Il barbaro assassinio di Giulio Regeni, il dottorando
all’università di Cambridge rapito e torturato al Cairo, tiene banco sui
media ed è impiegato per dipingere a tinte fosche il governo
dell’ex-feldmaresciallo Abd Al-Sisi, accusato di guidare un brutale
apparato poliziesco. In realtà, il caso Regeni presenta tutte le
caratteristiche della classica operazione clandestina: la tempistica del
rapimento e del ritrovamento del cadavere, lo scempio del corpo secondo
il copione di un brutale interrogatorio e la campagna mediatica di
contorno, nazionale ed internazionale, rispecchiano un’attenta
pianificazione, tesa a screditare il governo egiziano e minare la
collaborazione tra Roma ed il Cairo, dal dossier libico a quello
energetico. Più che alla travagliata politica interna egiziana,
l’omicidio Regeni va infatti ricollegato allo sfruttamento dell’enorme
giacimento gasifero scoperto dall’ENI: un successo italiano che molti,
da Tel Aviv a Washington, passando per Londra, non digeriscono.
Egitto, ultimo baluardo contro la destabilizzazione del Medio Oriente
Non c’è pace per l’Egitto che, dall’attentato al consolato italiano lo scorso luglio al disastro aereo del volo Metrojet di fine ottobre, finisce sempre più spesso nei nostri radar: il fenomeno non stupisce perché, come abbiamo più volte affermato, il Cairo è (insieme ad Algeri) l’ultimo baluardo contro la destabilizzazione angloamericana ed israeliana della regione.
Se l’Egitto dovesse cadere, l’incendio doloso che sta divorando il Medio Oriente, si estenderebbe a tutto il Nord Africa, dove la Libia è già adibita come base per la propagazione del terrorismo: man mano che ci avvicina in Siria alla risolutiva battaglia di Aleppo, i miliziani dell’ISIS sono traghettati indisturbati verso i porti libici, così da proseguire la diffusione dell’instabilità nel Magreb. Davanti all’evidenza di questa spola tra Turchia e Libia (avvallata dalla NATO), anche la stampa più irregimentata non può tacere e su Il Sole 24 ore è apparso il 5 febbraio l’articolo “Il mistero dei cargo fantasma, porta d’ingresso dei terroristi nel Mediterraneo”1.
La destabilizzazione del Medio Oriente persegue tre obbiettivi principali:
Con la prima (1991) e la seconda (2003) Guerra del Golfo, l’attivismo angloamericano tocca lo zenit: prima il Golfo Persico è disseminato di basi navali (Bahrein, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, etc.) e poi si tenta il controllo terrestre con l’invasione dell’Iraq. L‘Egitto che, dopo la lunga parentesi filo-sovietica di Gamal Nasser (1918-1970), è traghettato in orbita americana dal suo successore Anwar al-Sadat (1918-1981), ricopre un ruolo strategico, in quanto attraverso il Canale di Suez è possibile spostare rapidamente la flotta dal Mediterraneo al Golfo Persico secondo le esigenze: supera il miliardo di dollari annuo il flusso di denaro da Washington verso il Cairo, così da comprarsi la benevolenza dell’esercito egiziano, colonna portante del Paese e proprietario di un’ampia fetta dell’industria nazionale.
Il 2011 rappresenta il giro di boa: alla strategia imperiale dei neo-conservatori (ormai insostenibile), subentra quella della destabilizzazione, condotta dal duo Barack Obama-Hillary Clinton.
In Egitto scatta l’ora della classica rivoluzione colorata, condotta con il decisivo apporto dei servizi occidentali e di ONG straniere come la serba Otpor!: si legga a questo proposito l’illuminante articolo del febbraio 2011, “From Resistance to Revolution and Back Again: What Egyptian Youth Can Learn From Otpor When Its Activists Leave Tahrir Square”2 , edito dall’influente pensatoio americano Carnagie Council, dove è illustrato il ruolo dei movimenti di protesta eterodiretti dagli angloamericani.
Il presidente Hosni Mubarak, per vent’anni fedele servitore della causa atlantica, è brutalmente rovesciato come un “sanguinario dittatore” qualunque: al suo posto, invece, gli angloamericani preparano l’avvento dei Fratelli Mussulmani che, nell’estate del 2012, conquistano la presidenza con Mohamed Morsi.
La Fratellanza Mussulmana, nata in Egitto negli anni ’20 sotto il protettorato britannico, è l’antesignano dell’ISIS: un movimento retrograda ed oscurantista, ideato per catalizzare la protesta attorno agli ideali islamisti ed arginare il ben più pericoloso (nell’ottica delle potenze coloniali) nazionalismo panarabista. Negli anni ’20 gli inglesi usano la Fratellanza mussulmana per frenare l’avanzata degli indipendentisti del Wafd, che tentano invano di liberarsi dal giogo britannico con la rivoluzione del 1919. Nel 1954 è deposto con un colpo di stato il filo-inglese re Faruq ed è proclamata la repubblica, guidata dal generale Gamal Nasser: lo stesso anno la neonata ENI di Enrico Mattei entra in Egitto, scatenando l’ira di Londra. Immediatamente la Fratellanza Mussulmana è aizzata contro Nasser e, dopo un primo tentativo di assassinio del presidente egiziano, l’organizzazione è bandita: rimarrà tale fino al 2011, quando gli angloamericani decidono che è giunto il tempo per il loro vecchio arnese di prendere in mano il Paese.
L’Egitto sotto la guida di Mohamed Morsi e della Fratellanza va velocemente a rotoli: le violenze interreligiose esplodono (la comunità dei cristiani copti è sottoposta ad una vera persecuzione3), aumentano gli episodi di attacchi terroristici, il turismo si liquefa, le riserve monetarie si assottigliano e la lira egiziana sprofonda. L’Egitto, che sotto la presidenza di Mubarack era un Paese a medio reddito ed in costante crescita, si avvicina al baratro: a porre fine all’esperienza dei Fratelli Mussulmani ci pensa l’esercito dalle cui fila esce, come nel 1954, il nuovo presidente Abd Al-Sisi. Nell’agosto del 2013 Mohamed Morsi è deposto e la reazione della Fratellanza duramente repressa: sarà già stata bandita quando il voto del 2014 elegge Al-Sisi nuovo capo di Stato.
Si ripropone uno scenario non dissimile da quello del 1954 con l’avvento di Nasser, cui, non a caso, si richiama espressamente Al-Sisi: da un lato Londra (con l’aggiunta ora di Washington) cerca di eliminarlo con il terrorismo islamico, dall’altro Mosca (con l’aggiunta ora di Pechino) cavalca la svolta politica. L’Italia che, proprio come nel 1954, ha tutto da guadagnare da un Egitto stabile ed indipendente (per questioni di economia e sicurezza), guarda con favore all’insediamento di un nuovo “nasseriano” alla guida del Paese: come ai tempi di Enrico Mattei, è sempre l’ENI la protagonista indiscussa della nostra politica estera.
Analizziamo più nel dettaglio la dinamica in atto.
