica e straniera, che si contende l'ex colonia italiana fa leva sulla marginalità delle minoranze e sulle spaccature tra libici in milizie. E se la coalizione al Serraj (e dietro di lui la Turchia, il Qatar e in teoria tutti gli alleati occidentali) mobilita ribelli islamisti, Haftar recluta mercenari, anche africani. È già successo a Bengasi e in altre zone della Cirenaica, dove le forze francesi hanno condotto operazioni con Haftar, e accade di nuovo nel Sud della Libia dove i tebu neri vengono divisi e fomentati gli uni contro gli altri e contro i tuareg, a loro volta richiamati a sé da Serraj. Così la Libia ricca di petrolio è strozzata al punto da non avere per i libici abbastanza elettricità, gas né, nel Sud dei giacimenti, benzina. Mentre, con il solito schema usato nelle ex colonie, la Francia adotta prestanome fedelissimi e autoritari, per drenare a sé le risorse di un altro pezzo d'Africa.

Preso da: https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2019/02/15/libia-francia-petrolio-haftar-eni/229094/

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