3/11/2016
ROMA - Terrorismo islamico e responsabilità
occidentali. E ancora, Siria, presidenza Obama, Trump vs. Clinton. Ci
siamo fatti una chiacchierata con Fulvio Scaglione, già vicedirettore e
attuale editorialista di «Famiglia Cristiana», fondatore
dell'edizione online del giornale, che è stato a lungo corrispondente da
Mosca e ha seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche
sovietiche, poi l’Afghanistan, l’Iraq e i temi del Medio Oriente. Nel
suo ultimo libro «Il patto con il diavolo», testo per molti
aspetti drammaticamente illuminante e quantomai attuale, Scaglione mette
a fuoco il controverso ruolo dell'Occidente nella proliferazione del
terrorismo islamico. Ed è proprio da qui che siamo partiti nella nostra
intervista.
Scaglione, nel suo libro «Il patto con il diavolo»
lei descrive le responsabilità occidentali nella proliferazione del
jihadismo nelle terre mediorientali. Oltre e prima che vittime, siamo
insomma complici?
Io penso assolutamente di sì, e per una ragione molto semplice: siamo i
migliori amici dei migliori amici dei terroristi. In altre parole, tutto
ciò che noi sappiamo della gran parte del terrorismo islamico ci dice
che il luogo da cui escono le strategie e i soldi per tenere in attività
i terroristi è il Golfo Persico e le sue petromonarchie. Lo dicono
un'infinità di studi e di prove. Per chi non fosse convinto, invito a
andare a vedere il documento pubblicato da Wikileaks nel 2010 del
Dipartimento di Stato allora diretto da Hillary Clinton, catalogato con
il numero 131.801, in cui Hillary Clinton afferma che l'Arabia Saudita è
la principale finanziatrice del terrorismo, da Al Qaeda ad Hamas. Nel
documento, la Clinton accusa le autorità saudite di far finta di nulla.
Gli Usa sono i primi amici delle petromonarchie del Golfo Persico. Nel
2010, Barack Obama e Hillary Clinton controfirmarono una colossale
vendita di armi, la più grande singola vendita di armi nella storia
degli Usa, da 62 miliardi, indirizzate all'Arabia Saudita. Ma gli Stati
Uniti sono in buona compagnia: l'Inghilterra ha 200 joint ventures con
l'Arabia Saudita, l'esercito saudita è il primo cliente dell'industria
delle armi britannica; Hollande nel 2015 è andato due volte in Arabia
Saudita, tre volte il suo primo ministro Valls; nel marzo di quest'anno
Hollande ha addirittura conferito la legione d'onore al ministro
dell'Interno e principe ereditario al trono dell'Arabia Saudita; il
premier Renzi è andato in Arabia Saudita a vendere la tecnologia
italiana, e dall'Italia partono i rifornimenti di armi che l'Arabia
Saudita usa in Yemen. Se noi siamo in amicizia e in affari da decenni
con i Paesi che sono i principali sponsor del terrorismo, è ovvio che
finiamo per essere complici del terrorismo.
Lei ha definito gli Stati del Golfo Persico, Arabia Saudita in primis, il «pozzo di San Patrizio»
dei jihadisti. L'Occidente continua a sanzionare con severità la
Russia, mentre non si è vista traccia di sanzioni verso chi finanzia il
terrore. Come se lo spiega?
Questa è una storia che risale a quando, dopo il crollo del muro di
Berlino, gli Usa, presieduti da George Bush padre, con segretario di
Stato James Baker, proclamarono la politica della «esportazione della democrazia».
Questa strategia è stata applicata ovunque ci fosse un interesse
strategico. Quindi contro i nemici e gli avversari, non certo contro gli
amici che pure erano totalmente non democratici. Dopo gli attentati del
2001, George Bush jr. fece l'elenco dei Paesi canaglia, che erano Iran,
Siria e Iraq: nessuno che avesse qualcosa a che fare con gli attentati
delle Torri Gemelle. Il che significa che la teoria dell'esportazione
della democrazia è una truffa dove la democrazia c'entra ben poco.
