10/1/2016
Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in
palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla
mano, il futuro
presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada a spese: a
questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di dollari, cioè 5
volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante il ciclo
elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è Jake
Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8
novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa,
è saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti.
Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per
super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita
assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100
milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né
alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle
immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco
Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal
democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20).
A
seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il
milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il
candidato migliore o quello più foraggiato? In un’analisi pubblicata da “The AntiMedia” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, Anderson denuncia la pratica dilagante del ricorso ai “Super-Pac”, i nuovissimi “comitati di azione politica” costituiti da singoli, aziende e cartelli, con capacità di spesa praticamente
illimitata e assolutamente non-trasparente: il candidato non è tenuto a
tracciare pubblicamente il denaro ricevuto. «Inutile dire che si tratta
di un’elezione in cui la maggior parte dei candidati sono alla ricerca
di sostegno da parte dei donatori ricchi invece che dai cittadini che
sarebbero chiamati a rappresentare», scrive Anderson. «Ci si sorprenderà
nello scoprire chi è stato a donare soldi per il vostro candidato, e
come tale contributo possa influenzare le posizioni politiche future».
Guida la classifica Jeb Bush, che i sondaggi danno in calo perché
“troppo moderato” per gli elettori repubblicani. L’ultimo rampollo della
famigerata dinastia presidenziale super-guerrafondaia ha incassato 161
milioni di dollari dalla Golman Sachs, 65 da Neuberger Berman Llc, quasi
44 da Bank of America, 41,5 da Citigroup e quasi 40 da Tenet
Healthcare. Secondo i reporter investigativi della Florida, per
sostenere Jeb Bush si stanno attivando «signori texani del petrolio,
banchieri d’investimento di New York, titolari di aziende sanitarie di
Miami e perfino tre ex ambasciatori – due dei quali hanno servito sotto
il fratello, l’ex presidente George W. Bush». Totale, 25 contributi da 1
milione di dollari ciascuno. Tre milioni invece sono arrivati da Mike
Fernandez, miliardario cubano-americano fondatore di Coral Gables Mbf
Healthcare Partners. Poi c’è Hushang Ansary, ambasciatore iraniano negli
Stati Uniti dal 1967 al 1969, quindi Richard Kinder, boss della società
di oleodotti e gasdotti Kinder Morgan. E Alfred Hoffman, ambasciatore
statunitense in Portogallo dal 2005 al 2007, fondatore in Florida della
società immobiliare Wci Community. Quindi NextEra Energy, società madre
della Florida Power & Light, che fornisce
il servizio elettrico a quasi la metà dello Stato. E Julian Robertson
Jr., di New York, manager di fondi d’investimento (patrimonio personale
di 3,4 miliardi, «ha fatto la sua fortuna investendo in campi da golf e
vigneti in Nuova Zelanda»). A parte il corposo sostegno a Jeb, Wall
Street pare schierata massicciamente dalla parte di Hillary, finora
sempre sostenuta da Citigroup, Goldman Sachs, Dla Piper, Jp Morgan e
Morgan Stanley. «Molti dicono che tali alleanze irrevocabilmente la
incatenino a suddette istituzioni, rendendola incapace di regnare sopra
la corruzione finanziaria di Wall Street», scrive Anderson. Tra gli
attuali finanziatori figurano anche Morgan & Morgan, Sullivan &
Cromwell, Akin, Gump, Yale University, Latham & Watkins. «E’ anche
importante sottolineare che lo studio legale lobbista Akin, Gump,
Strauss, Hauer & Feld, che impiega molti dipendenti di Hillary, ha
preso le donazioni da due dei più grandi imprenditori delle carceri
private, Corrections Corporation of America e Geo Group, con tasse incluse, per un totale di quasi 300.000 dollari». Si chiama “Priority Usa
Action” il nuovissimo “Super-Pac” creato per sostenere la Clinton: 25
milioni di dollari in soli tre mesi. I più importanti super-donatori Pac
sono George Soros e Steven Spielberg, ma la lista comprende 31 singoli
donatori che hanno contribuito più di 200.000 dollari ciascuno. I
progressisti contestano alla Clinton il ricorso ai miliardari, ma i
sostenitori replicano che non c’è altra strada. Di recente, Hillary ha
fatto notizia «abbracciando una tattica per rivelare pubblicamente –
cosa che la nuova legge non richiede – i grandi donatori aziendali». Il
terzo incomodo, Donald Trump, fa gara a sé: ha ribadito che sarà
l’unico finanziatore della sua campagna elettorale e non accetterà
donazioni. Secondo “Forbes”, il suo patrimonio ammonta a 4,5 miliardi.
Trump assicura che si priverà di 100 milioni per auto-finanziarsi la
campagna. Dovrà vedersela innanzitutto col super-finanziato Jeb Bush e
gli altri due grandi sfidanti delle primarie, Marco Rubio e Ted Cruz, i
cui cognomi ammiccano direttamente all’elettorato “latino”. Sostenuto
dai “cubani”, Rubio ha finora raccolto quasi 32 milioni di dollari. Deve
ringraziare Goldman Sachs, Steward Health Care, Titan Farms, Florida
Cristalli e Oracle. Tra i supporter anche il miliardario Norman Braman e
Laura Perlmutter, moglie di Isacco Perlmutter, Ceo di Marvel
Entertainment. «La campagna gestita da Rubio è anche dotata di una
notevole quantità di “denaro oscuro”», racconta Anderson. «La fonte è
una norma su fondi senza scopo di lucro denominata Soluzioni Progettuali
Conservatrici, che ha
raccolto 15,8 milioni di dollari. Il no-profit, che naturalmente non è
tenuto a rivelare i suoi donatori, ha lanciato una massiccia campagna
pubblicitaria per attaccare l’accordo coll’Iran del presidente Obama».