La penisola del Sinai svolge il ruolo assolto in Siria dai confini con la Giordani e la Turchia: è la frontiera porosa da cui israeliani ed angloamericani introducono i miliziani dell’ISIS, che premono verso il canale di Suez ed il Mar Rosso. Si sono registrati già numerosi e sanguinosi scontri con l’esercito e ad essere presa di mira è in particolare la strategica industria del turismo, fonte di occupazione e valuta straniera: da ultimo, agli inizi di gennaio è stato sventato un attentato agli alberghi di Hurgada. Il turismo, che nel 2007 contribuiva quasi al 20% del PIL4, è sceso così al 14% attuale, nonostante il suo rilancio fosse uno dei cavalli di battaglia di Al-Sisi: l’attentato lo volo Metrojet, seguito dal precipitoso rientro dei turisti occidentali si voli militari, e lo stillicidio di attacchi alle località del Mar Rosso, sono funzionali alla destabilizzazione economica del Paese.
La Russia, al contrario, ha subito incrementato le sinergie con l’Egitto di Al-Sisi, firmando importanti accordi in campo economico e militare (tra cui l’ammodernamento delle difesa aerea5), culminati con l’intesa per la costruzione di un centrale nucleare nei pressi di Alessandria6: come rappresaglia contro l’attivismo mediorientale di Mosca e per infliggere un durissimo colpo all’industria vacanziera, a fine ottobre è orchestrato l’attentato al volo russo Metrojet 9268. Non è da meno la Cina che, durante la recente visita del presidente Xi Jinping al Cairo, ha espresso il suo apprezzamento per la “stabilità e lo sviluppo” garantiti da Al-Sisi, perfezionando prestiti ed investimenti miliardari7.
Veniamo infine all’Italia che, storicamente in buoni rapporti con l’Egitto (la comunità italiana ad Alessandria ed al Cairo era sin dall’Ottocento una delle più numerose ed apprezzate), ha ulteriormente incrementato negli ultimi anni la collaborazione, per due motivi: geopolitici ed economici.
Geopolitici perché, dopo la destabilizzazione di Tunisia, Libia e Siria, è imperativo per l’Italia che l’Egitto non sia travolto dal terrorismo islamico o da qualche rivoluzione colorata ma, al contrario, collabori per la stabilizzazione della Libia. Economici perché l’Italia (primo partner commerciale dell’Egitto in Europa e terzo al mondo8) è stata artefice, proprio come nel 1954, di un ulteriore penetrazione economica dopo l’avvento del nasseriano Abd Al-Sisi: ad Intesa San-Paolo, Pirelli, Danieli ed Italcementi, si sono affiancate centinaia di imprese di medie dimensioni, consento un balzo del 10% dell’interscambio tra il 2013 ed il 20149.
Già la scorsa estate collegammo l’esplosione dell’autobomba davanti al consolato italiano del Cairo, al dinamismo politico ed economico dell’Italia ma, ex-post, si può essere ancora più precisi, riconducendo quell’avvertimento mafioso alla specifica attività dell’ENI: la bomba esplode l’11 luglio ed il 30 agosto il gruppo di San Donato milanese annuncia ufficialmente10 la scoperta dell’enorme giacimento “Zohr” che, con i suoi 850 miliardi di metri cubi di gas, è capace di soddisfare i fabbisogni dell’Egitto per due decenni. Negli ambienti dei servizi segreti e delle compagnie petrolifere, la notizia doveva già circolare ad inizio luglio e l’attentato dinamitardo va senza dubbio ricondotto a ciò.
Per l’Egitto il giacimento Zohr significa un risparmio miliardario sulla bolletta del gas, liberando così risorse per lo sviluppo, e un accresciuto ruolo geopolitico, grazie all’indipendenza energetica; per l’Italia significa mettere a segno il secondo grande successo in Africa (dopo i maxi giacimenti del Mozambico) ed un’accresciuta influenza in Paese cruciale per gli assetti del Mediterraneo, del mondo arabo e del Golfo Persico (attraverso Suez).
Egitto, ultimo baluardo contro la destabilizzazione del Medio Oriente
Non c’è pace per l’Egitto che, dall’attentato al consolato italiano lo scorso luglio al disastro aereo del volo Metrojet di fine ottobre, finisce sempre più spesso nei nostri radar: il fenomeno non stupisce perché, come abbiamo più volte affermato, il Cairo è (insieme ad Algeri) l’ultimo baluardo contro la destabilizzazione angloamericana ed israeliana della regione.
Se l’Egitto dovesse cadere, l’incendio doloso che sta divorando il Medio Oriente, si estenderebbe a tutto il Nord Africa, dove la Libia è già adibita come base per la propagazione del terrorismo: man mano che ci avvicina in Siria alla risolutiva battaglia di Aleppo, i miliziani dell’ISIS sono traghettati indisturbati verso i porti libici, così da proseguire la diffusione dell’instabilità nel Magreb. Davanti all’evidenza di questa spola tra Turchia e Libia (avvallata dalla NATO), anche la stampa più irregimentata non può tacere e su Il Sole 24 ore è apparso il 5 febbraio l’articolo “Il mistero dei cargo fantasma, porta d’ingresso dei terroristi nel Mediterraneo”1.
La destabilizzazione del Medio Oriente persegue tre obbiettivi principali:
- l’eliminazione di qualsiasi minaccia strategica (Iraq, Siria, Libano, Egitto, Libia) per Israele;
- l’attivazione di imponenti flussi migratori verso l’Europa continentale, con chiare finalità eversive;
- impedire che il vuoto di potere, lasciato da un impero angloamericano agli sgoccioli, sia colmato da Russia, Cina e (può sembrare insensato paragonarsi a due colossi, ma non lo è, considerando la posizione geografica strategica) Italia.
Con la prima (1991) e la seconda (2003) Guerra del Golfo, l’attivismo angloamericano tocca lo zenit: prima il Golfo Persico è disseminato di basi navali (Bahrein, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, etc.) e poi si tenta il controllo terrestre con l’invasione dell’Iraq. L‘Egitto che, dopo la lunga parentesi filo-sovietica di Gamal Nasser (1918-1970), è traghettato in orbita americana dal suo successore Anwar al-Sadat (1918-1981), ricopre un ruolo strategico, in quanto attraverso il Canale di Suez è possibile spostare rapidamente la flotta dal Mediterraneo al Golfo Persico secondo le esigenze: supera il miliardo di dollari annuo il flusso di denaro da Washington verso il Cairo, così da comprarsi la benevolenza dell’esercito egiziano, colonna portante del Paese e proprietario di un’ampia fetta dell’industria nazionale.
Il 2011 rappresenta il giro di boa: alla strategia imperiale dei neo-conservatori (ormai insostenibile), subentra quella della destabilizzazione, condotta dal duo Barack Obama-Hillary Clinton.
In Egitto scatta l’ora della classica rivoluzione colorata, condotta con il decisivo apporto dei servizi occidentali e di ONG straniere come la serba Otpor!: si legga a questo proposito l’illuminante articolo del febbraio 2011, “From Resistance to Revolution and Back Again: What Egyptian Youth Can Learn From Otpor When Its Activists Leave Tahrir Square”2 , edito dall’influente pensatoio americano Carnagie Council, dove è illustrato il ruolo dei movimenti di protesta eterodiretti dagli angloamericani.
Il presidente Hosni Mubarak, per vent’anni fedele servitore della causa atlantica, è brutalmente rovesciato come un “sanguinario dittatore” qualunque: al suo posto, invece, gli angloamericani preparano l’avvento dei Fratelli Mussulmani che, nell’estate del 2012, conquistano la presidenza con Mohamed Morsi.
