F. William Engdahl, New Eastern Outlook 17 marzo 2016
Sepolto tra decine di migliaia di
pagine e-mail segrete dell’ex-segretaria di Stato Hillary Clinton, ora
rese pubbliche dal governo degli Stati Uniti, c’è un devastante scambio
di e-mail tra Clinton e il suo confidente Sid Blumenthal su Gheddafi e
l’intervento degli Stati Uniti coordinato nel 2011 per rovesciare il
governante libico. Si tratta dell’oro quale futura minaccia esistenziale
al dollaro come valuta di riserva mondiale. Si trattava dei piani di
Gheddafi per il dinaro-oro per l’Africa e il mondo arabo.
Due
paragrafi in una e-mail di recente declassificate dal server privato
illegalmente utilizzato dall’allora segretaria di Stato Hillary Clinton
durante la guerra orchestrata dagli Stati Uniti per distruggere la Libia
di Gheddafi nel 2011, rivelano l’ordine del giorno strettamente segreto
della guerra di Obama contro Gheddafi, cinicamente chiamata
“Responsabilità di proteggere”. Barack Obama, presidente indeciso e
debole, delegò tutte le responsabilità presidenziali della guerra in
Libia alla segretaria di Stato Hillary Clinton, prima sostenitrice del
“cambio di regime” arabo utilizzando in segreto i Fratelli musulmani ed
invocando il nuovo bizzarro principio della “responsabilità di
proteggere” (R2P) per giustificare la guerra libica, divenuta
rapidamente una guerra della NATO. Con l’R2P, concetto sciocco promosso
dalle reti dell’Open Society Foundations di George Soros,
Clinton affermava, senza alcuna prova, che Gheddafi bombardasse i civili
libici a Bengasi. Secondo il New York Times, citando fonti di alto
livello dell’amministrazione Obama, fu Hillary Clinton, sostenuta da
Samantha Power, collaboratrice di primo piano al Consiglio di Sicurezza
Nazionale e oggi ambasciatrice di Obama alle Nazioni Unite, e Susan
Rice, allora ambasciatrice di Obama alle Nazioni Unite, e ora
consigliere per la Sicurezza Nazionale, che spinse Obama all’azione
militare contro la Libia di Gheddafi. Clinton, affiancata da Powers e
Rice, era così potente che riuscì a prevalere sul segretario alla Difesa
Robert Gates, Tom Donilon, il consigliere per la sicurezza nazionale di
Obama, e John Brennan, capo antiterrorismo di Obama ed oggi capo della
CIA. La segretaria di Stato Clinton guidò la cospirazione per scatenare
ciò che venne soprannominata “primavera araba”, l’ondata di cambi di
regime finanziati dagli USA nel Medio Oriente arabo, nell’ambito del
progetto del Grande Medio Oriente presentato nel 2003
dall’amministrazione Bush dopo l’occupazione dell’Iraq. I primi tre
Paesi colpiti dalla “primavera araba” degli USA nel 2011, in cui
Washington usò le sue ONG per i “diritti umani” come Freedom House e National Endowment for Democracy, in combutta come al solito con le Open Society Foundations
dello speculatore miliardario George Soros, insieme al dipartimento di
Stato degli Stati Uniti e ad agenti della CIA, furono la Tunisia di Ben
Ali, l’Egitto di Mubaraq e la Libia di Gheddafi. Ora tempi e obiettivi
di Washington della destabilizzazione via “primavera araba” del 2011 di
certi Stati in Medio Oriente assumono nuova luce in relazione alle email
declassificate sulla Libia di Clinton con il suo “consulente” e amico
Sid Blumenthal. Blumenthal è l’untuoso avvocato che difese l’allora
presidente Bill Clinton nello scandalo sessuale di Monika Lewinsky
quando era Presidente e affrontava l’impeachment.
