venerdì 1 luglio 2016
Nella Nato del terzo millennio, le basi militari ospitate in Italia hanno
un ruolo fondamentale e insostituibile nelle strategie di guerra. Siamo tutti
sempre più nucleari e con logiche di attacco.
Forze armate dotate di
mezzi, sistemi d’arma, capacità operative e livelli d’addestramento adeguati,
prontamente impiegabili in ambito NATO nei termini richiesti, per lunghi
periodi e al di fuori delle normali aree stanziali. Un dispositivo bellico
superefficiente in grado di respingere eventuali aggressioni militari che si
dovessero manifestare contro l’Italia e i suoi “interessi vitali”, sempre
pronto a “rimuovere le minacce” e contribuire alla “difesa integrata” dei
territori dell’Alleanza Atlantica e alla “lotta al terrorismo internazionale”.
Sono alcuni degli obiettivi strategici prefigurati dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa 2015 per
quelle che dovranno essere le strutture militari nazionali del prossimo
ventennio. Il sogno di un’Italia media potenza internazionale ma sempre più
ancorata all’Alleanza Atlantica e al paese leader, gli Stati Uniti d’America.
“L’unica strategia in grado di mitigare i rischi relativi è quella di un’attiva
partecipazione alla NATO”, spiega il ministero della Difesa. “Perché solo
l’alleanza tra europei e nordamericani è in grado di esercitare la dissuasione,
la deterrenza e la difesa militare…”.
A ridisegnare status, ruoli
e modalità d’intervento della NATO del terzo millennio è il Readiness Action Plan approvato il 5 settembre 2014 al Summit dell’Alleanza
tenutosi in Galles. “Le forze NATO saranno
in grado di rispondere velocemente e con fermezza alle nuove sfide alla
sicurezza, grazie all’utilizzo di un coerente pacchetto di strumenti militari ai
confini dell’Alleanza e anche più lontano”, riporta il nuovo piano operativo
alleato. Nello specifico, si prevede un rafforzamento nell’Europa
centrale ed orientale e un profondo cambiamento della postura
delle forze armate per “accrescere le capacità dell’Alleanza nel rispondere
ancora più velocemente alle emergenze, ovunque
esse si presentino”.
La prova generale della nuova Alleanza si è svolta l’autunno
scorso in Italia, Spagna, Portogallo e nel Mediterraneo centrale. Denominata Trident Juncture 2015, è stata la più grande
esercitazione NATO dalla fine della Guerra fredda ad oggi, con la
partecipazione di oltre 36.000 militari, 400 tra cacciabombardieri, aerei-spia
con e senza pilota, elicotteri e una settantina di unità navali di superficie e
sottomarini. Grazie a Trident Juncture, la NATO ha simulato
gli interventi richiesti nelle guerre moderne, come l’abbordaggio di unità
navali, la ricerca, il riconoscimento e l’individuazione degli obiettivi, le
operazioni d’infiltrazione ed esfiltrazione, ecc.. L’esercitazione ha inoltre consentito di certificare la piena operatività
delle nuove forze di pronto intervento NATO, destinate ad intervenire in
qualsiasi scacchiere mondiale. Nello specifico, Trident Juncture
ha permesso di sperimentare in scala continentale i
corpi d’élite della NATO Responce Force –
NRF, dotati delle tecnologie più avanzate in campo bellico e posti
gerarchicamente sotto il controllo del Joint
Force Command di Brunssum e del Comando congiunto per il Sud Europa di Lago Patria,
Giugliano (Napoli). Proprio il JCF di Lago Patria ha ospitato il 2 febbraio
2016 una conferenza dei comandanti delle forze alleate per pianificare la
certificazione finale della NATO Response
Force attraverso un intenso programma di esercitazioni che avranno luogo in
tutta Europa nel biennio 2016-17. Quando sarà completato il programma addestrativo,
il Comando alleato campano assumerà la guida della NRF.
Che le basi militari ospitate in Italia abbiano
assunto un ruolo fondamentale e insostituibile nelle strategie di guerra NATO è
confermato pure dalla scelta dell’Alleanza di svolgere la prima fase “simulata”
di Trident Juncture presso la sede
del Comando Operazione Aeree dell’Aeronautica militare di Poggio Renatico,
Ferrara, oggi a disposizione dell’Alleanza Atlantica per gli interventi della NRF. Nel giugno 2015, a Poggio Renatico è
stato attivato il primo sito ACCS che
fornisce alla NATO un sistema di comando e controllo unificato per la
pianificazione e l’esecuzione di tutte le operazioni di sorveglianza aerea.
Altri siti ACCS diverranno operativi in altri paesi dell’Alleanza entro la fine
del 2016.
Allo smisurato potere di
pronto intervento offensivo della NATO
Response Force contribuirà pure il sofisticato sistema di telerilevamento
ed intelligence AGS (Alliance Ground
Surveillance) che sarà attivato nella base siciliana di Sigonella. L’AGS
dovrà fornire informazioni in tempo reale per compiti di vigilanza aria-terra a
supporto dell’intero spettro delle operazioni alleate nel Mediterraneo, nei
Balcani, in Africa e in Medio oriente. Il nuovo sistema si articolerà in
stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il
supporto operativo alle missioni e da una componente aerea basata su cinque
velivoli a controllo remoto RQ-4 “Global Hawk” prodotti dall’azienda
statunitense Northrop Grumman. La stazione aeronavale di Sigonella ospiterà sia
il Centro di comando e controllo dell’AGS che l’intero apparato logistico e i
velivoli senza pilota. Il nuovo sistema s’interfaccerà con l’articolata rete
operativa militare e con tutti i centri di comando, controllo, intelligence,
sorveglianza e riconoscimento della NATO a livello planetario.