La Fratellanza Mussulmana, nata in Egitto negli anni ’20 sotto il protettorato britannico, è l’antesignano dell’ISIS: un movimento retrograda ed oscurantista, ideato per catalizzare la protesta attorno agli ideali islamisti ed arginare il ben più pericoloso (nell’ottica delle potenze coloniali) nazionalismo panarabista. Negli anni ’20 gli inglesi usano la Fratellanza mussulmana per frenare l’avanzata degli indipendentisti del Wafd, che tentano invano di liberarsi dal giogo britannico con la rivoluzione del 1919. Nel 1954 è deposto con un colpo di stato il filo-inglese re Faruq ed è proclamata la repubblica, guidata dal generale Gamal Nasser: lo stesso anno la neonata ENI di Enrico Mattei entra in Egitto, scatenando l’ira di Londra. Immediatamente la Fratellanza Mussulmana è aizzata contro Nasser e, dopo un primo tentativo di assassinio del presidente egiziano, l’organizzazione è bandita: rimarrà tale fino al 2011, quando gli angloamericani decidono che è giunto il tempo per il loro vecchio arnese di prendere in mano il Paese.
L’Egitto sotto la guida di Mohamed Morsi e della Fratellanza va velocemente a rotoli: le violenze interreligiose esplodono (la comunità dei cristiani copti è sottoposta ad una vera persecuzione3), aumentano gli episodi di attacchi terroristici, il turismo si liquefa, le riserve monetarie si assottigliano e la lira egiziana sprofonda. L’Egitto, che sotto la presidenza di Mubarack era un Paese a medio reddito ed in costante crescita, si avvicina al baratro: a porre fine all’esperienza dei Fratelli Mussulmani ci pensa l’esercito dalle cui fila esce, come nel 1954, il nuovo presidente Abd Al-Sisi. Nell’agosto del 2013 Mohamed Morsi è deposto e la reazione della Fratellanza duramente repressa: sarà già stata bandita quando il voto del 2014 elegge Al-Sisi nuovo capo di Stato.
Si ripropone uno scenario non dissimile da quello del 1954 con l’avvento di Nasser, cui, non a caso, si richiama espressamente Al-Sisi: da un lato Londra (con l’aggiunta ora di Washington) cerca di eliminarlo con il terrorismo islamico, dall’altro Mosca (con l’aggiunta ora di Pechino) cavalca la svolta politica. L’Italia che, proprio come nel 1954, ha tutto da guadagnare da un Egitto stabile ed indipendente (per questioni di economia e sicurezza), guarda con favore all’insediamento di un nuovo “nasseriano” alla guida del Paese: come ai tempi di Enrico Mattei, è sempre l’ENI la protagonista indiscussa della nostra politica estera.
Analizziamo più nel dettaglio la dinamica in atto.
La penisola del Sinai svolge il ruolo assolto in Siria dai confini con la Giordani e la Turchia: è la frontiera porosa da cui israeliani ed angloamericani introducono i miliziani dell’ISIS, che premono verso il canale di Suez ed il Mar Rosso. Si sono registrati già numerosi e sanguinosi scontri con l’esercito e ad essere presa di mira è in particolare la strategica industria del turismo, fonte di occupazione e valuta straniera: da ultimo, agli inizi di gennaio è stato sventato un attentato agli alberghi di Hurgada. Il turismo, che nel 2007 contribuiva quasi al 20% del PIL4, è sceso così al 14% attuale, nonostante il suo rilancio fosse uno dei cavalli di battaglia di Al-Sisi: l’attentato lo volo Metrojet, seguito dal precipitoso rientro dei turisti occidentali si voli militari, e lo stillicidio di attacchi alle località del Mar Rosso, sono funzionali alla destabilizzazione economica del Paese.
La Russia, al contrario, ha subito incrementato le sinergie con l’Egitto di Al-Sisi, firmando importanti accordi in campo economico e militare (tra cui l’ammodernamento delle difesa aerea5), culminati con l’intesa per la costruzione di un centrale nucleare nei pressi di Alessandria6: come rappresaglia contro l’attivismo mediorientale di Mosca e per infliggere un durissimo colpo all’industria vacanziera, a fine ottobre è orchestrato l’attentato al volo russo Metrojet 9268. Non è da meno la Cina che, durante la recente visita del presidente Xi Jinping al Cairo, ha espresso il suo apprezzamento per la “stabilità e lo sviluppo” garantiti da Al-Sisi, perfezionando prestiti ed investimenti miliardari7.
Veniamo infine all’Italia che, storicamente in buoni rapporti con l’Egitto (la comunità italiana ad Alessandria ed al Cairo era sin dall’Ottocento una delle più numerose ed apprezzate), ha ulteriormente incrementato negli ultimi anni la collaborazione, per due motivi: geopolitici ed economici.
Geopolitici perché, dopo la destabilizzazione di Tunisia, Libia e Siria, è imperativo per l’Italia che l’Egitto non sia travolto dal terrorismo islamico o da qualche rivoluzione colorata ma, al contrario, collabori per la stabilizzazione della Libia. Economici perché l’Italia (primo partner commerciale dell’Egitto in Europa e terzo al mondo8) è stata artefice, proprio come nel 1954, di un ulteriore penetrazione economica dopo l’avvento del nasseriano Abd Al-Sisi: ad Intesa San-Paolo, Pirelli, Danieli ed Italcementi, si sono affiancate centinaia di imprese di medie dimensioni, consento un balzo del 10% dell’interscambio tra il 2013 ed il 20149.
Già la scorsa estate collegammo l’esplosione dell’autobomba davanti al consolato italiano del Cairo, al dinamismo politico ed economico dell’Italia ma, ex-post, si può essere ancora più precisi, riconducendo quell’avvertimento mafioso alla specifica attività dell’ENI: la bomba esplode l’11 luglio ed il 30 agosto il gruppo di San Donato milanese annuncia ufficialmente10 la scoperta dell’enorme giacimento “Zohr” che, con i suoi 850 miliardi di metri cubi di gas, è capace di soddisfare i fabbisogni dell’Egitto per due decenni. Negli ambienti dei servizi segreti e delle compagnie petrolifere, la notizia doveva già circolare ad inizio luglio e l’attentato dinamitardo va senza dubbio ricondotto a ciò.
Per l’Egitto il giacimento Zohr significa un risparmio miliardario sulla bolletta del gas, liberando così risorse per lo sviluppo, e un accresciuto ruolo geopolitico, grazie all’indipendenza energetica; per l’Italia significa mettere a segno il secondo grande successo in Africa (dopo i maxi giacimenti del Mozambico) ed un’accresciuta influenza in Paese cruciale per gli assetti del Mediterraneo, del mondo arabo e del Golfo Persico (attraverso Suez).
Regeni una spia? Più che altro l’uomo giusto nel posto giusto
Il 3 febbraio, in una fase cruciale dei rapporti tra Italia ed Egitto, è trovato il corpo del 28enne friulano Giulio Regeni, scomparso al Cairo il 25 gennaio: il cadavere mostra segni di tortura, che i media collegano immediatamente agli interrogatori “energici” cui i servizi segreti egiziani e la polizia sottoporrebbero i dissenti politici. Regeni, infatti, è in contatto con gli ambienti dell’opposizione ed emerge presto che il giovane ha pubblicato qualche articolo su Il Manifesto, con toni molto critici verso il governo: il regime egiziano, insinuano i giornali (vedremo quali), ha seviziato ed ucciso un giovane attivista italiano. Per la relazione Roma ed il Cairo è un colpo durissimo: i media parlano di “alta tensione”, “crisi” e “bivio nei rapporti”.
