24 ottobre 2016
«Raid e bombe americane su Mosul». Così il titolo di un articolo di Alberto Stabile sulla Stampa del 24 ottobre fotografa l’avanzata della coalizione anti-Isis a Mosul. Nell’articolo, Stabile dettaglia che sono entrati in azione gli F 16 dell’U.s. Air force, i quali stanno bersagliando la zona d’attacco per aprire la strada alle truppe di terra.Nello stesso articolo si ripete la nota quanto tragica situazione dei civili, che l’Isis tiene in ostaggio. Mentre in altro articolo, stavolta di Paolo Mieli sul Corriere della Sera dello stesso giorno, si riferisce dei festeggiamenti della popolazione civile perché finalmente, dopo due anni, qualcuno attacca i terroristi che li opprimono.
Le stesse cose avvengono in Aleppo: i siriani festeggiano quando dei quartieri sono strappati al Terrore, e salutano con sollievo l’offensiva del governo contro le zone ancora occupate. Non solo, anche in Aleppo Est i civili sono ostaggio delle milizie jihadiste guidate da al Nusra (al Qaeda), le quali controllano questa parte della città. Tanto che i corridoi umanitari lasciati aperti da Damasco per consentir loro di fuggire non hanno avuto alcun esito: nessuno li ha utilizzati. Gli jihadisti lo impediscono, come a Mosul.
Eppure i bombardamenti russi e siriani, a differenza di quelli americani, sono cattivi. Questa la narrazione ufficiale, alquanto bizzarra.
Non siamo fan delle bombe, né delle guerre. E sappiamo bene che questa guerra potrebbe finire senza altro spargimento di sangue: basterebbe lasciare gli jihadisti senza soldi, ché senza pecunia non si comprano armi e munizioni, né si pagano i tanti costosi mercenari assoldati dalle Agenzie del Terrore in tutto il mondo.
Tagliati i fondi, anche le varie Agenzie del Terrore sarebbero costrette a chiudere i battenti, a Mosul come ad Aleppo come nel resto del mondo.
Ma evidentemente è rimasto lettera morta il suggerimento di John Potesta all’allora Segretario di Stato (e sembra futuro presidente Usa) Hillary Clinton di far «
pressioni sui governi di Qatar e Arabia Saudita, che stanno fornendo supporto finanziario e logistico clandestino all’ISIL [Isis ndr.] e ad altri gruppi sunniti radicali nella regione» (mail rivelata da wikileaks; sul punto vedi nota precedente).
Significativo anche l’accenno agli altri «gruppi radicali sunniti» della mail, che indica come gli stessi ambiti che sostengono l’Isis supportano, ovviamente allo stesso scopo, anche i miliziani di Aleppo Est, beneamini dell’Occidente.
Tale sostegno si realizza in tanti modi: a parte le armi e le munizioni, ci sono gli aiuti di natura umanitaria e sanitaria (i gruppi terroristi godono di servizi sanitari di altissimo livello, assicurati loro da diverse ong internazionali che operano sul loro territorio in cambio del placet all’assistenza dei civili). E altro.
Su un piccolo aspetto di tale ausilio ha fatto chiarezza la Toyota. Interpellata da russi e siriani sui veicoli forniti all’Isis, la casa automobilistica giapponese ha svolto una indagine interna i cui risultati sono poi stati comunicati agli interessati: in effetti «migliaia di veicoli Toyota» sono finiti nelle mani dell’Isis.
Giunti loro tramite queste vie: 22.500 veicoli sono stati acquistati da una società dell’Arabia Saudita; 32.000 sono stati acquistati dal Qatar; 4.500 sono pervenuti all’Isis tramite l’esercito della Giordania, al quale ha fatto da garante una banca dello stesso Paese.
Si tratta delle automobili immortalate nelle foto che pubblichiamo in questa pagina: veicoli nuovi fiammanti, scenografici con la loro bandiera nera che garrisce al vento quanto invisibili a droni e aerei della coalizione anti-Isis, nonostante il deserto iracheno offra invero poche opportunità mimetiche.
Val la pena accennare a questo proposito anche alle parole dell’ex ambasciatore americano alle Nazioni Unite Mark Wallace il quale ha definito la Toyota Hilux e la Toyota Land Cruiser un marchio di identificazione dell’Isis.
Non si tratta di criminalizzare la Toyota, che alla fine comunque ha risposto a una richiesta specifica sul tema, ma di notare come tale richiesta non sia mai stata avanzata prima dai volenterosi e coalizzati anti-Isis, nonostante fosse facile, come visto, porre domande e ottenere risposte.
Tale acquisto di automobili nuove peraltro è transitato tramite vie ufficiali. Si tratta di operazioni commerciali su larga scala: servono navi, banche, reti logistiche. Eppure l’intelligence occidentale non ha visto niente di niente…
Il parco macchine del Califfato è ovviamente solo una piccola parte dei tanti “aiutini” che giungono all’Agenzia del Terrore da ogni dove. Ma ha un suo significato e aiuta a intuire altro e ben più importante (qui i riferimenti, in arabo, sulla vicenda).
Preso da: http://piccolenote.ilgiornale.it/30043/lo-strano-parco-macchine-dellisis
Nessun commento:
Posta un commento