John Pilger, Mondialisation, 29 ottobre 2016
Il
giornalista statunitense Edward Bernays viene spesso presentato come
l’inventore della propaganda moderna. Nipote di Sigmund Freud, il
pioniere della psicoanalisi, Bernays inventò il termine “relazioni
pubbliche” quale eufemismo per manipolazione e inganno. Nel 1929
convinse le femministe a promuovere le sigarette con donne che fumavano
durante una parata a New York, un comportamento visto allora come
assurdo. Una femminista, Ruth Booth, disse “Le donne! Devono accendere la nuova torcia della libertà! Combattere contro un altro tabù sessista!”
L’influenza di Bernays va ben oltre la pubblicità. Il suo più grande
successo fu convincere il pubblico statunitense ad entrare nella grande
strage della prima guerra mondiale. Il segreto, disse, era “produrre il consenso” del popolo per “controllarlo e dirigerlo secondo la nostra volontà a sua insaputa“. Lo descrisse come “il vero potere decisionale nella nostra società” e lo chiamò “governo invisibile“.
Oggi, il governo invisibile non è mai stato così potente e così poco
compreso.
Nella mia carriera di giornalista e regista non ho mai visto
tale dilagante propaganda influenzare la nostra vita oggi, e così poco
contestata. Immaginate due città. Entrambe sotto assedio da parte delle
forze governative di questi Paesi. Le due città sono occupate da
fanatici che commettono atrocità come le decapitazioni. Ma vi è una
differenza essenziale. In una delle città, i giornalisti occidentali
embedded coi soldati governativi li descrivono come liberatori e con
entusiasmo annunciano battaglie e attacchi aerei. Ci sono immagini da
prima pagina di questi eroici soldati che fanno la V di vittoria. C’è
poca menzione di vittime civili. Nella seconda città, in un Paese
vicino, accade quasi esattamente lo stesso. Le forze governative
assediano una città controllata dagli stessi fanatici. La differenza è
che questi fanatici sono supportati, attrezzati e armati da “noi”, Stati
Uniti e Gran Bretagna. Hanno anche un centro mediatico finanziato da
Gran Bretagna e Stati Uniti. Un’altra differenza è che le truppe
governative che assediano questa città sono i cattivi, condannati per
aver aggredito e bombardato la città, esattamente ciò che fanno i
soldati buoni nella prima città. Confusione? Non proprio. È il doppio
standard, essenza della propaganda. Parlo, naturalmente, dell’assedio di
Mosul da parte delle forze governative irachene appoggiate da Stati
Uniti e Gran Bretagna e dell’assedio di Aleppo da parte delle forze del
governo della Siria, sostenute dalla Russia. Uno è buono; l’altro è
cattivo. Ciò che viene raramente riportato è che entrambe le città non
sarebbero state occupate da fanatici e devastate dalla guerra se Gran
Bretagna e Stati Uniti non avessero invaso l’Iraq nel 2003. Tale crimine
fu avviato da bugie sorprendentemente simili alla propaganda che ora
distorce il quadro della guerra in Siria. Senza tale propaganda rullante
travestita da informazioni, i mostruosi SIIL, al-Qaida, al-Nusra e il resto dei jihadisti non esisterebbero, e il popolo siriano non lotterebbe per la sopravvivenza.
Alcuni possono ricordare quei giornalisti della BBC che nel 2003
sfilavano davanti le telecamere per spiegare che l’iniziativa di Blair
era “giustificata” da ciò che divenne il crimine del secolo. Le reti
televisive degli Stati Uniti diffusero le stesse giustificazioni di
George W. Bush. Fox News invitò Henry Kissinger a dissertare
sulle menzogne di Colin Powell. Lo stesso anno, poco dopo l’invasione,
ripresi un colloquio a Washington con Charles Lewis, il celebre
giornalista investigativo. Gli chiesi: “Cosa sarebbe successo se i
media più liberi del mondo avessero seriamente messo in discussione ciò
che si è rivelata una rozza propaganda?” Disse che se i giornalisti avessero fatto il loro lavoro, “molto probabilmente non saremmo entrati in guerra con l’Iraq“.