Il primo interrogativo da porsi è: chi era Giulio Regeni? Perché proprio lui è vittima di quest’omicidio, che ha tutte le sembianze della classica operazione clandestina di un servizio segreto?
Classe 1988, dottorando in economia all’università di Cambridge, un pluriennale studio della lingua araba alle spalle, Giulio Regeni era in Egitto dal settembre 2015, ospite dell’American University, per scrivere la propria tesi di dottorato sull’economia egiziana.
Il giovane friulano, “un marxista-gramsciano” interessato ai problemi del mondo operaio, non circoscrive la sua permanenza al Cairo alla semplice raccolta di informazioni per la tesi, ma entra in contatto con gli ambienti dell’opposizione ed, in particolare, i sindacati indipendenti: Regeni ha infatti un visione piuttosto politicizzata dell’Egitto di Al-Sisi, da lui definito “autoritario e repressivo”. Dalle frequentazioni con i movimenti di protesta, Regeni ricava spunti per la redazione di alcuni articoli che non invia in Inghilterra, bensì in Italia, dove sono pubblicati su Il Manifesto con un “nomme de plume”, così da proteggerne l’identità: è lo stesso giornalista de il Manifesto, Giuseppe Acconcia, a svelare la collaborazione di Regeni con la testata della “sinistra rivoluzionaria”, asserendo che il giovane friulano usava uno pseudonimo perché “aveva paura per la sua incolumità”11 (tesi poi smentita dai genitori del ragazzo).
Abbiamo più volte nominato il giornalista Giuseppe Acconcia nelle nostre analisi, notando la sua veemenza nell’attaccare e screditare l’ex-generale Al-Sisi in un momento in cui, al contrario, la collaborazione tra Roma ed il Cairo si faceva, oggettivamente, più pressante che mai.
Acconcia, guarda caso, ha anch’egli un passato all’American University del Cairo, come è stato pure collaboratore dell’Opendemocracy12 finanziata dallo speculatore George Soros. Azzardiamo quindi la prima ipotesi: è attraverso l’American University che Regeni avvia la collaborazione con Il Manifesto, una testata da cui partono sovente attacchi a testa bassa contro “il regime autoritario” di Al-Sisi. Lo stesso giornale marxista su cui scrive Acconcia ha una storia piuttosto originale: nato nel 1969 da una scissione a sinistra del PCI, il gruppo di intellettuali che ruotano attorno a Il Manifesto è, insieme ad altre formazioni come Lotta Continua e Potere Operaio, uno degli strumenti che Londra e Washington utilizzano per lavorare ai fianchi il Partito Comunista Italiano13. Il Manifesto, negli anni ’70 e ’80, attacca infatti frontalmente Botteghe Oscure, collocandosi su pozioni antisovietiche ed anti-berlingueriane.
A questo punto sorge spontanea la domanda: Giulio Regeni lavorava nel milieu delle rivoluzioni colorate, con cui israeliani ed angloamericani hanno rovesciato Mubarack nel 2011 e rovescerebbero volentieri anche il presidente Al-Sisi? Faceva parte Regeni di un servizio segreto inglese od americano?
La parola “spia” è più volte apparsa collegata al nome del giovane dottorando friulano in questi giorni, tanto che i servizi d’informazione italiani si sono visti costretti a negare pubblicamente qualsiasi collegamento con Regeni14 (non parlando ovviamente a titolo di altri servizi NATO). Il titolo più significativo a questo è probabilmente quello che compare su La Repubblica l’8 febbraio: “Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia”15. Regeni forse non era un agente dei servizi angloamericani, ma sicuramente poteva apparire tale nella narrazione.
Ricapitoliamo: abbiamo un giovane italiano al Cairo, dove frequenta l’American University ed è in contatto con gli ambienti dell’opposizione politica di Al-Sisi. Giulio Regeni è in sostanza l’uomo perfetto per inscenare una retata della polizia contro gli oppositori, seguita da un brutale interrogatorio che i servizi del “regime autoritario” riservano alle “spie”, seguita infine dal ritrovamento del corpo martoriato, così da mettere in crisi i rapporti tra Italia ed Egitto in una fase cruciale.
Giulio Regeni non era forse una spia, ma sicuramente era l’uomo giusto, nel posto giusto: il suo passaporto, i contatti con l’opposizione, la conoscenza dell’arabo e alla frequentazione dell’American University, lo rendevano perfetto per simulare il brutale interrogatorio di una potenziale spia finito in tragedia, propedeutico alla crisi diplomatica tra Roma ed il Cairo.
Gli ingranaggi di una operazione clandestina
Per avvalorare la nostra tesi, che Regeni sia stato cioè rapito ed ucciso su mandato dei servizi angloamericani, la tempistica e la dinamica ricoprono un ruolo centrale.
Cominciamo con la data della sparizione, il 25 gennaio: non è un giorno qualsiasi in Egitto, perché coincide con il quinto anniversario della rivoluzione che nel 2011 spodesta Hosni Mubarack. Scegliendo di agire in quella specifica data, gli aguzzini di Regeni intendono dare da subito un connotato politico al rapimento ed alla successiva morte, utile ad inquadrare l’assassinio nella cornice del “repressione del regime”. I media complici, non a caso, riporteranno in un primo momento la notizia (poi rivelatasi falsa) che Regeni è scomparso dopo una retata della polizia contro i manifestanti del 25 gennaio: “Giulio Regeni arrestato con 40 oppositori e torturato per due giorni all’oscuro di Al Sisi” scrive l’Huffington Post a distanza di due giorni dal ritrovamento.
La verità è però un’altra: Regeni, la sera del 25 gennaio, quando esce di casa non è diretto a nessuna manifestazione, bensì ad una festa tra amici: il movente politico del rapimento, fondamentale nella narrazione, traballa. Si cerca quindi di correre ai ripari e nell’articolo “Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: “Ucciso per le sue idee“”, che compare su La Repubblica il 6 febbraio, si legge16:
In ogni caso, ora, Giulio Regeni è nelle mani dei suoi rapitori: si aprono tre scenari.
Nel primo, Giulio Regeni non è una la vittima inconsapevole di un’operazione clandestina: la polizia od i servizi segreti lo arrestano perché in compagnia di dissenti e manifestanti in odore di Ong straniere, lui ha interesse a dire che è italiano per non subire qualche interrogatorio “energico”, gli agenti controllano il passaporto e appurano che Regeni è cittadino di un Paese amico, il dottorando è etichettato come “persona non gradita” ed è costretto a lasciare l’Egitto entro 48 ore. Fine della storia. L’8 febbraio il ministro degli Interni egiziano ribadisce però, è bene ricordarlo, che Regeni non è mai stato imprigionato da nessuna autorità dello Stato17, mentre Regeni è ritrovato morto e con evidenti segni di tortura.
Secondo scenario, variante del primo: Regeni è prelevato da qualche apparato opaco dello Stato o corpo paramilitare, è pestato per estorcergli qualche informazione, il dottorando muore nell’interrogatorio. A questo punto i suoi aguzzini hanno tra le mani il corpo di un cittadino europeo che mostra evidenti segni di tortura (le unghie strappate a mani e piedi e le orecchie mozzate): per non generare un incidente diplomatico potenzialmente esplosivo, il corpo di Regeni è fatto sparire ed il friulano diventa un “cittadino scomparso”, rimanendo tale per sempre. Non solo il corpo di Regeni è invece ritrovato, ma l’autopsia dimostra che non è morto in maniera fortuita durante “l’interrogatorio” (arresto cardiaco o emorragie interne), bensì gli è stato deliberatamente spezzato il collo18.