“L’AGS
supporterà un ampio ventaglio di missioni NATO come la protezione delle forze
terrestri e delle popolazioni civili, il controllo delle frontiere, la
sicurezza navale e l’assistenza umanitaria”, ha dichiarato Rob Sheehan, manager
di Northrop Grumman. L’azienda
statunitense prevede di trasferire i primi droni a Sigonella entro la fine del
2016, mentre per l’avvio delle operazioni si dovrà attendere il 2017. Pure le forze armate statunitensi contribuiranno
alla trasformazione di Sigonella in uno dei centri nevralgici a livello mondiale
per l’uso dei velivoli senza pilota nei teatri di guerra. La base siciliana è
stata prescelta infatti come base
operativa avanzata del sistema aereo MQ-4C “Triton”, anch’esso
basato sulla piattaforma del “Global Hawk”. Secondo il Comando generale della Marina
militare USA, i primi “Triton”
inizieranno ad operare dalla Sicilia a partire del giugno 2019. Come se
non bastasse, Washington prevede di
realizzare a Sigonella uno dei principali centri al mondo per il comando, il
controllo e la manutenzione di tutti i droni statunitensi (UAS SATCOM Relay Pads and Facility) assicurando la “massima
efficienza operativa durante le missioni di attacco armato e di riconoscimento
pianificate dai comandi strategici di Eucom, Africom e Centcom a supporto dei war-fighters”.
La NATO del
terzo millennio sarà ancora più nucleare e l’Italia, di conseguenza, vedrà
rafforzare il proprio ruolo di piattaforma di lancio per eventuali attacchi con
testate atomiche. Attualmente sono due le installazioni utilizzate per lo
stoccaggio di armi di distruzione di massa, la base aerea di Aviano (Pordenone)
e quella di Ghedi (Brescia). Aviano è sede del 31st Fighter Wing di US Air
Force con due squadroni dotati di cacciabombardieri F-16 abilitati al
trasporto e al lancio di testate nucleari e in grado di operare
regionalmente ed extra-area su richiesta della NATO e del Comando supremo
alleato in Europa. Gli F-16 di Aviano sono stati tra i protagonisti
di tutti i raid aerei scatenati negli ultimi anni nei Balcani e in Libia. Dall’agosto
2015 sei di questi cacciabombardieri sono stati dislocati in Turchia per
contribuire ai bombardamenti contro le postazioni dello Stato Islamico in
Siria.
Nei mesi scorsi, le forze armate statunitensi hanno
dato vita al potenziamento dei sistemi di protezione dei bunker destinati alla
custodia delle testate. I lavori di ristrutturazione rientrano nell’ambizioso
programma di ammodernamento nucleare varato dall’amministrazione Obama che
prevede nel caso specifico di Aviano e di altre basi USA in Europa la
sostituzione delle vecchie testate B61 con le nuove bombe all’idrogeno B61-12. Queste
saranno disponibili in quattro versioni (da 0.3, 1.5, 10 e 50 kilotoni), tutte
a guida di precisione, e potranno essere sganciate a grande
distanza dall’obiettivo, con una capacità di penetrazione nel suolo e una
potenza distruttiva nettamente superiori alle vecchie testate. Per il programma
di aggiornamento, Washington ha previsto una spesa compresa tra gli 8 e i 12
miliardi di dollari e le testate potranno essere utilizzate con i
bombardieri strategici B-2, i cacciabombardieri F-16 e Tornado PA-200 e, a partire del
2020, anche con i caccia F-35 acquistati da alcuni paesi NATO e Israele.
L’Italia contribuisce alle spese necessarie a
potenziare i depositi-bunker per le atomiche aviotrasportabili. Il 12 novembre
2014 il Segretariato generale del ministero della Difesa ha firmato un
contratto classificato come riservatissimo,
del valore di oltre 200.000 euro, per la “progettazione delle opere di
ammodernamento del sistema WS3 (Weapon Storage and Security System)”,
cioè del sistema sotterraneo di
stoccaggio e protezione delle armi nucleari nella base aerea di Ghedi. Nello scalo lombardo sarebbero operativi undici sistemi WS3 sotto la
custodia del 704th Munitions Maintenance Squadron dell’US Air Force. L’unità speciale è
operativa a Ghedi sin dal 1963 e – come riportato dal Penatgono - ha
la “responsabilità di ricevere, custodire ed assicurare la manutenzione e il
controllo delle armi nucleari USA in supporto della North Atlantic Treaty Organization (NATO) e delle sue missioni strike”. Secondo quanto previsto dal nuclear burden-sharing, in caso di
conflitto le bombe USA possono
essere messe a disposizione dei cacciabombardieri “Tornado IDS” del 6° Stormo dell’Aeronautica italiana, anch’essi di
stanza a Ghedi e appositamente configurati per l’attacco nucleare. Per
addestrarsi allo sganciamento del loro carico di morte, questi reparti di volo
dell’Aeronautica utilizzano i poligoni sardi di Perdasdefogu e Capo San Lorenzo
e lo scalo di Decimomannu, infrastrutture-chiave per la sperimentazione delle
nuove dottrine e tecnologie della guerra globale in ambito NATO ed extra-NATO.
Articolo pubblicato nel dossier “Il ruolo della
Nato nel terzo millennio”, Mosaico di
pace, giugno 2016.
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