Fu una dichiarazione scioccante, confermata da altri giornalisti famosi
a cui posi la stessa domanda, Dan Rather della CBS, David Rose
dell’Observer e giornalisti e produttori della BBC, che vollero rimanere
anonimi. In altre parole, se i giornalisti avessero fatto il loro
lavoro, se avessero sfidato e studiato la propaganda invece di
amplificarla, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sarebbero
vivi oggi, e non ci sarebbero SIIL e assedi ad Aleppo e Mosul. Non ci
sarebbe stata alcun atrocità nella metropolitana di Londra il 7 luglio
2005, né milioni di rifugiati in fuga e né campi miserabili. Quando
l’atrocità terroristica ebbe luogo a Parigi a novembre, il presidente
François Hollande inviò immediatamente aerei a bombardare la Siria,
creando altro terrorismo, prevedibilmente prodotto dalla magniloquenza
di Hollande sulla Francia “in guerra” e “spietata”. La violenza dello
Stato e la violenza jihadista si nutrono a vicenda, un dato di fatto che
nessun leader nazionale ha il coraggio di affrontare. “Quando la verità viene sostituita dal silenzio“,
disse il dissidente sovietico Evtushenko, “il silenzio è una bugia”.
L’attacco a Iraq, Libia, Siria si verificò perché i capi di ciascuno di
questi Paesi non erano fantocci dell’occidente. Il record dei diritti
umani di un Sadam o Gheddafi era irrilevante. Disobbedivano agli ordini e
non cedettero il controllo del loro Paese. Lo stesso destino attese
Slobodan Milosevic dopo aver rifiutato di firmare un “accordo” che
richiedeva l’occupazione della Serbia e la conversione ad un’economia di
mercato. I suoi abitanti furono bombardati e perseguiti a L’Aia. Tale
indipendenza è intollerabile. Come ha rivelato WikLeaks, quando
il leader siriano Bashar al-Assad nel 2009 respinse il gasdotto dal
Qatar all’Europa, fu attaccato. Da quel momento la CIA programmò la
distruzione del governo della Siria con fanatici jihadisti, gli stessi
che attualmente tengono in ostaggio il popolo di Mosul e dei quartieri
di Aleppo. Perché i media non ne parlano? Un ex-funzionario degli Esteri
inglese, Carne Ross, responsabile delle sanzioni operative all’Iraq,
disse, “Abbiamo fornito ai giornalisti pezzi accuratamente ordinati e li tenevamo a bada. Ecco come funzionava“.
L’alleata medievale dell’occidente, l’Arabia Saudita, a cui Stati Uniti e Gran Bretagna vendono miliardi di dollari in armi, attualmente distrugge lo Yemen, un Paese povero che nel migliore dei casi ha la metà dei bambini malnutrita. Guardate su YouTube e vedrete il tipo di bombe enormi, le “nostre” bombe, che i sauditi usano contro i villaggi della terra martoriata e contro matrimoni e funerali. Le esplosioni sembrano piccole bombe atomiche. Coloro che sganciano queste bombe dall’Arabia Saudita collaborano con ufficiali inglesi. Non se ne sente parlare al telegiornale della sera. La propaganda è più efficace quando il nostro consenso è prodotto da élite istruite ad Oxford, Cambridge, Harvard, Columbia e che fanno carriera nella BBC, The Guardian, New York Times, Washington Post. Tali media si presentano progressisti, illuminati, tribune progressive della moralità. Sono antirazzisti, ambientalisti, femministi e pro-LGBT. E amano la guerra. Allo stesso tempo difendono il femminismo e sostengono le guerre rapaci che negano i diritti a innumerevoli donne, anche alla vita. Nel 2011 la Libia, uno Stato moderno, fu distrutta con la scusa che Gheddafi compisse un genocidio contro il proprio popolo. Le informazioni fluivano, ma non vi era alcuna prova. Erano menzogne. In realtà, Gran Bretagna, Europa e Stati Uniti volevano ciò che amano chiamare “cambio di regime” in Libia, il più grande produttore di petrolio in Africa. L’influenza di Gheddafi sul continente e, in particolare, la sua indipendenza erano intollerabili. Così fu ucciso pugnalato alla schiena da fanatici sostenuti da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Davanti le telecamere Hillary Clinton ne applaudì la morte orribile, dicendo: “Siamo venuti, abbiamo visto ed è morto!” La distruzione della Libia fu un trionfo mediatico. Mentre rullavano i tamburi di guerra, Jonathan Freedland scrisse sul Guardian: “Anche se i rischi sono reali, il caso d’intervento rimane forte“. Intervento. Una parola educata, benigna, molto “Guardian“, il cui vero significato per la Libia fu morte e distruzione. Secondo i propri dati, la NATO lanciò 9700 “attacchi aerei contro la Libia”, di cui oltre un terzo su obiettivi civili. Tra questi, missili con testate all’uranio. Vedasi le foto delle macerie a Misurata e Sirte, e le fosse comuni individuate dalla Croce Rossa. Il rapporto dell’UNICEF sui bambini uccisi dice “la maggior parte aveva meno di dieci anni“. Risultato diretto, Sirte è diventata la capitale dello Stato Islamico. L’Ucraina è un altro trionfo mediatico. I rispettabili giornali liberal come New York Times, Washington Post e The Guardian, ed emittenti tradizionali come BBC, NBC, CBS e CNN, hanno svolto un ruolo cruciale nel fare accettare al loro pubblico una nuova e pericolosa guerra fredda. Tutti hanno distorto gli eventi in Ucraina per mostrare una Russia malvagia, mentre in realtà il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 fu opera degli Stati Uniti, aiutati da Germania e NATO. Tale sovversione della realtà è così pervasiva che le minacce militari di Washington alla Russia vengono ignorate; tutto è oscurato da una campagna di denigrazione e paura come quella che vissi durante la prima guerra fredda. Ancora una volta, i Russkoffs cercano d’infastidirci guidati da un nuovo Stalin, che The Economist raffigura come il diavolo. L’occultamento della verità sull’Ucraina è uno delle più totali censura che abbia mai visto. Fascisti che hanno progettato il colpo di Stato a Kiev, dello stesso stampo di coloro che sostennero l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel 1941. Mentre si hanno timori sull’avanzata dell’antisemitismo fascista in Europa, alcun capo menziona i fascisti in Ucraina, ad eccezione di Vladimir Putin, ma non conta. Molti media occidentali lavorano duramente per presentare la popolazione russofona dell’Ucraina come stranieri nel proprio Paese, come agenti di Mosca, quasi mai come gli ucraini che vogliono la federazione dell’Ucraina, come cittadini ucraini che resistono a un colpo di Stato orchestrato dall’estero contro il governo legittimo. Tra i guerrafondai regna quasi la stessa eccitazione dell’assemblea di classe. I banditori del Washington Post incitano alla guerra contro la Russia sono gli stessi che pubblicarono le menzogne sulle armi di distruzione di massa di Sadam Husayn.
L’alleata medievale dell’occidente, l’Arabia Saudita, a cui Stati Uniti e Gran Bretagna vendono miliardi di dollari in armi, attualmente distrugge lo Yemen, un Paese povero che nel migliore dei casi ha la metà dei bambini malnutrita. Guardate su YouTube e vedrete il tipo di bombe enormi, le “nostre” bombe, che i sauditi usano contro i villaggi della terra martoriata e contro matrimoni e funerali. Le esplosioni sembrano piccole bombe atomiche. Coloro che sganciano queste bombe dall’Arabia Saudita collaborano con ufficiali inglesi. Non se ne sente parlare al telegiornale della sera. La propaganda è più efficace quando il nostro consenso è prodotto da élite istruite ad Oxford, Cambridge, Harvard, Columbia e che fanno carriera nella BBC, The Guardian, New York Times, Washington Post. Tali media si presentano progressisti, illuminati, tribune progressive della moralità. Sono antirazzisti, ambientalisti, femministi e pro-LGBT. E amano la guerra. Allo stesso tempo difendono il femminismo e sostengono le guerre rapaci che negano i diritti a innumerevoli donne, anche alla vita. Nel 2011 la Libia, uno Stato moderno, fu distrutta con la scusa che Gheddafi compisse un genocidio contro il proprio popolo. Le informazioni fluivano, ma non vi era alcuna prova. Erano menzogne. In realtà, Gran Bretagna, Europa e Stati Uniti volevano ciò che