Il dinaro d’oro di Gheddafi
Per molti rimane un mistero perché Washington abbia deciso che Gheddafi dovesse essere ucciso, e non solo esiliato come Mubaraq. Clinton, quando fu informata del brutale assassinio di Gheddafi da parte dei terroristi di al-Qaida dell'”opposizione democratica” finanziata dagli USA, pronunciò alla CBS News una perversa parafrasi di Giulio Cesare, “Siamo venuti, l’abbiamo visto, è morto” con una fragorosa risata macabra. Poco si sa in occidente di ciò che Muammar Gheddafi fece in Libia o anche in Africa e nel mondo arabo. Ora, la divulgazione di altre e-mail di Hillary Clinton da segretaria di Stato, al momento della guerra di Obama a Gheddafi, getta nuova drammatica luce. Non fu una decisione personale di Hillary Clinton eliminare Gheddafi e distruggerne lo Stato. La decisione, è ormai chiaro, proveniva da ambienti molto potenti dell’oligarchia monetaria degli Stati Uniti. Era un altro strumento a Washington del mandato politico di tali oligarchi. L’intervento era distruggere i piani ben definiti di Gheddafi per creare una moneta africana e araba basata sull’oro per sostituire il dollaro nei traffici di petrolio. Da quando il dollaro USA ha abbandonato il cambio in oro nel 1971, il dollaro rispetto all’oro ha perso drammaticamente valore. Gli Stati petroliferi dell’OPEC hanno a lungo contestato il potere d’acquisto evanescente delle loro vendite di petrolio, che dal 1970 Washington impone esclusivamente in dollari, mentre l’inflazione del dollaro arrivava ad oltre il 2000% nel 2001. In una recentemente declassificata email di Sid Blumenthal alla segretaria di Stato Hillary Clinton, del 2 aprile 2011, Blumenthal rivela la ragione per cui Gheddafi andava eliminato. Utilizzando il pretesto citato da una non identificata “alta fonte”, Blumenthal scrive a Clinton, “Secondo le informazioni sensibili disponibili a questa fonte, il governo di Gheddafi detiene 143 tonnellate di oro e una quantità simile in argento… l’oro fu accumulato prima della ribellione ed era destinato a creare una valuta panafricana basata sul dinaro d’oro libico. Questo piano era volto a fornire ai Paesi africani francofoni un’alternativa al franco francese (CFA)“. Tale aspetto francese era solo la punta dell’iceberg del dinaro d’oro di Gheddafi.
Per molti rimane un mistero perché Washington abbia deciso che Gheddafi dovesse essere ucciso, e non solo esiliato come Mubaraq. Clinton, quando fu informata del brutale assassinio di Gheddafi da parte dei terroristi di al-Qaida dell'”opposizione democratica” finanziata dagli USA, pronunciò alla CBS News una perversa parafrasi di Giulio Cesare, “Siamo venuti, l’abbiamo visto, è morto” con una fragorosa risata macabra. Poco si sa in occidente di ciò che Muammar Gheddafi fece in Libia o anche in Africa e nel mondo arabo. Ora, la divulgazione di altre e-mail di Hillary Clinton da segretaria di Stato, al momento della guerra di Obama a Gheddafi, getta nuova drammatica luce. Non fu una decisione personale di Hillary Clinton eliminare Gheddafi e distruggerne lo Stato. La decisione, è ormai chiaro, proveniva da ambienti molto potenti dell’oligarchia monetaria degli Stati Uniti. Era un altro strumento a Washington del mandato politico di tali oligarchi. L’intervento era distruggere i piani ben definiti di Gheddafi per creare una moneta africana e araba basata sull’oro per sostituire il dollaro nei traffici di petrolio. Da quando il dollaro USA ha abbandonato il cambio in oro nel 1971, il dollaro rispetto all’oro ha perso drammaticamente valore. Gli Stati petroliferi dell’OPEC hanno a lungo contestato il potere d’acquisto evanescente delle loro vendite di petrolio, che dal 1970 Washington impone esclusivamente in dollari, mentre l’inflazione del dollaro arrivava ad oltre il 2000% nel 2001. In una recentemente declassificata email di Sid Blumenthal alla segretaria di Stato Hillary Clinton, del 2 aprile 2011, Blumenthal rivela la ragione per cui Gheddafi andava eliminato. Utilizzando il pretesto citato da una non identificata “alta fonte”, Blumenthal scrive a Clinton, “Secondo le informazioni sensibili disponibili a questa fonte, il governo di Gheddafi detiene 143 tonnellate di oro e una quantità simile in argento… l’oro fu accumulato prima della ribellione ed era destinato a creare una valuta panafricana basata sul dinaro d’oro libico. Questo piano era volto a fornire ai Paesi africani francofoni un’alternativa al franco francese (CFA)“. Tale aspetto francese era solo la punta dell’iceberg del dinaro d’oro di Gheddafi.
