Il 22 marzo scorso Sidney Blumenthal, consulente della
Fondazione Clinton, scriveva a Hillary Clinton, attuale Segretario di
Stato USA che, a fine febbraio del 2011, alcuni funzionari del Dgse (il
servizio segreto francese) avevano avuto una serie di incontri
riservati con il leader del National Libyan Council Mustafà Jalil, nel
corso dei quali erano stati presi accordi perché il nuovo governo libico
favorisse le aziende e gli interessi nazionali francesi, soprattutto
per quanto riguarda l'industria petrolifera.
«La Francia - scriveva Blumenthal - porta avanti un programma per spingere il nuovo governo a riservare il 35 per cento dei contratti petroliferi ad aziende francesi, in particolare la Total». E aggiungeva che Jalil sarebbe stato pronto a favorire aziende francesi, inglesi e statunitensi, mentre invece era ostile all'ENI e al governo italiano.
«La Francia - scriveva Blumenthal - porta avanti un programma per spingere il nuovo governo a riservare il 35 per cento dei contratti petroliferi ad aziende francesi, in particolare la Total». E aggiungeva che Jalil sarebbe stato pronto a favorire aziende francesi, inglesi e statunitensi, mentre invece era ostile all'ENI e al governo italiano.
La Francia di Hollande e l'Inghilterra di Cameron vogliono dunque assicurarsi una buona fetta del petrolio libico, ai danni dell'industria petrolifera italiana. Ma, per far questo, debbono avere non soltanto il consenso del governo libico, ma il pieno controllo del territorio, una parte del quale è ormai occupata dall'Isis intorno alla roccaforte di Sirte.
Nella prima metà di gennaio l'obbiettivo che la Francia imperialista di Hollande si era data (dopo aver ottenuto l'applicazione dell'art. 42.7 del Trattato dell'Unione Europea sulla cosiddetta "solidarietà" in caso di aggressione) era molto chiaro: bombardare subito. E tutto era pronto: aerei da ricognizione, aerei da bombardamento, aerei da rifornimento in volo, elicotteri, droni, forze speciali in territorio libico per guidare i missili e le bombe a guida laser sugli obbiettivi prescelti. Il governo imperialista di Cameron, che ha anch'esso deciso di partecipare ai bombardamenti, aveva già offerto alla Francia la base della Raf di Akrotiri a Cipro.
Ma il governo imperialista italiano è intervenuto ai massimi livelli per sventare l'azione immediata, col pretesto che il «governo di unità nazionale» libico patrocinato dal mediatore ONU Kobler, non era ancora pronto; tuttavia, Renzi e i suoi ministri degli Esteri e della Difesa hanno affermato che anche l'Italia era pronta all'azione militare contro l'Isis, se fosse stata richiesta dal governo fantoccio libico.
Dopo il colpo ricevuto nel 2011, l'imperialismo italiano non può rinunciare al petrolio della Libia e ai profitti dell'ENI e, per ragioni geo-strategiche di influenza nel Mediterraneo, non può permettere che l'azione contro l'Isis sia compiuta a guida anglo-francese. Perciò spinge per un intervento più ampio, con la NATO e la UE.
Ma l'area del conflitto non sarebbe certo limitata all'altra riva del Mediterraneo.
I bombardamenti dovrebbero avere per obbiettivo anche i territori occupati dallo Stato islamico in Siria: Raqqa in primo luogo (che avrebbe anche un significato simbolico, perché lì sono stati progettati gli attentati di Parigi e di Beirut e quello contro l'aereo russo nel Sinai) e poi di nuovo l’Iraq, che dovrebbe essere la battaglia decisiva per le forze di terra, comprese quelle USA.
Non a caso l’armata brancaleone di Renzi, Pinotti e Gentiloni ha preso la sciagurata decisione di inviare i soldati a Mosul, una volta che avrà messo le mani sulle commesse milionarie della diga. Guerra e affari, si sa, vanno a braccetto.
La nuova aggressione imperialista in Libia si farà? Le premesse ci sono tutte. La formazione del nuovo governo libico diretto da Fayez Al Sarraj è stata accolta dai vari governi imperialisti (compreso quello di Renzi) come il segnale da tempo atteso.
Ma la situazione si è momentaneamente complicata perché il Parlamento di Tobruk ha negato la fiducia al nuovo governo di “riconciliazione”.
Intanto il fanatismo jihadista ha lanciato nuove gravissime minacce, annunciando di voler colpire Roma e Napoli. Ecco l’altra faccia degli interventi imperialisti.
La guerra avanza, ma a differenza degli anni del Vietnam non esiste più nel nostro paese un ampio movimento di lotta alla guerra imperialista.
Questo movimento è da ricostruire al più presto attraverso l’unità delle forze coerentemente antimperialiste e antifasciste, per il ritiro di tutte le truppe inviate all’estero, per dire basta alle spese militari, per l’uscita dalla NATO e dall’UE guerrafondaie e antipopolari, la cacciata delle basi USA.
Le manifestazioni dello scorso 16 gennaio, sia pure con i loro limiti, hanno infranto il clima di passività e creato una premessa che va sviluppata senza indugi per dare vita una forte opposizione popolare alla guerra imperialista.
Da: Scintilla, n. 66 – febbraio 2016
Organo di Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia
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