amano chiamare “cambio di regime” in Libia, il più grande produttore di petrolio in Africa. L’influenza di Gheddafi sul continente e, in particolare, la sua indipendenza erano intollerabili. Così fu ucciso pugnalato alla schiena da fanatici sostenuti da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Davanti le telecamere Hillary Clinton ne applaudì la morte orribile, dicendo: “Siamo venuti, abbiamo visto ed è morto!” La distruzione della Libia fu un trionfo mediatico. Mentre rullavano i tamburi di guerra, Jonathan Freedland scrisse sul Guardian: “Anche se i rischi sono reali, il caso d’intervento rimane forte“. Intervento. Una parola educata, benigna, molto “Guardian“, il cui vero significato per la Libia fu morte e distruzione. Secondo i propri dati, la NATO lanciò 9700 “attacchi aerei contro la Libia”, di cui oltre un terzo su obiettivi civili. Tra questi, missili con testate all’uranio. Vedasi le foto delle macerie a Misurata e Sirte, e le fosse comuni individuate dalla Croce Rossa. Il rapporto dell’UNICEF sui bambini uccisi dice “la maggior parte aveva meno di dieci anni“. Risultato diretto, Sirte è diventata la capitale dello Stato Islamico. L’Ucraina è un altro trionfo mediatico. I rispettabili giornali liberal come New York Times, Washington Post e The Guardian, ed emittenti tradizionali come BBC, NBC, CBS e CNN, hanno svolto un ruolo cruciale nel fare accettare al loro pubblico una nuova e pericolosa guerra fredda. Tutti hanno distorto gli eventi in Ucraina per mostrare una Russia malvagia, mentre in realtà il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 fu opera degli Stati Uniti, aiutati da Germania e NATO. Tale sovversione della realtà è così pervasiva che le minacce militari di Washington alla Russia vengono ignorate; tutto è oscurato da una campagna di denigrazione e paura come quella che vissi durante la prima guerra fredda. Ancora una volta, i Russkoffs cercano d’infastidirci guidati da un nuovo Stalin, che The Economist raffigura come il diavolo. L’occultamento della verità sull’Ucraina è uno delle più totali censura che abbia mai visto. Fascisti che hanno progettato il colpo di Stato a Kiev, dello stesso stampo di coloro che sostennero l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel 1941. Mentre si hanno timori sull’avanzata dell’antisemitismo fascista in Europa, alcun capo menziona i fascisti in Ucraina, ad eccezione di Vladimir Putin, ma non conta. Molti media occidentali lavorano duramente per presentare la popolazione russofona dell’Ucraina come stranieri nel proprio Paese, come agenti di Mosca, quasi mai come gli ucraini che vogliono la federazione dell’Ucraina, come cittadini ucraini che resistono a un colpo di Stato orchestrato dall’estero contro il governo legittimo. Tra i guerrafondai regna quasi la stessa eccitazione dell’assemblea di classe. I banditori del Washington Post incitano alla guerra contro la Russia sono gli stessi che pubblicarono le menzogne sulle armi di distruzione di massa di Sadam Husayn.
Per la maggior parte di noi, la campagna presidenziale degli Stati
Uniti è un fenomeno da baraccone in cui Donald Trump interpreta il ruolo
del cattivo. Ma Trump è odiato da chi è al potere negli Stati Uniti per
ragioni che hanno poco a che fare con il suo comportamento e le
opinioni odiosi. Per il governo invisibile di Washington,
l’imprevedibile Trump è un ostacolo al piano statunitense per il 21°
secolo, mantenere il dominio degli Stati Uniti ed attaccare la Russia e
forse la Cina. Per i militaristi di Washington, il vero problema con
Trump è che nei suoi momenti di lucidità non vuole la guerra con la
Russia; vuole parlare con il presidente russo, non combatterlo; dice che
vuole parlare con il presidente della Cina. Nel primo dibattito con
Hillary Clinton, Trump ha promesso di non essere il primo ad usare le
armi nucleari in un conflitto. Ha detto: “Io certamente non effettuerei il primo colpo. Dopo aver scelto l’opzione nucleare, è finita“.
