12 luglio 2016
Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia.
Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di
quel paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è
arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per
molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio
dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa
che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri
sudditi. In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore
orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media,
cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma,
nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed
accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di
disuguaglianza, tagli
a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi
per le classi subordinate e via elencando. In entrambi i casi la
sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a
riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su
certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non
bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si
vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.
In entrambi casi ciò è infatti esattamente quanto è successo. In
Grecia con il ricatto che ha indotto Tsipras a calare le brache e
tradire ignominiosamente il verdetto popolare. In Inghilterra con il
tentativo di far pagare così cara la Brexit a coloro che l’hanno
votata da dissuadere altri a imboccare la stessa strada (non a caso il
risultato deludente di Podemos e la marcia indietro di 5 Stelle sull’Europa
sono state accolte con soddisfazione: la lezione è servita a
qualcosa…). In entrambi i casi le élite hanno dispiegato tutto il loro
disprezzo nei confronti dei proletari “sporchi, brutti e cattivi“ che si
sono ribellati ai loro diktat. Imitati dalle sinistre: tutte, anche
quelle che si proclamano radicali e antagoniste: non si può stare dalla
parte degli operai inglesi perché sono egemonizzati dalla destra
razzista e xenofoba (qualche idea sul perché ciò sia avvenuto?). I
peggiori sono quegli intellettuali post operaisti che ormai sono parte
integrante del polo liberal chic che definisce l’essere di sinistra o di
destra non in base all’appartenenza e agli interessi di classe, bensì
in base all’impegno per i diritti individuali, e affida l’emancipazione sociale a un immaginario “comunismo del capitale”.
Ho quindi accolto con piacere un intervento di Bifo che ha rotto il
fronte “europeista”, riconoscendo che l‘aspetto dirimente del voto
inglese non è il colore ideologico, ma da quali interessi di classe è
stato dettato. Credo però che occorra fare altri due passi: 1) chiedersi
perché i giovani “creativi” hanno votato in massa Remain; 2) ragionare
concretamente sulla forma politica che oggi assume la resistenza
proletaria al finanzcapitalismo e alle sue istituzioni oligarchiche.
Affrontare il primo punto significa fare i conti con il mito del
cognitariato, prendere atto che questo gruppo sociale non ha mai
espresso, non esprime, né mai esprimerà una cultura anticapitalista, che
il suo strato superiore è parte integrante delle élite e, in quanto
tale, è un nemico di classe, mentre lo strato inferiore – che continua a
nutrire la speranza in una illusoria mobilità sociale, benché
falcidiato da precariato,
redditi
miserabili, condizioni di vita oscene – potrà prendere coscienza dei
propri interessi solo se egemonizzato dalla spinta antagonista che viene
da fuori e dal basso.
Quanto al secondo punto: se è vero – come è innegabile non appena si
guardi a quanto avviene negli Stati Uniti e in tutti i paesi europei –
che oggi la lotta di classe assume la forma dell’opposizione alto/basso,
dell’odio per le élite politiche ed economiche (que se vayan todos),
del rifiuto di ogni forma di delega, che assume cioè una forma
populista, occorre decidersi a prenderne atto – perché la teoria e la
prassi politica rivoluzionarie sono una cosa sola, sono cioè analisi
concreta della situazione concreta – e agire di conseguenza. Il
populismo di destra si combatte con il populismo di sinistra, non con le
ammoine radical chic. Il che vuol dire lotta per l’egemonia (cioè
cambiare il senso di parole come popolo, comunità, sovranità, ecc.
trasformandole in armi nella battaglia fra i flussi globali del capitale
e i luoghi da cui i flussi estraggono valore), costruire blocco sociale
a partire dal basso e non dall’alto delle nuove aristocrazie del
lavoro, costruire organismi di democrazia
diretta e riaprire la vecchia sfida, tenendo conto che l’unica cosa che
oggi produce contro terrore rispetto al terrorismo psicologico delle
élite è la democrazia e che, dopo la morte della democrazia rappresentativa, l’unica forma esistente di democrazia è appunto il populismo.
(Carlo Formenti, “Brexit, uno spettro si aggira per l’Europa: la democrazia”, da “Micromega” del 28 giugno 2016).
Preso da: http://www.libreidee.org/2016/07/la-sinistra-europeista-che-teme-il-popolo-e-la-democrazia/
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