Terzo scenario: Regeni è vittima di un’operazione clandestina, tesa a danneggiare i rapporti tra Italia ed Egitto. I suoi aguzzini (non necessariamente “servizi deviati”, ma anche semplice manovalanza locale o qualcuno della rete dei Fratelli Mussulmani), lo rapiscono il 25 gennaio, lo sottopongono a tortura, non per estorcergli informazioni ma per simulare un interrogatorio “da regime oppressivo”. Al termine lo uccidono spezzandogli il collo e, infine, fanno in modo che il corpo straziato del ricercatore, l’amico dei dissidenti scomparso l’anniversario della rivoluzione, sia ritrovato. Questo è quanto avviene e questa, quasi sicuramente, è la ricostruzione corretta: la tempistica del ritrovamento del corpo e gli avvenimenti successivi corroborano la tesi.
Il cadavere di Giulio Regeni è rinvenuto il 3 febbraio su un cavalcavia dell’autostrada tra il Cairo ed Alessandria e l’artefice della macabra scoperta è un tassista, fermatosi sul ciglio della strada per un guasto all’auto19: al momento non si è ancora stabilita la data del decesso, ma il fatto che il corpo non sia stato abbandonato in posto isolato, ma sui bordi della strada, significa che i suoi aguzzini volevano che il corpo fosse rinvenuto nella giornata del 3 febbraio. Perché?
Perché quel giorno è in programma un incontro ai massimi livelli tra il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, e le autorità egiziane, compreso il presidente Abd Al-Sisi. Così recita l’Agi20, poco prima che il corpo di Regeni sia ritrovato: “Guidi e’ giunta oggi in Egitto alla guida di una delegazione di 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria. Il programma della visita prevede incontri con il presidente della Repubblica Abdel Fatah al Sisi, con il primo ministro Sherif Ismail, tutti i ministri economici, l’Autorita’ del Canale di Suez e altri interlocutori”.
Appena si diffonde la notizia del ritrovamento del cadavere di Regeni, la Guidi, volente o nolente, rientra immediatamente a Roma e la delegazione è sospesa21.
Non solo, ma a leggere la Repubblica, il rinvenimento del corpo del giovane friulano cade anche in un momento decisivo per il perfezionamento dei contratti tra l’ENI e le autorità egiziane, concernenti lo sfruttamento dell’enorme giacimento Zohr. Così scrive Fabio Scuto, esperto di Medio Oriente che ha seguito per conto di La Repubblica tutte le vicende dell’Undici Settembre22:
L’imbarazzo per le autorità egiziane è palpabile e, non è chiaro se le notizie siano autentiche oppure (più probabile) ulteriori tentativi dei media di screditare il Cairo, inscenando un tentativo di depistaggio, si parla nelle prime ore di un incidente stradale e di un omicidio a sfondo sessuale.
A questo punto parte la grancassa delle tre principali testate dell’establishment euro-atlantico (La Repubblica, il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore) per screditare l’Egitto di Al-Sisi, coll’obbiettivo di infliggere il massimo danno possibile alle relazioni italo-egiziane. Riportiamo sinteticamente qualche titolo: “Italiano ucciso in Egitto, dove il regime reprime gli oppositori”23; “Il vero volto dell’Egitto che nessuno vuole vedere”24; “Gli affari miliardari tra Egitto e Italia che fanno dimenticare i diritti umani”25; “Egitto, le testimonianze: “Torture nelle carceri di al-Sisi. Elettroshock e abusi sessuali”. Hrw: “Peggio di Mubarak””26; ““Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia””27; “Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: “Ucciso per le sue idee””28.
Già, perché a dare un’impronta tutta “politica” al rapimento ed all’uccisione di Giulio Regeni, ci hanno pensato i suoi amici de Il Manifesto che, contro la volontà dei suoi genitori (tanto che per certo momento è ventilata un’azione legale29), diffondono (dietro pressione di chi?) l’ultimo articolo inviato dal giovane ricercatore alla redazione del giornale, spedito a metà gennaio, ma mai pubblicato sino ad allora: è il pezzo “In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti”30, utile a dimostrare che Regeni era politicamente attivo, un avversario del “regime” e quindi pericoloso per lo stesso.
Esattamente come l’attentato al volo Metrojet si prefiggeva il duplice obbiettivo di punire la Russia per la sua ingerenza nello scacchiere mediorientale ed infliggere un colpo letale alla strategica industria vacanziera egiziana, così anche l’omicidio Regeni da un lato tenta di frenare l’attivismo italiano, dall’altro è l’ennesimo attacco al già debilitato turismo sul Nilo: i media occidentali diffondono urbi et orbi l’appello dell’attivista Mona Seif a non visitare in Egitto, perché si muore ogni giorno, la polizia tortura la gente, quando questa non sparisce nel nulla. “Caso Regeni, l’attivista Mona Seif: “Stranieri, non venite in Egitto. Qui si muore ogni giorno””31 titola Repubblica il 5 febbraio: quanti posti di lavoro sono stati distrutti dalla diffusione internazionale di questo messaggio? In quanti centinaia di milioni è quantificabile il danno inflitto all’economia egiziana dalla 29enne Seif, già coinvolta nella rivoluzione colorata del 2011?
Quanto finora abbiamo detto è noto ai servizi segreti italiani ed egiziani, tanto che tra i fiumi d’inchiostro versati sull’omicidio Regeni, di tanto in tanto affiora qualche voce fuori dal coro, sommersa presto dalla martellante propaganda atlantica. È il caso dell’ambasciatore egiziano in Italia Amr Helmy, secondo cui:
Parte quindi una seconda campagna diplomatica e mediatica, che trascende Roma ed il Cairo, e si colloca sull’asse Londra-Washington, sfruttando il fatto che Regeni studiava in atenei inglesi e statunitensi.
Dall’Inghilterra è lanciata la raccolta di firme tra figure del mondo accademico affinché, partendo dall’omicidio di Regeni, sia condotta un‘investigazione imparziale sui tutti i casi di “sparizione, tortura e morte in carcere consumatesi tra gennaio e febbraio”. Il documento che appare sul The Guardian sotto forma di lettera (“Egypt must look into all reports of torture, not just the death of Giulio Regeni”32) dipinge l’Egitto di Al-Sisi come una dittatura sudamericana degli anni più bui della Guerra Fredda, basandosi, ovviamente, sulle informazioni prodotte dalle solite ONG (Amnesty International, Human Rights Watch, Freedom House) che, etichettando gli Stati ostili come “regimi”, aprono la strada a bombardamenti/rivoluzioni.
Non sono da meno gli Stati Uniti, dove Barack Obama, le cui mani grondano sangue per aver gettato nel caos il Medio Oriente, sceglie di interessarsi del caso Giulio Regeni, per evitare chiaramente che italiani ed egiziani neutralizzino il tentativo di lacerare i rapporti: “Regeni, Obama a Mattarella: Usa pronti a collaborare per verità” pubblicano le agenzie33.
Si arriva così alla situazione per cui i probabili aguzzini di Regeni sono i più strenui sostenitori di un’approfondita indagine, da estendersi, coll’occasione, alle altre “brutalità del regime oppressore di Al-Sisi”. Come direbbero all’università di Cambridge: such a paradox, isn’t it?