Barack Obama ha ereditato dal suo predecessore una situazione
mediorientale molto complicata e compromessa. Come lascia oggi quelle
terre al suo successore? Qual è il bilancio di 8 anni di presidenza?
Sulla politica estera, credo che gli 8 anni di presidenza Obama siano
costellati di scarse riuscite quando non di fallimenti. Il risultato
positivo è l'accordo sul nucleare con l'Iran. Per il resto, il bilancio è
negativo. Si era molto impegnato, con il discorso del Cairo nel 2009,
per una risoluzione del problema tra israeliani e palestinesi e la
situazione semmai è peggiorata, e Obama è stato anche pubblicamente
umiliato dal premier israeliano Netanyhau. In Afghanistan, quest'anno
c'è stato il record di morti civili; in Iraq e in Siria abbiamo visto
cos'è successo; nel 2011 gli Usa di Barack Obama parteciparono a quella
disgraziatissima guerra per buttare giù Gheddafi, guerra che tanti danni
ha fatto al Medio Oriente e all'Europa. Temo che non lascerà di sè un
buon ricordo.
Sulla Siria, i media occidentali sono allineati su un'unica
narrazione, che è poi quella che riassume la posizione statunitense.
Accanto a questa, però, ce ne sono altre, meno note, come quella dei
cristiani in Siria. Quali considerazioni si sente di fare su questo, e
che ruolo ha avuto, a suo avviso, la Russia nello scenario?
La narrazione sulla Siria è influenzata dal fatto che siamo ancora
addentrati nella mentalità dell'esportazione della democrazia, ed è
quindi molto comodo prendersela con un personaggio come Bashar al Assad,
che ha responsabilità evidenti. Va ricordato però che, se certamente
non erano tipi simpatici né Gheddafi né Saddam Hussein, dopo le guerre
cosiddette «democratizzatrici» la vita in quei Paesi è
nettamente peggiorata o addirittura non è più degna di essere chiamata
tale. Per il bene dei popoli del Medio Oriente, a volte è bene scegliere
il meno peggio, e non il peggio sperando che poi arrivi il meglio, come
è stato fatto in Iraq, Libia e ora in Siria. I cristiani, poi, sono in
una posizione tragicamente paradossale: sono gli abitanti originari di
quelle terre, e conoscono il Medio Oriente meglio di chiunque altro,
anche dei musulmani. Da 1400 anni, i cristiani del Medio Oriente si
barcamenano, riuscendo a sopravvivere e raggiungendo anche ruoli di
livello, nonostante l'Islam sia una religione esclusivista. E poi sono i
mediorientali più vicini a noi, perché hanno un set di valori molto
simile ai nostri. Nonostante ciò, essi sono totalmente ignorati in
Occidente, e questo perché la loro narrazione delle crisi mediorientali
contrasta profondamente con la vulgata che circola da noi.
In America è tempo di elezioni. Che cosa dobbiamo aspettarci in caso di vittoria di Hillary Clinton o di Donald Trump?
Con Trump le previsioni sono molto difficili. Trump viene deriso e
criticato, spesso anche giustamente, ma è un'incognita. Molti lo
paragonano a Berlusconi: i due personaggi non c'entrano nulla se non per
un aspetto, che anche Berlusconi veniva deriso quando scese in campo.
Poi, abbiamo visto com'è andata. Della Clinton sappiamo di più, perché è
un personaggio navigato, sulla scena da molti anni, ha ricoperto
cariche importanti tra cui quella di segretario di Stato di Barack
Obama: e quello che dobbiamo aspettarci, temo, è una politica americana
ancora più aggressiva e muscolare.
Originale con audio: http://esteri.diariodelweb.it/esteri/audio/?nid=20161103_394968
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