Altro outsider temibile, anche Ted Cruz ha contestato a Obama l’accordo
con l’Iran. In più, si batte per tagliare i fondi a “Planned
Parenthood”, i pro-abortisti ufficiali. Tra i suoi sponsor figurano la
banca nazionale Woodforest, Morgan Lewis Llp, poi Gibson, Dunn &
Crutcher, Pachulski e Stang, la Jennmar Corporation. «La campagna di Ted
Cruz ha in realtà quattro “Super-Pac”, tutti finanziati da Robert
Mercer, un magnate di Long Island (fondi d’investimento), negazionista
del cambiamento climatico», spiega Anderson. «Insieme, hanno raccolto 31
milioni nelle prime quattro settimane della sua campagna». Hanno
contribuito la rete politica
dei fratelli Koch nonché i miliardari Farris e Dan Wilks, che devono la
loro ricchezza al boom del fracking in Texas. Si rivolge invece agli
elettori afroamericani il neurochirurgo Ben Carson, l’uomo nuovo dei
repubblicani: «Ha sorpreso tutti suggerendo che se George W. Bush avesse
iniziato
un abbandono del petrolio sulla scia dell’11 Settembre, prendendo
l’iniziativa diplomatica piuttosto che quella degli attacchi militari,
la nazione poteva essersi evitata una guerra
incredibilmente costosa contro il terrore». Con i suoi numeri da
sondaggio in aumento, scrive Anderson, molti esperti si chiedono ora se
Carson possa essere sfruttato come vicepresidente (di Jeb Bush,
ovviamente). Carson è sostenuto da Coca-Cola, West Coast Venture
Capital, Trailiner Corp, Ankom Tecnologia, Jea Senior Living. Il “dark
money” proviene da “OneVote”, un “Super-Pac” guidato dallo stratega
repubblicano Andy Yates, e da un altro cartello, “Run Ben Run”.
Recentemente, Carson «ha raddoppiato la retorica anti-musulmana, che
sembra aver portato le sue cifre raccolte ancora più in alto,
innalzandole a 20 milioni in questo trimestre». Zero trasparenza sui
fondi, ma non mancano informazioni indicative: pare che l’84% dei
finanziamenti provenga da una folla di micro-donatori, assegni sotto i
500 dollari. Molto differenziato – ed estramamente “etico”, se
paragonato agli altri – è il finanziamento di Bernie Sanders, l’unico
democratico finora sceso in campo contro la Clinton. Socialista, capace
di infiammare i progressisti, è finanziato quasi solo da sindacati,
lavoratori, associazioni di categoria. Gli scettici temono che, come
Obama, non avrebbe i muscoli necessari a opporsi al vero potere, Wall
Street e il complesso militare-industriale. Oltre al libertario
indipendente Rand Paul, con appena 3 milioni di dollari in tasca (e
quindi ritenuto in procinto di abbandonare la gara), nelle retrovie
repubblicane si muovo candidati minori, ancora in corsa, come Chris
Christie, data all’1% nei sondaggi eppure forte di un budget di 11
milioni di dollari. Tra i suoi sostenitori figura la Winecup-Gamble,
società del Nevada di proprietà dell’ex Ceo di Reebok, Paul Fireman, che
ha dato al gruppo un milione di dollari. «Fireman, che vive vicino
Boston, prevede un fantasmagorico profitto di 4,6 miliardi dai casinò a
Jersey City se gli elettori dello Stato approveranno un emendamento
costituzionale per permettere il gioco d’azzardo anche fuori Atlantic
City». Altri supporter di Chris Christie sono Stephen Wynn, magnate dei
casinò di Las Vegas, Steve Cohen (maganer di hedge funds), l’imperatrice
del wrestlig Linda McMahon e la numero uno di Hewlett-Packard, Meg
Whitman. Stesso budget (11 milioni) per John Kasich, governatore
dell’Ohio, mentre è più povero il portafoglio di Mike Huckabee, ex
governatore dell’Arkansas (3 milioni), così come quello di Carly Fiorina
(1,6 milioni); presidente di Hp ed esponente dell’ultra-destra, la
Fiorina è sostenuta dall’ex finanziere d’assalto Tom
Perkins nonché da vari campioni della Silicon Valley, come Paul
Otellini (già Intel) e Jerry Perenchio (ex Ceo di Univision). «Come
potete vedere – conclude Jake Anderson – le elezioni presidenziali 2016 sono, per la maggior parte, una guerra
tra donatori aziendali a tutto campo». Secondo l’analista, è importante
ricordare che molti di questi “totali” sono già obsoleti, giacchè i
team dei candidati possono strategicamente nascondere le quantità
donate, grazie alle nuove disposizioni di legge per proteggere la
raccolta fondi da qualsiasi legittima curiosità. «Insomma, noi non
conosciamo la reale portata del “denaro oscuro”», derivante dal
cosiddetto “non profit” e da associazioni imprenditoriali. «Quello che
sappiamo è che questa sarà l’elezione più costosa della storia.
I fratelli Koch da soli hanno un budget di 889 milioni di dollari. Una
volta aggiunto alla spesa prevista dai democratici e dai repubblicani,
stiamo parlando di un ticket totale di circa 5 miliardi di dollari».
Preso da: http://www.libreidee.org/2016/01/usa-elezioni-e-soldi-chi-si-compra-il-futuro-presidente/
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