Il 3 febbraio, in una fase cruciale dei rapporti tra Italia ed Egitto, è trovato il corpo del 28enne friulano Giulio Regeni, scomparso al Cairo il 25 gennaio: il cadavere mostra segni di tortura, che i media collegano immediatamente agli interrogatori “energici” cui i servizi segreti egiziani e la polizia sottoporrebbero i dissenti politici. Regeni, infatti, è in contatto con gli ambienti dell’opposizione ed emerge presto che il giovane ha pubblicato qualche articolo su Il Manifesto, con toni molto critici verso il governo: il regime egiziano, insinuano i giornali (vedremo quali), ha seviziato ed ucciso un giovane attivista italiano. Per la relazione Roma ed il Cairo è un colpo durissimo: i media parlano di “alta tensione”, “crisi” e “bivio nei rapporti”.
Il primo interrogativo da porsi è: chi era Giulio Regeni? Perché proprio lui è vittima di quest’omicidio, che ha tutte le sembianze della classica operazione clandestina di un servizio segreto?
Classe 1988, dottorando in economia all’università di Cambridge, un pluriennale studio della lingua araba alle spalle, Giulio Regeni era in Egitto dal settembre 2015, ospite dell’American University, per scrivere la propria tesi di dottorato sull’economia egiziana.
Il giovane friulano, “un marxista-gramsciano” interessato ai problemi del mondo operaio, non circoscrive la sua permanenza al Cairo alla semplice raccolta di informazioni per la tesi, ma entra in contatto con gli ambienti dell’opposizione ed, in particolare, i sindacati indipendenti: Regeni ha infatti un visione piuttosto politicizzata dell’Egitto di Al-Sisi, da lui definito “autoritario e repressivo”. Dalle frequentazioni con i movimenti di protesta, Regeni ricava spunti per la redazione di alcuni articoli che non invia in Inghilterra, bensì in Italia, dove sono pubblicati su Il Manifesto con un “nomme de plume”, così da proteggerne l’identità: è lo stesso giornalista de il Manifesto, Giuseppe Acconcia, a svelare la collaborazione di Regeni con la testata della “sinistra rivoluzionaria”, asserendo che il giovane friulano usava uno pseudonimo perché “aveva paura per la sua incolumità”11 (tesi poi smentita dai genitori del ragazzo).
Abbiamo più volte nominato il giornalista Giuseppe Acconcia nelle nostre analisi, notando la sua veemenza nell’attaccare e screditare l’ex-generale Al-Sisi in un momento in cui, al contrario, la collaborazione tra Roma ed il Cairo si faceva, oggettivamente, più pressante che mai.
Acconcia, guarda caso, ha anch’egli un passato all’American University del Cairo, come è stato pure collaboratore dell’Opendemocracy12 finanziata dallo speculatore George Soros. Azzardiamo quindi la prima ipotesi: è attraverso l’American University che Regeni avvia la collaborazione con Il Manifesto, una testata da cui partono sovente attacchi a testa bassa contro “il regime autoritario” di Al-Sisi. Lo stesso giornale marxista su cui scrive Acconcia ha una storia piuttosto originale: nato nel 1969 da una scissione a sinistra del PCI, il gruppo di intellettuali che ruotano attorno a Il Manifesto è, insieme ad altre formazioni come Lotta Continua e Potere Operaio, uno degli strumenti che Londra e Washington utilizzano per lavorare ai fianchi il Partito Comunista Italiano13. Il Manifesto, negli anni ’70 e ’80, attacca infatti frontalmente Botteghe Oscure, collocandosi su pozioni antisovietiche ed anti-berlingueriane.
A questo punto sorge spontanea la domanda: Giulio Regeni lavorava nel milieu delle rivoluzioni colorate, con cui israeliani ed angloamericani hanno rovesciato Mubarack nel 2011 e rovescerebbero volentieri anche il presidente Al-Sisi? Faceva parte Regeni di un servizio segreto inglese od americano?
La parola “spia” è più volte apparsa collegata al nome del giovane dottorando friulano in questi giorni, tanto che i servizi d’informazione italiani si sono visti costretti a negare pubblicamente qualsiasi collegamento con Regeni14 (non parlando ovviamente a titolo di altri servizi NATO). Il titolo più significativo a questo è probabilmente quello che compare su La Repubblica l’8 febbraio: “Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia”15. Regeni forse non era un agente dei servizi angloamericani, ma sicuramente poteva apparire tale nella narrazione.
Ricapitoliamo: abbiamo un giovane italiano al Cairo, dove frequenta l’American University ed è in contatto con gli ambienti dell’opposizione politica di Al-Sisi. Giulio Regeni è in sostanza l’uomo perfetto per inscenare una retata della polizia contro gli oppositori, seguita da un brutale interrogatorio che i servizi del “regime autoritario” riservano alle “spie”, seguita infine dal ritrovamento del corpo martoriato, così da mettere in crisi i rapporti tra Italia ed Egitto in una fase cruciale.
Giulio Regeni non era forse una spia, ma sicuramente era l’uomo giusto, nel posto giusto: il suo passaporto, i contatti con l’opposizione, la conoscenza dell’arabo e alla frequentazione dell’American University, lo rendevano perfetto per simulare il brutale interrogatorio di una potenziale spia finito in tragedia, propedeutico alla crisi diplomatica tra Roma ed il Cairo.
Gli ingranaggi di una operazione clandestina
Per avvalorare la nostra tesi, che Regeni sia stato cioè rapito ed ucciso su mandato dei servizi angloamericani, la tempistica e la dinamica ricoprono un ruolo centrale.
Cominciamo con la data della sparizione, il 25 gennaio: non è un giorno qualsiasi in Egitto, perché coincide con il quinto anniversario della rivoluzione che nel 2011 spodesta Hosni Mubarack. Scegliendo di agire in quella specifica data, gli aguzzini di Regeni intendono dare da subito un connotato politico al rapimento ed alla successiva morte, utile ad inquadrare l’assassinio nella cornice del “repressione del regime”. I media complici, non a caso, riporteranno in un primo momento la notizia (poi rivelatasi falsa) che Regeni è scomparso dopo una retata della polizia contro i manifestanti del 25 gennaio: “Giulio Regeni arrestato con 40 oppositori e torturato per due giorni all’oscuro di Al Sisi” scrive l’Huffington Post a distanza di due giorni dal ritrovamento.
La verità è però un’altra: Regeni, la sera del 25 gennaio, quando esce di casa non è diretto a nessuna manifestazione, bensì ad una festa tra amici: il movente politico del rapimento, fondamentale nella narrazione, traballa. Si cerca quindi di correre ai ripari e nell’articolo “Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: “Ucciso per le sue idee“”, che compare su La Repubblica il 6 febbraio, si legge16:
“Anche perché il 25 gennaio non è un giorno qualsiasi per il Cairo: è l’anniversario delle proteste di piazza Tahir ed è possibile, dicono fonti dell’intelligence italiana, che Giulio abbia incontrato alcuni ragazzi pronti a manifestare. E che qualcuno, magari pezzi deviati dalla polizia egiziana, abbia deciso di punirli prima che scendessero in piazza.”Un giovane dottorando, che secondo i genitori non si sente minacciato, esce di casa per recarsi ad una festa la sera del 25 gennaio, forse incontra dei manifestanti e, magari, la polizia li arresta, prima che scendano in piazza: è un’evidente forzatura. La nostra tesi è che gli aguzzini abbiano invitato Regeni ad una manifestazione, ma lui ha preferito la festa tra amici ; a quel punto, comunque, si è deciso di agire la sera del 25 gennaio, anniversario della rivoluzione, secondo la tabella di marcia iniziale.
