Di Mathieu Galtier. Middle East Eye (11/11/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo. ( e con le mie precisazioni)
La situazione in Libia è talmente
caotica che ormai si parla di “libianizzazione”: una combinazione fatale
di balcanizzazione, intesa come la divisione di uno Stato in regioni
autonome, e somalizzazione, intesa come la caduta del governo a favore
di milizie.
Al momento, il paese ha tre governi.
Negli ultimi cinque anni, la Libia ha assistito a due elezioni generali,
un colpo di Stato fallito, l’arrivo di Daesh (ISIS) e conflitti etnici.
La situazione è talmente disastrosa, e molti fanno appello al ritorno
alla Jamahiriya, lo “Stato delle masse”, instaurato da Muammar Gheddafi.
“Vogliamo liberare la Jamahiriya,
vittima di un golpe diretto dalla NATO”, afferma Franck Pucciarelli,
francese residente in Tunisia e portavoce di un gruppo di sostenitori
dei gruppi rivoluzionari libici e internazionali, gruppo che funge da
cinghia di trasmissione dell’ideologia di Gheddafi. L’organizzazione, in
attività dal 2012, comprende circa 20.000 membri in Libia e sono più di
15.000 gli ex soldati in esilio pronti a tornare: “Se la Libia cade nel
caos, è grazie alle nostre azioni”, dichiara Pucciarelli. Ahmed, ex
direttore del ministero degli Esteri oggi residente in Tunisia, è più
pacato: “Non siamo responsabili di niente. Il popolo libico e la
comunità internazionale si sono semplicemente resi conto che la Libia
può essere governata solo dalla Jamahiriya“.
Tuttavia, i due sono d’accordo su come
guidare il paese una volta ripreso il controllo: l’idea è quella di
organizzare un referendum sul ritorno della Jamahiriya con la
supervisione della comunità internazionale. Si tratterebbe di uno Stato
delle masse moderno, con un senato che rappresenta le tribù, una camera
bassa e una Costituzione (che mancava nell’era Gheddafi). Rachid
Kechana, direttore del North African Study Centre on Libya, sorride di
fronte a questa ipotesi: “Il ritorno al vecchio regime è comprensibile
dopo il fallimento della transizione post-rivoluzione, ma non ha un vero
appoggio popolare. [ QUI TI SBAGLI ] I lealisti di Gheddafi non torneranno mai al potere, [ lo vedremo]
ma avranno comunque una certa importanza, grazie alle alleanze
strategiche della futura Libia”.
Mattia Toaldo, esperto di Libia per l’European Council on International
Relations, ha identificato tre tipi di lealisti: i sostenitori di Saif
el-Islam, figlio prediletto del rais, dal 2011 detenuto nella
città di Zentan nell’ovest del paese; i sostenitori del generale Khalifa
Haftar, nell’est della Libia; e i sostenitori ortodossi della Jamahiriya,
la fazione più estremista, di cui Ahmed e Pucciarelli fanno parte.
Quanti si sono uniti a Haftar hanno goduto dell’amnistia approvata dal
parlamento di Tobruk che ha interessato tutti i crimini commessi durante
le rivolte del 2011. [ cioè hanno perdonato i crimini commessi dai RATTI] Un altro testo mira a rimpatriare gli esiliati,
che sono tra 1,5 e 3 milioni, di cui gran parte lealisti di Gheddafi che
si sono rifugiati in Tunisia ed Egitto. Il clan di Saif el-Islam è
probabilmente il più organizzato e comprende una fetta dei sostenitori
ortodossi. Sebbene condannato a morte in contumacia il 28 luglio 2015,
Saif è ancora vivo. Ufficialmente prigioniero delle milizie locali, gode
di condizioni di detenzioni alquanto morbide, tanto in termini di
spostamenti che di comunicazione con l’esterno.
Per Saif el-Islam non si tratta di
recuperare il potere di tutto il paese, almeno per ora, ma di riuscire a
manovrare la riconfigurazione politica della Libia nell’ombra. Molte
tribù dell’ovest temono l’avanzare costante di Haftar, sostenuto dalle
tribù dell’est. Tuttavia, oggi la Tripolitania è divisa tra un gruppo
islamista e il Governo di Accordo Nazionale (GNA), molto debole anche se
riconosciuto a livello internazionale. Saif el-Islam potrebbe essere il
volto della Cirenaica. Nel settembre 2015, l’autoproclamato Consiglio
Supremo delle Tribù Libiche ha scelto Saif come legittimo rappresentante
del paese. Il consiglio di base riunisce quelle tribù rimaste fedeli a
Gheddafi e non hanno potere politico, ma il loro gesto è assai
significativo. Inoltre, lo scorso agosto le Nazioni Unite hanno invitato
alcuni lealisti dell’ex rais per discutere le possibili soluzioni alla crisi economica e politica del paese.
La gente, poi, sta cominciando a fare
paragoni tra il passato e il presente, e preferisce il passato: “Il
paese è diventato una barzelletta. C’è guerra civile ovunque, non ci
sono soldi e la massima aspirazione professionale è arruolarsi in una
milizia”, dice Mahmoud Abdelaziz, 40enne di Tripoli, che allo stesso
tempo però riconosce che la rivoluzione ha garantito la libertà di
critica, impossibile sotto Gheddafi. Tuttavia, è convinto che prima si
stava meglio, che la “sicurezza è meglio che la libertà”.
Mathieu Galtier è un giornalista francese freelance esperto di Tunisia e Libia che vive a Tunisi.
I punti di vista e le opinioni
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