Dinaro d’oro e molto altro ancora
Nel primo decennio di questo secolo, i Paesi OPEC del Golfo persico,
tra cui Arabia Saudita, Qatar e altri, iniziarono seriamente a deviare
una parte significativa dei ricavi delle vendite di petrolio e gas sui
fondi sovrani, basandosi sul successo dei fondi petroliferi norvegesi.
Il crescente malcontento verso la guerra al terrorismo degli Stati
Uniti, con le guerre in Iraq e Afghanistan e la loro politica in Medio
Oriente dal settembre 2001, portò la maggior parte degli Stati arabi
dell’OPEC a deviare una quota crescente delle entrate petrolifere su
fondi controllati dallo Stato, piuttosto che fidarsi delle dita
appiccicose dei banchieri di New York e Londra, come era solito dagli
anni ’70, quando i prezzi del petrolio schizzarono alle stelle creando
ciò che Henry Kissinger affettuosamente chiamò “petrodollaro” per
sostituire il dollaro-oro che Washington mollò il 15 agosto 1971.
L’attuale guerra tra sunniti e sciiti o lo scontro di civiltà sono
infatti il risultato delle manipolazioni degli Stati Uniti nella regione
dal 2003, il “divide et impera”. Nel 2008 la prospettiva del controllo
sovrano in un numero crescente di Stati petroliferi africani ed arabi
dei loro proventi su petrolio e gas causava gravi preoccupazioni a Wall
Street e alla City di Londra. Un’enorme liquidità, migliaia di miliardi,
che potenzialmente non potevano più controllare. La primavera araba, in
retrospettiva, appare sempre più sembra legata agli sforzi di
Washington e Wall Street per controllare non solo gli enormi flussi di
petrolio dal Medio Oriente arabo, ma ugualmente lo scopo era
controllarne il denaro, migliaia di miliardi di dollari che si
accumulavano nei nuovi fondi sovrani. Tuttavia, come confermato
dall’ultimo scambio di email Clinton-Blumenthal del 2 aprile 2011, dal
mondo petrolifero africano e arabo emergeva una nuova minaccia per gli
“dei del denaro” di Wall Street e City di Londra. La Libia di Gheddafi,
la Tunisia di Ben Ali e l’Egitto di Mubaraq stavano per lanciare la
moneta islamica indipendente dal dollaro USA e basata sull’oro. Mi fu
detto di questo piano nei primi mesi del 2012, in una conferenza
finanziaria e geopolitica svizzera, da un algerino che sapeva del
progetto. La documentazione era scarsa al momento e la storia mi passò
di mente. Ora un quadro molto più interessante emerge indicando la
ferocia della primavera araba di Washington e l’urgenza del caso della
Libia.