I media non ne hanno parlato. In realtà che pensa? Chi lo sa? Si
contraddice più volte. Ma ciò che è chiaro è che Trump è considerato una
grave minaccia allo status quo dall’ampio apparato della sicurezza
nazionale che guida gli Stati Uniti, a prescindere dall’inquilino della
Casa Bianca. La CIA vuole vederlo sconfitto. Il Pentagono vuole vederlo
sconfitto. I media vogliono vederlo sconfitto. Anche il suo partito
vuole vederlo sconfitto. È una minaccia per i capi mondiali, a
differenza di Clinton che non lascia alcun dubbio di esser pronta alla
guerra contro la Russia e la Cina, due Paesi che possiedono armi
nucleari. La Clinton ha l’esperienza, come si vanta spesso. In effetti,
non ha più nulla da dimostrare. Come senatrice ha sostenuto lo
spargimento di sangue in Iraq. Quando concorreva contro Obama nel 2008
minacciò di “distruggere completamente” l’Iran. Come segretaria di
Stato, ha voluto distruggere i governi di Libia e Honduras e provocò la
Cina. Ha promesso la no-fly zone in Siria, una provocazione diretta alla
Russia. Clinton potrebbe diventare il presidente più pericoloso degli
Stati Uniti della mia vita, un titolo dalla dura concorrenza. Senza
alcuna prova, ha accusato la Russia di sostenere Trump e piratare le sue
e-mail. Pubblicate da Wikileaks, le e-mail rivelano ciò che ha detto in
privato, nel suo discorso ai ricchi e potenti, il contrario di ciò che
dice in pubblico. Ecco perché è così importante mettere a tacere e
minacciare Julian Assange. A capo di Wikileaks, Julian Assange sa la
verità. E permettetemi di rassicurare tutti gli interessati, sta bene e
Wikileaks funziona a pieno.
Oggi c’è la maggiore corsa agli armamenti degli Stati Uniti dalla seconda guerra mondiale, nel Caucaso e in Europa orientale, al confine con la Russia, in Asia e Pacifico, dove la Cina è il bersaglio. Ricordatelo quando il circo delle elezioni presidenziali si concluderà l’8 novembre, se Clinton vincesse, un coro di commentatori senza cervello ne celebrerà l’incoronazione come importante passo avanti per le donne. Nessuno ricorda le vittime di Clinton: donne siriane, donne irachene, donne libiche. Nessuno menziona le esercitazioni della protezione civile in Russia. Nessuno ricorda la “torcia della libertà” di Edward Bernays. Un giorno, il portavoce presso la stampa di George Bush definì i media “utili complici”. Venendo da un alto funzionario di un’amministrazione le cui bugie, aiutate dai media, causarono tanta sofferenza, tale descrizione è un avvertimento dalla storia. Nel 1946, il procuratore del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: “Prima di ogni grande aggressione avviarono campagne stampa volte ad indebolire le vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda, la stampa quotidiana e la radio furono le armi più importanti“.
Oggi c’è la maggiore corsa agli armamenti degli Stati Uniti dalla seconda guerra mondiale, nel Caucaso e in Europa orientale, al confine con la Russia, in Asia e Pacifico, dove la Cina è il bersaglio. Ricordatelo quando il circo delle elezioni presidenziali si concluderà l’8 novembre, se Clinton vincesse, un coro di commentatori senza cervello ne celebrerà l’incoronazione come importante passo avanti per le donne. Nessuno ricorda le vittime di Clinton: donne siriane, donne irachene, donne libiche. Nessuno menziona le esercitazioni della protezione civile in Russia. Nessuno ricorda la “torcia della libertà” di Edward Bernays. Un giorno, il portavoce presso la stampa di George Bush definì i media “utili complici”. Venendo da un alto funzionario di un’amministrazione le cui bugie, aiutate dai media, causarono tanta sofferenza, tale descrizione è un avvertimento dalla storia. Nel 1946, il procuratore del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: “Prima di ogni grande aggressione avviarono campagne stampa volte ad indebolire le vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda, la stampa quotidiana e la radio furono le armi più importanti“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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