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lunedì 4 luglio 2016

Haftar va a Mosca, tutti gli interessi della Russia sulla Libia

La ricostruzione di Emanuele Rossi
“Una fonte” rivela che “il capo delle forze armate libiche, il generale Khalifa Haftar“, è arrivato “domenica in Russia”, scrive Sputnik, media finanziato dal Cremlino. E dunque, due considerazioni: primo, Haftar è effettivamente a Mosca, le fonti che parlano con il sito russo di solito lo fanno per diffondere informazioni in via non ufficiale (dati i collegamenti con il governo); secondo, chi sottolinea “capo delle forze armate” per descrivere il ruolo del generale tralascia un dettaglio fondamentale; Haftar guida una milizia che si fa chiamare Lna, che sta per Libyan National Army, ma non è il comandante dell’esercito libico, perché la sua fazione risponde soltanto al governo di Tobruk (il dettaglio è ripreso nel testo, ma omesso volutamente nel titolo per dare più rilievo). Della programmazione delle visita se ne parla da aprile, da quando cioè il generale al Cairo ha incontrato Mikhail Bogdanov, l’esperto consigliere di Vladimir Putin sulle questioni dell’area MENA (Middle East-North Africa).

CHE COSA VUOLE HAFTAR
Cosa sta facendo in Russia l’uomo forte della Cirenaica, impegnato in due dure battaglie formalmente impostate contro i terroristi (definizione generica che nella sua interpretazione comprende tanto le fazioni armate vicine allo Stato islamico quanto i gruppi di governo cittadini che sono invece amici della Tripolitania) a Derna e a Bengasi? Forse sta cercando sostegno politico, diplomatico, economico, militare, contando su un gioco di sponda che vede impegnati anche i buoni rapporti tra il Cairo (l’Egitto è il grande sponsor della Cirenaica, su cui ha mire geopolitiche da tempo) e Mosca; il viaggio del generale verso la capitale russa ha fatto una prima tappa alla corte di Abdel Fattah al Sisi. Già nel febbraio del 2015 Vladimir Churkin, il capo della missione della Russia alle Nazioni Unite, dichiarò ai giornalisti che il suo paese stava prendendo in considerazione di dare sostegno al governo a Tobruk anche con le armi e, se necessario, di imporre un blocco navale sulla Libia per impedire la consegna di rinforzi ai jihadisti via mare. Ad ottobre dello stesso anno era il generale cirenaico a parlare apertamente del sostegno militare che Mosca gli aveva promesso. Ai tempi il governo in esilio nell’est libico godeva di un più ampio riconoscimento internazionale rispetto ai rivali tripolitani, perché il parlamento che gli forniva il sostegno politico, l’HoR, esprimeva una rappresentanza elettorale: è proprio per questo che gli accordi arrivati a dicembre sul percorso di formazione del Gna (Governament of national accord) prevedono che sia proprio l’HoR a votare la fiducia per costituire definitivamente il nuovo esecutivo. Ora le cose sono cambiate, perché da tre mesi si è insediato a Tripoli Fayez Serraj, il premier scelto dal processo politico iniziato a Skhirat (quello di dicembre 2015) sotto egida Onu, e l’esecutivo di Tobruk, così come quello ormai sciolto a Tripoli, non hanno più valore formale. Anzi, se le spurie tripoline sono ormai noia di fondo, gli atteggiamenti filibustieri del parlamento di Tobruk, che puntualmente fa saltare la votazione per l’avallo definitivo a Serraj, sono considerati il lato politico dell’indipendentismo federalista filo-egiziano espresso da Haftar: ossia, la principale grana per il governo filo-Onu, anche alla luce del fatto che i baghdadisti a Sirte sono in completa rotta.
CHE COSA VUOLE MOSCA