‘Stati Uniti d’Africa’
Nel 2009 Gheddafi, allora Presidente dell’Unione africana, propose che il continente economicamente depresso adottasse il “dinaro d’oro”. Nei mesi precedenti la decisione degli Stati Uniti, col sostegno inglese e francese, di aver una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per aver la foglia di fico del diritto alla NATO di distruggere il regime di Gheddafi, Muammar Gheddafi organizzò la creazione del dinaro-oro che sarebbe stato utilizzato dagli Stati africani petroliferi e dai Paesi arabi dell’OPEC per vendere petrolio sul mercato mondiale. Al momento Wall Street e City di Londra erano sprofondati nella crisi finanziaria del 2007-2008, e la sfida al dollaro quale valuta di riserva l’avrebbe aggravata. Sarebbe stata la campana a morto per l’egemonia finanziaria statunitense e il sistema del dollaro. L’Africa è uno dei continenti più ricchi del mondo, con vaste inesplorate ricchezze in minerali ed oro, volutamente mantenuto per secoli sottosviluppato o preda di guerre per impedirne lo sviluppo. Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale negli ultimi decenni furono gli strumenti di Washington per sopprimere un vero sviluppo africano. Gheddafi invitò i Paesi produttori di petrolio africani dell’Unione africana e musulmani ad entrare nell’alleanza che avrebbe fatto del dinaro d’oro la loro valuta. Avrebbero venduto petrolio e altre risorse a Stati Uniti e resto del mondo solo in dinari d’oro. In qualità di Presidente dell’Unione africana, nel 2009 Gheddafi presentò all’Unione Africana la proposta di usare il dinaro libico e il dirham d’argento come unico denaro con cui il resto del mondo poteva comprare il petrolio africano. Insieme ai fondi sovrani arabi dell’OPEC, le altre nazioni petrolifere africane, in particolare Angola e Nigeria, creavano i propri fondi nazionali petroliferi quando nel 2011 la NATO bombardava la Libia. Quei fondi nazionali sovrani, legati al concetto del dinaro d’oro di Gheddafi, avrebbe realizzato il vecchio dell’Africa indipendente dal controllo monetario coloniale, che fosse sterlina, franco francese, euro o dollaro statunitense. Gheddafi attuava, come capo dell’Unione africana, al momento dell’assassinio, il piano per unificare gli Stati sovrani dell’Africa con una moneta d’oro negli Stati Uniti d’Africa. Nel 2004, il Parlamento panafricano di 53 nazioni aveva piani per la Comunità economica africana, con una moneta d’oro unica entro il 2023. Le nazioni africane produttrici di petrolio progettavano l’abbandono del petrodollaro e di chiedere pagamenti in oro per petrolio e gas; erano Egitto, Sudan, Sud Sudan, Guinea Equatoriale, Congo, Repubblica democratica del Congo, Tunisia, Gabon, Sud Africa, Uganda, Ciad, Suriname, Camerun, Mauritania, Marocco, Zambia, Somalia, Ghana, Etiopia, Kenya, Tanzania, Mozambico, Costa d’Avorio, oltre allo Yemen che aveva appena scoperto nuovi significativi giacimenti di petrolio. I quattro Stati africani nell’OPEC, Algeria, Angola, Nigeria, gigantesco produttore di petrolio e primo produttore di gas naturale in Africa dagli enormi giacimenti di gas, e la Libia dalle maggiori riserve, avrebbero aderito al nuovo sistema del dinaro d’oro. Non c’è da stupirsi che il presidente francese Nicolas Sarkozy, che da Washington ricevette il proscenio della guerra contro Gheddafi, arrivò a definire la Libia una “minaccia” alla sicurezza finanziaria del mondo .
