di Claudio Moffa
(*)
Ora
i media parlano chiaro. Per mesi e mesi la leggina riforma dell’art 3 della
legge Reale che introduce il reato di «negazionismo» è stata presentata in modo
edulcorato come foriera di nessun pericolo, visto che la negazione dei crimini
contro l’umanità quale indicati dallo Statuto della Corte penale internazionale
fa la sua apparizione solo come aggravante di un reato di incitamento all’odio
razziale. Ora invece la legge è legge antinegazionista punto e basta.
È quello che avevo sostenuto io fin dall’inizio, sottolineando che la verità
potrebbe stare in mezzo ma che il pericolo resta: perché è vero che la legge
approvata non è quella sognata dagli oltranzisti dell’imbavagliamento della
Storia, una legge con «diretta» condanna del nebuloso negazionismo. Ma
dall’altra e comunque, il giudizio sulla storia, che dovrebbe essere libero e
garantito a tutti i cittadini dagli articoli 21 e 33 della Costituzione, entra
comunque nella sfera della criminalità penale, e si potrebbero creare, secondo
discrezionalità del magistrato e costruzione nel tempo di una «giurisprudenza»
in crescendo, casi aberranti di stampo decisamente liberticida.
Se per esempio un processo ex violazione della legge Reale riformata venisse
affidato a quel tal giudice romano, stimatissimo, ma che fece parlare un ultras
della Storia dettata per legge nonostante avesse, il teste, cambiato all’ultimo
momento il capitolo di prova (non si può, come noto); o se la stessa cosa
capitasse al PM abruzzese che rifiutò per due volte di chiedere un rinvio a
giudizio dopo aver riconosciuto che il comportamento del querelante in un caso
di ricostruzione storica era stato limpido e corretto, e tuttavia egli era stato
pesantemente diffamato; e di poi lo stesso caso capitasse al GIP pescarese di
riferimento di quel PM (il procedimento era lo stesso), che in modo speculare,
ravvisando a sua volta (anche lui in due Camere di consiglio) un evidentissimo
reato di diffamazione, non ebbe il coraggio di chiedere l’imputazione coatta
come suo dovere, per giunta dandosi alla fuga attraverso il noto marchingegno di
tanti processi ingiusti, di fissare la data della Camera di consiglio decisiva,
due giorni dopo essere stato trasferito ad altro ufficio del Tribunale: se
insomma si riproponessero casi di questo tipo, sicuramente la «giurisprudenza»
assumerebbe nel tempo dei contorni tetri e pericolosi per le libertà
costituzionali.
Basterebbe – altro esempio - un provocatore prezzolato e poi di nascosto
beneficiato, che prima urla da vero antisemita al vero odio razziale, e poi per
giustificarsi davanti al giudice dice che non è vero (come non è vero) che sono
stati 6 milioni gli ebrei morti nei lager, per fare applicare la nuova legge:
non dicono tutti i giornalisti ad ogni occasione, almeno una ventina di volte
all’anno, che sono 6 i milioni di ebrei uccisi dai nazisti? La condanna prodotta
dalla nuova legge inserisce così la Storia nel diritto penale, creando un
precedente che un secondo magistrato potrà estrapolare e separare come
giurisprudenza acquisita, il caso appunto dei 6 milioni «negati».
Voi
direte, non è possibile: teoricamente non sarebbe possibile, ma poiché come noto
su questo terreno, delle opinioni, della libertà di critica e della
diffamazione, molti magistrati fanno quel che loro pare e piace, allora questa
sarà una ben percorribile strada che gli stessi poteri forti che hanno
addomesticato tutto il Parlamento italiano, saranno in grado di far prendere
anche alla magistratura italiana.
Di chi la responsabilità di tutto questo, oltre che della politica, governativa
e di opposizione, di centro di sinistra e di destra? Un po’ di tutti, e non solo
degli addetti ai lavori (docenti delle scuole e universitari, tra i quali il
nobel dell’opportunismo va a chi spara a vanvera contro il «negazionismo» per
avere un posticino al sole in qualche sala della Camera) ma anche di certo mondo
della rete, quelli che si beano del fatto che il mondo e l’Italia vanno a rotoli
(anche su questo terreno) attaccando tutto e tutti, per dimostrare che loro sono
i veri eroi, e che il disprezzo per le istituzioni deve essere totale, senza
articolazioni, senza tentativi di arginare le derive in atto.
Tanto c’è Zuckerberg che ci fa sfogare. Non è così, la rete è utile ma le
istituzioni restano il luogo della vera resistenza ai soprusi e alle norme
ingiuste, e da lì bisognerebbe ricominciare. Certo il panorama proprio su questo
terreno è veramente allarmante, ma come pensate che si possa tornare indietro se
non trovando il coraggio e trovando chi ha il coraggio in Parlamento di opporsi
allo stato di cose oggi esistente?
(*) Professore ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali, Università di
Teramo
Preso da: http://www.italiasociale.net/alzozero16/az16-06-10.html
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