Anche per questo a metà maggio l’ambasciatore russo in Libia, Ivan Molotkov, ha cambiato la rotta: fornitura di armamenti sì, ma diretti a Tripoli. Su entrambi i fronti libici è in atto comunque un embargo, e dunque qualsiasi passaggio sarebbe in violazione a una risoluzione del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite (di cui Mosca è membro permanente). La dichiarazione di Molotkov aveva un diretto collegamento temporale ai due giorni precedenti, quando cioè si era svolto il grande vertice di Vienna sulla Libia (presieduto da Stati Uniti e Italia), in cui si era anche parlato di sollevare l’embargo per permettere all’esercito di Serraj di armarsi meglio; il problema è che un esercito Serraj non ce l’ha, in realtà, e per lui combattono, per esempio a Sirte, alcune forti milizie dell’Ovest libico che gli hanno giurato fedeltà. Il collegamento militare tra Russia e Libia è storico e per questo il Cremlino cerca occasioni per ravvivarlo. Nel 2008 la Russia annullò il debito libico in cambio di una firma per una fornitura di armamenti da 4 miliardi di dollari: nel 2011, poco prima della caduta, il rais Muammar Gheddafi, aumentò il commercio a 10 miliardi, ma la risoluzione Onu che dopo la fine del regime impedì il commercio di armamenti bloccò la commessa. La Russia rivendica questa influenza sul sistema di difesa e sicurezza libica: un rapporto che è iniziato già decenni fa, tramite il quale sono arrivati negli anni armamenti di epoca sovietica al paese nordafricano, i cui ufficiali hanno ricevuto addestramento e formazione dagli istruttori russi; tra questi soldati mandati a studiare in Russia, secondo il sito al Monitor ci sarebbe stato anche Haftar, all’epoca militare del regime.
L’IMPRONTA INTERNAZIONALE CHE LASCIA HAFTAR
La posizione ufficiale russa è collaborativa nei confronti del Gna, ma è stato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov a sostenere che senza la fiducia politica dell’HoR Serraj non può essere legittimato, aggiungendo che il processo di inclusione dovrà comprendere anche Haftar, altrimenti Mosca posto il veto sull’embargo in sede di CdS. Già a Febbraio 2016 però, il sito specialistico Defense News scriveva che in Libia stavano arrivando forniture militari russe attraverso una network di intermediari collegati a una rete di collaborazione di intelligence semi-ufficiale creata tra Russia, Emirati Arabi, Egitto e Giordania: una specie di piano per muoversi in vantaggio sui tentennamenti occidentali, aveva spiegato in quell’occasione un analista americano. La scorsa settimana il sito Middle East Eye è tornato su una questione di cui già si è parlato, confermando con proprie fonti quanto scritto stavolta dall’Huffington Post arabo (“stavolta” perché in precedenza se ne era parlato su altri media internazionali): forze speciali inglesi si sarebbero “sistemate” in un centro operativo congiunto con francesi, italiani, giordani e emiratini, situato nell’area di Bengasi, insieme alle truppe del generale Haftar. Al centro, difeso da mitragliatrici e lanciarazzi e da cui sarebbero guidati droni da osservazione e addestrati i militari libici, avrebbero accesso soltanto pochissimi ufficiali della Cirenaica col compito di tenere aperto il canale di comunicazione: non ci sono riferimenti al luogo, ma dettagli del genere erano stati forniti nei mesi scorsi a proposito di un compound interno alla struttura della base aerea di Benina. Nei giorni un canale Telegram ha diffuso le immagini rubate a uno smartphone di un soldato dell’Lna a Bengasi: nelle foto vengono ripresi quelli che sono indicati come uomini delle forze speciali francesi; il riferimento temporale, non verificabile come tutta la serie di scatti, è febbraio 2016. Crispin Blunt, presidente del Comitato ristretto del parlamento britannico per gli affari esteri, il mese scorso ha detto che sostenere Haftar sarebbe una “scorciatoia” pericolosa che potrebbe sacrificare la libertà libici “in cambio di stabilità”. Su quella stessa strada ci si è messa anche la Russia?





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