Nel 2009 Gheddafi, allora Presidente dell’Unione africana, propose che il continente economicamente depresso adottasse il “dinaro d’oro”. Nei mesi precedenti la decisione degli Stati Uniti, col sostegno inglese e francese, di aver una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per aver la foglia di fico del diritto alla NATO di distruggere il regime di Gheddafi, Muammar Gheddafi organizzò la creazione del dinaro-oro che sarebbe stato utilizzato dagli Stati africani petroliferi e dai Paesi arabi dell’OPEC per vendere petrolio sul mercato mondiale. Al momento Wall Street e City di Londra erano sprofondati nella crisi finanziaria del 2007-2008, e la sfida al dollaro quale valuta di riserva l’avrebbe aggravata. Sarebbe stata la campana a morto per l’egemonia finanziaria statunitense e il sistema del dollaro. L’Africa è uno dei continenti più ricchi del mondo, con vaste inesplorate ricchezze in minerali ed oro, volutamente mantenuto per secoli sottosviluppato o preda di guerre per impedirne lo sviluppo. Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale negli ultimi decenni furono gli strumenti di Washington per sopprimere un vero sviluppo africano. Gheddafi invitò i Paesi produttori di petrolio africani dell’Unione africana e musulmani ad entrare nell’alleanza che avrebbe fatto del dinaro d’oro la loro valuta. Avrebbero venduto petrolio e altre risorse a Stati Uniti e resto del mondo solo in dinari d’oro. In qualità di Presidente dell’Unione africana, nel 2009 Gheddafi presentò all’Unione Africana la proposta di usare il dinaro libico e il dirham d’argento come unico denaro con cui il resto del mondo poteva comprare il petrolio africano. Insieme ai fondi sovrani arabi dell’OPEC, le altre nazioni petrolifere africane, in particolare Angola e Nigeria, creavano i propri fondi nazionali petroliferi quando nel 2011 la NATO bombardava la Libia. Quei fondi nazionali sovrani, legati al concetto del dinaro d’oro di Gheddafi, avrebbe realizzato il vecchio dell’Africa indipendente dal controllo monetario coloniale, che fosse sterlina, franco francese, euro o dollaro statunitense. Gheddafi attuava, come capo dell’Unione africana, al momento dell’assassinio, il piano per unificare gli Stati sovrani dell’Africa con una moneta d’oro negli Stati Uniti d’Africa. Nel 2004, il Parlamento panafricano di 53 nazioni aveva piani per la Comunità economica africana, con una moneta d’oro unica entro il 2023. Le nazioni africane produttrici di petrolio progettavano l’abbandono del petrodollaro e di chiedere pagamenti in oro per petrolio e gas; erano Egitto, Sudan, Sud Sudan, Guinea Equatoriale, Congo, Repubblica democratica del Congo, Tunisia, Gabon, Sud Africa, Uganda, Ciad, Suriname, Camerun, Mauritania, Marocco, Zambia, Somalia, Ghana, Etiopia, Kenya, Tanzania, Mozambico, Costa d’Avorio, oltre allo Yemen che aveva appena scoperto nuovi significativi giacimenti di petrolio. I quattro Stati africani nell’OPEC, Algeria, Angola, Nigeria, gigantesco produttore di petrolio e primo produttore di gas naturale in Africa dagli enormi giacimenti di gas, e la Libia dalle maggiori riserve, avrebbero aderito al nuovo sistema del dinaro d’oro. Non c’è da stupirsi che il presidente francese Nicolas Sarkozy, che da Washington ricevette il proscenio della guerra contro Gheddafi, arrivò a definire la Libia una “minaccia” alla sicurezza finanziaria del mondo .
I “ribelli” di Hillary creano una banca centrale
Una delle caratteristiche più bizzarre della guerra di Hillary Clinton
per distruggere Gheddafi fu che i “ribelli” filo-USA di Bengasi, nella
parte petrolifera della Libia, nel pieno della guerra, ben prima che
fosse del tutto chiaro che avrebbero rovesciato il regime di Gheddafi,
dichiararono di aver creato una banca centrale di tipo occidentale “in
esilio”. Nelle prime settimane della ribellione, i capi dichiararono di
aver creato una banca centrale per sostituire l’autorità monetaria dello
Stato di Gheddafi. Il consiglio dei ribelli, oltre a creare la propria
compagnia petrolifera per vendere il petrolio rubato, annunciò: “la
nomina della Banca Centrale di Bengasi come autorità monetaria
competente nelle politiche monetarie in Libia, e la nomina del
governatore della Banca centrale della Libia, con sede provvisoria a
Bengasi“. Commentando la strana decisione, prima che l’esito della
battaglia fosse anche deciso, di creare una banca centrale per
sostituire la banca nazionale sovrana di Gheddafi che emetteva dinari
d’oro, Robert Wenzel del Economic Policy Journal, osservò, “non
ho mai sentito parlare di una banca centrale creata poche settimane
dopo una rivolta popolare. Ciò suggerisce che c’è qualcos’altro che non
una banda di straccioni ribelli e che ci sono certe piuttosto
sofisticate influenze“. È chiaro ora, alla luce dei messaggi di
posta elettronica Clinton-Blumenthal, che tali “influenze abbastanza
sofisticate” erano legate a Wall Street e City di Londra. La persona
inviata da Washington a guidare i ribelli nel marzo 2011, Qalifa Haftar,
aveva trascorso i precedenti venti anni in Virginia, non lontano dal
quartier generale della CIA, dopo aver lasciato la Libia quando era uno
dei principali comandante militari di Gheddafi. Il rischio per il futuro
del dollaro come valuta di riserva mondiale, se Gheddafi avesse potuto
procedere insieme a Egitto, Tunisia e altri Stati arabi di OPEC e Unione
Africana, introducendo le vendite di petrolio in oro e non dollari,
sarebbe stato chiaramente l’equivalente finanziario di uno tsunami.