In ogni caso, ora, Giulio Regeni è nelle mani dei suoi rapitori: si aprono tre scenari.
Nel primo, Giulio Regeni non è una la vittima inconsapevole di un’operazione clandestina: la polizia od i servizi segreti lo arrestano perché in compagnia di dissenti e manifestanti in odore di Ong straniere, lui ha interesse a dire che è italiano per non subire qualche interrogatorio “energico”, gli agenti controllano il passaporto e appurano che Regeni è cittadino di un Paese amico, il dottorando è etichettato come “persona non gradita” ed è costretto a lasciare l’Egitto entro 48 ore. Fine della storia. L’8 febbraio il ministro degli Interni egiziano ribadisce però, è bene ricordarlo, che Regeni non è mai stato imprigionato da nessuna autorità dello Stato17, mentre Regeni è ritrovato morto e con evidenti segni di tortura.
Secondo scenario, variante del primo: Regeni è prelevato da qualche apparato opaco dello Stato o corpo paramilitare, è pestato per estorcergli qualche informazione, il dottorando muore nell’interrogatorio. A questo punto i suoi aguzzini hanno tra le mani il corpo di un cittadino europeo che mostra evidenti segni di tortura (le unghie strappate a mani e piedi e le orecchie mozzate): per non generare un incidente diplomatico potenzialmente esplosivo, il corpo di Regeni è fatto sparire ed il friulano diventa un “cittadino scomparso”, rimanendo tale per sempre. Non solo il corpo di Regeni è invece ritrovato, ma l’autopsia dimostra che non è morto in maniera fortuita durante “l’interrogatorio” (arresto cardiaco o emorragie interne), bensì gli è stato deliberatamente spezzato il collo18.
Terzo scenario: Regeni è vittima di un’operazione clandestina, tesa a danneggiare i rapporti tra Italia ed Egitto. I suoi aguzzini (non necessariamente “servizi deviati”, ma anche semplice manovalanza locale o qualcuno della rete dei Fratelli Mussulmani), lo rapiscono il 25 gennaio, lo sottopongono a tortura, non per estorcergli informazioni ma per simulare un interrogatorio “da regime oppressivo”. Al termine lo uccidono spezzandogli il collo e, infine, fanno in modo che il corpo straziato del ricercatore, l’amico dei dissidenti scomparso l’anniversario della rivoluzione, sia ritrovato. Questo è quanto avviene e questa, quasi sicuramente, è la ricostruzione corretta: la tempistica del ritrovamento del corpo e gli avvenimenti successivi corroborano la tesi.
Il cadavere di Giulio Regeni è rinvenuto il 3 febbraio su un cavalcavia dell’autostrada tra il Cairo ed Alessandria e l’artefice della macabra scoperta è un tassista, fermatosi sul ciglio della strada per un guasto all’auto19: al momento non si è ancora stabilita la data del decesso, ma il fatto che il corpo non sia stato abbandonato in posto isolato, ma sui bordi della strada, significa che i suoi aguzzini volevano che il corpo fosse rinvenuto nella giornata del 3 febbraio. Perché?
Perché quel giorno è in programma un incontro ai massimi livelli tra il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, e le autorità egiziane, compreso il presidente Abd Al-Sisi. Così recita l’Agi20, poco prima che il corpo di Regeni sia ritrovato: “Guidi e’ giunta oggi in Egitto alla guida di una delegazione di 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria. Il programma della visita prevede incontri con il presidente della Repubblica Abdel Fatah al Sisi, con il primo ministro Sherif Ismail, tutti i ministri economici, l’Autorita’ del Canale di Suez e altri interlocutori”.
Appena si diffonde la notizia del ritrovamento del cadavere di Regeni, la Guidi, volente o nolente, rientra immediatamente a Roma e la delegazione è sospesa21.
Non solo, ma a leggere la Repubblica, il rinvenimento del corpo del giovane friulano cade anche in un momento decisivo per il perfezionamento dei contratti tra l’ENI e le autorità egiziane, concernenti lo sfruttamento dell’enorme giacimento Zohr. Così scrive Fabio Scuto, esperto di Medio Oriente che ha seguito per conto di La Repubblica tutte le vicende dell’Undici Settembre22:
“L’Italia attraverso l’ENI firmerà con l’Egitto la prossima settimana un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediterraneo. Un contratto che vale solo per i primi 3 anni 7 miliardi dollari. Congelarlo, fino ad una chiara identificazione e punizione degli assassini di Giulio, potrebbe essere una buona arma (diplomatica) di pressione.”Hai capito, Scuto? Blocchiamo il contratto miliardario dell’ENI in Egitto, così puniamo quei cattivoni degli egiziani che rapiscono e torturano i giovani dissenti! L’omicidio di Regeni si tinge di blu petrolio…
L’imbarazzo per le autorità egiziane è palpabile e, non è chiaro se le notizie siano autentiche oppure (più probabile) ulteriori tentativi dei media di screditare il Cairo, inscenando un tentativo di depistaggio, si parla nelle prime ore di un incidente stradale e di un omicidio a sfondo sessuale.
A questo punto parte la grancassa delle tre principali testate dell’establishment euro-atlantico (La Repubblica, il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore) per screditare l’Egitto di Al-Sisi, coll’obbiettivo di infliggere il massimo danno possibile alle relazioni italo-egiziane. Riportiamo sinteticamente qualche titolo: “Italiano ucciso in Egitto, dove il regime reprime gli oppositori”23; “Il vero volto dell’Egitto che nessuno vuole vedere”24; “Gli affari miliardari tra Egitto e Italia che fanno dimenticare i diritti umani”25; “Egitto, le testimonianze: “Torture nelle carceri di al-Sisi. Elettroshock e abusi sessuali”. Hrw: “Peggio di Mubarak””26; ““Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia””27; “Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: “Ucciso per le sue idee””28.
Già, perché a dare un’impronta tutta “politica” al rapimento ed all’uccisione di Giulio Regeni, ci hanno pensato i suoi amici de Il Manifesto che, contro la volontà dei suoi genitori (tanto che per certo momento è ventilata un’azione legale29), diffondono (dietro pressione di chi?) l’ultimo articolo inviato dal giovane ricercatore alla redazione del giornale, spedito a metà gennaio, ma mai pubblicato sino ad allora: è il pezzo “In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti”30, utile a dimostrare che Regeni era politicamente attivo, un avversario del “regime” e quindi pericoloso per lo stesso.
Esattamente come l’attentato al volo Metrojet si prefiggeva il duplice obbiettivo di punire la Russia per la sua ingerenza nello scacchiere mediorientale ed infliggere un colpo letale alla strategica industria vacanziera egiziana, così anche l’omicidio Regeni da un lato tenta di frenare l’attivismo italiano, dall’altro è l’ennesimo attacco al già debilitato turismo sul Nilo: i media occidentali diffondono urbi et orbi l’appello dell’attivista Mona Seif a non visitare in Egitto, perché si muore ogni giorno, la polizia tortura la gente, quando questa non sparisce nel nulla. “Caso Regeni, l’attivista Mona Seif: “Stranieri, non venite in Egitto. Qui si muore ogni giorno””31 titola Repubblica il 5 febbraio: quanti posti di lavoro sono stati distrutti dalla diffusione internazionale di questo messaggio? In quanti centinaia di milioni è quantificabile il danno inflitto all’economia egiziana dalla 29enne Seif, già coinvolta nella rivoluzione colorata del 2011?