La Nuova Via della Seta d’oro
Il sogno di Gheddafi di un sistema basato sull’oro arabo e africano indipendente dal dollaro, purtroppo è morto con lui. La Libia, dopo la cinica “responsabilità di proteggere” di Hillary Clinton che ha distrutto il Paese, oggi è lacerata da guerre tribali, caos economico, terroristi di al-Qaida e SIIL. La sovranità monetaria detenuta dal 100% dalle agenzie monetarie nazionali statali di Gheddafi e la loro emissione di dinari d’oro, è finita sostituita da una banca centrale “indipendente” legata al dollaro. Nonostante ciò, va notato che ora un nuovo gruppo di nazioni si unisce per costruire un sistema monetario basato sull’oro. Questo è il gruppo guidato da Russia e Cina, terzo e primo Paesi produttori di oro nel mondo. Questo gruppo è legato alla costruzione del grande progetto infrastrutturale eurasiatico della Nuova Via della Seta della Cina, comprendente 16 miliardi di fondi in oro per lo sviluppo della Cina, decisa a sostituire City di Londra e New York come centri del commercio mondiale dell’oro. L’emergente sistema d’oro eurasiatico pone ora una serie completamente nuova di sfide all’egemonia finanziaria statunitense. Questa sfida eurasiatica, riuscendo o fallendo, deciderà se la nostra civiltà potrà sopravvivere e prosperare in condizioni completamente diverse, o affondare con il fallimentare sistema del dollaro.
Il sogno di Gheddafi di un sistema basato sull’oro arabo e africano indipendente dal dollaro, purtroppo è morto con lui. La Libia, dopo la cinica “responsabilità di proteggere” di Hillary Clinton che ha distrutto il Paese, oggi è lacerata da guerre tribali, caos economico, terroristi di al-Qaida e SIIL. La sovranità monetaria detenuta dal 100% dalle agenzie monetarie nazionali statali di Gheddafi e la loro emissione di dinari d’oro, è finita sostituita da una banca centrale “indipendente” legata al dollaro. Nonostante ciò, va notato che ora un nuovo gruppo di nazioni si unisce per costruire un sistema monetario basato sull’oro. Questo è il gruppo guidato da Russia e Cina, terzo e primo Paesi produttori di oro nel mondo. Questo gruppo è legato alla costruzione del grande progetto infrastrutturale eurasiatico della Nuova Via della Seta della Cina, comprendente 16 miliardi di fondi in oro per lo sviluppo della Cina, decisa a sostituire City di Londra e New York come centri del commercio mondiale dell’oro. L’emergente sistema d’oro eurasiatico pone ora una serie completamente nuova di sfide all’egemonia finanziaria statunitense. Questa sfida eurasiatica, riuscendo o fallendo, deciderà se la nostra civiltà potrà sopravvivere e prosperare in condizioni completamente diverse, o affondare con il fallimentare sistema del dollaro.
F. William Engdahl
è consulente di rischio strategico e docente, laureato in politica alla
Princeton University, è autore di best-seller su petrolio e
geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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