Quanto finora abbiamo detto è noto ai servizi segreti italiani ed egiziani, tanto che tra i fiumi d’inchiostro versati sull’omicidio Regeni, di tanto in tanto affiora qualche voce fuori dal coro, sommersa presto dalla martellante propaganda atlantica. È il caso dell’ambasciatore egiziano in Italia Amr Helmy, secondo cui:
“Regeni non è mai stato sotto la custodia della nostra polizia. E noi non siamo cosi ‘naif’ da uccidere un giovane italiano e gettare il suo corpo il giorno della visita del Ministro Guidi al Cairo (…) Dovete capire che lanciare delle accuse pesanti contro le forze di sicurezza egiziane senza alcuna prova può danneggiare i nostri rapporti. Spero che la verità venga fuori il prima possibile. Non abbiamo nulla da nascondere”.Sia da parte italiana che da parte egiziana prevale la tendenza ad non esacerbare i toni, compromettendo la collaborazione su dossier strategici come quello libico ed energetico: i primi ad accorgersi che la vicenda è lasciata scivolare progressivamente nel dimenticatoio, vanificando gli obbiettivi per cui l’operazione clandestina è ideata, sono proprio gli angloamericani.
Parte quindi una seconda campagna diplomatica e mediatica, che trascende Roma ed il Cairo, e si colloca sull’asse Londra-Washington, sfruttando il fatto che Regeni studiava in atenei inglesi e statunitensi.
Dall’Inghilterra è lanciata la raccolta di firme tra figure del mondo accademico affinché, partendo dall’omicidio di Regeni, sia condotta un‘investigazione imparziale sui tutti i casi di “sparizione, tortura e morte in carcere consumatesi tra gennaio e febbraio”. Il documento che appare sul The Guardian sotto forma di lettera (“Egypt must look into all reports of torture, not just the death of Giulio Regeni”32) dipinge l’Egitto di Al-Sisi come una dittatura sudamericana degli anni più bui della Guerra Fredda, basandosi, ovviamente, sulle informazioni prodotte dalle solite ONG (Amnesty International, Human Rights Watch, Freedom House) che, etichettando gli Stati ostili come “regimi”, aprono la strada a bombardamenti/rivoluzioni.
Non sono da meno gli Stati Uniti, dove Barack Obama, le cui mani grondano sangue per aver gettato nel caos il Medio Oriente, sceglie di interessarsi del caso Giulio Regeni, per evitare chiaramente che italiani ed egiziani neutralizzino il tentativo di lacerare i rapporti: “Regeni, Obama a Mattarella: Usa pronti a collaborare per verità” pubblicano le agenzie33.
Si arriva così alla situazione per cui i probabili aguzzini di Regeni sono i più strenui sostenitori di un’approfondita indagine, da estendersi, coll’occasione, alle altre “brutalità del regime oppressore di Al-Sisi”. Come direbbero all’università di Cambridge: such a paradox, isn’t it?
1http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-02-05/il-mistero-cargo-fantasma-porta-i-terroristi-mediterraneo–172835.shtml?uuid=
2http://www.carnegiecouncil.org/publications/articles_papers_reports/0087.html
4http://knoema.com/atlas/Egypt/topics/Tourism/Travel-and-Tourism-Total-Contribution-to-GDP/Total-Contribution-to-GDP-percent-share
5http://www.defensenews.com/story/defense/2015/11/24/egypt-russia-negotiating-missile-sale/76330914/
6http://www.reuters.com/article/us-nuclear-russia-egypt-idUSKCN0T81YY20151119
7http://www.reuters.com/article/us-egypt-china-idUSKCN0UZ05I
8http://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=101
9http://www.lastampa.it/2015/07/12/esteri/con-al-sisi-rapporti-pi-stretti-e-gli-scambi-italiaegitto-volano-fO4miVkMmO4XhTocIQOVkL/pagina.html
10http://www.eni.com/it_IT/media/comunicati-stampa/2015/08/Eni-scopre_offshore_egiziano_il_piu_grande_giacimento_gas_mai_rinvenuto_nel_Mediterraneo.shtml
11http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/04/news/egitto_procura_giza_su_corpo_di_regeni_chiari_segni_di_torture_e_percosse-132694941/
12https://www.opendemocracy.net/author/giuseppe-acconcia
13Colonia Italia, Mario Cereghino e Giovanni Fasanella, Edizione Chiarelettere, 2015
14http://www.ilgiornale.it/news/mondo/i-servizi-segreti-smentiscono-regeni-non-era-agente-1220820.html
15http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/08/news/giulio_regeni-132942342/
16http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/giulio_regeni_la_pista_dei_detective_italiani_ucciso_per_le_sue_idee_-132818256/
17http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_08/regeni-l-egitto-polizia-non-coinvolta-non-mai-stato-arrestato-d3d4e7c4-ce86-11e5-8ee6-9deb6cd21d82.shtml
18http://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_07/regeni-morto-la-torsione-collo-frattura-cervicale-midollo-leso-alfano-fatto-inumano-animalesco-30e2859c-cd8e-11e5-9bb8-c57cba20e8ac.shtml
19http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2016/02/08/ASeQG8UB-arrestato_allusioni_respingiamo.shtml
20http://www.agi.it/economia/2016/02/03/news/egitto_al_sisi_incontra_guidi_italia_investa_da_noi_-484308/
21http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/02/03/news/la-farnesina-probabile-un-tragico-epilogo-per-giulio-regeni-1.12891240
22http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/le_ultime_ore_di_giulio_regeni_preso_in_piazza_dalla_polizia_-132830252/
23http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_05/italiano-ucciso-egitto-dove-regime-reprime-oppositori-0120d37e-cb8e-11e5-9200-b61ee59246a7.shtml
24http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-02-07/il-vero-volto-dell-egitto-che-nessuno-vuole-vedere-160435.shtml?uuid=ACFjhYPC
25http://www.internazionale.it/notizie/2016/02/08/egitto-italia-affari-regeni
26http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/07/egitto-le-testimonianze-torture-nelle-carceri-di-al-sisi-elettroschock-e-abusi-sessuali-hrw-peggio-di-mubarak/2440453/
27http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/08/news/giulio_regeni-132942342/
28http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/giulio_regeni_la_pista_dei_detective_italiani_ucciso_per_le_sue_idee_-132818256/
29http://ilmanifesto.info/la-famiglia-regeni-con-il-manifesto-caso-chiuso-le-priorita-sono-altre/
30http://ilmanifesto.info/in-egitto-la-seconda-vita-dei-sindacati-indipendenti/
31http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/05/news/caso_regeni_l_appello_degli_attivisti_non_venite_in_egitto_-132776297/
32http://www.theguardian.com/world/2016/feb/08/egypt-must-look-into-all-reports-of-torture-not-just-the-death-of-giulio-regeni
33http://www.askanews.it/esteri/regeni-obama-a-mattarella-usa-pronti-a-collaborare-per-verita_711729642.htm
Nessun commento:
Posta un commento