Il Paese di Serraj non è tra le sue priorità. Se non per la lotta al terrorismo. Palla all'Europa.
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16 Novembre 2016
La città di Tripoli, in Libia.
Ne è un esempio particolarmente significativo la Libia la cui dinamica interna ci riguarda molto da vicino, a cominciare dai flussi migratori che ne stanno da tempo derivando per terminare alla sicurezza energetica e al nostro interesse di fondo della stabilità del Mediterraneo occidentale.
Ebbene, in queste ultime settimane non è accaduto nulla di risolutivo - altrimenti quel cono d’ombra ne sarebbe stato bucato -, ma non si è neppure fermata l’azione internazionale mirante a porre la crisi libica su una rotta di promettente sbocco.
UNO STALLO RISCHIOSO. Si è tenuta la riunione del cosiddetto ''Dialogo libico'' promosso delle Nazioni unite a Malta il cui ministro degli Esteri ha rivolto un appello tanto accorato quanto inascoltato a superare il rischioso stallo in cui si sono impantanate le principali forze politico-militari-tribali del Paese.
Lega araba, Unione africana e Nazioni unite si sono incontrate al Cairo e hanno deciso di dar vita a un loro stretto coordinamento di monitoraggio e di proposta sulla Libia.
L’elenco potrebbe continuare e testimoniare, semmai ve ne fosse bisogno, dell’attenzione della cosiddetta Comunità internazionale su questo Paese.
Ma i risultati che ne stanno derivando sono un impietoso specchio della sua incapacità e/o non volontà di trovare il bandolo della matassa libica.
LA POPOLAZIONE STA PEGGIO. E della forza delle resistenze interne che giocano, si fa per dire, su questa incapacità e/o non volontà per portare avanti le loro agende contrastanti in vista di un orizzonte che appare molto nebuloso, mentre la popolazione libica sta sempre peggio.
Non c’era proprio bisogno della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale (Fmi) per constatare che il Paese si sta sempre più avvicinando all’orlo del baratro, del disastro, che la gente sta sempre peggio per mancanza dei servizi pubblici più elementari, dall’acqua all’elettricità, alla mancanza di liquidità per i cittadini a causa delle restrizioni imposte dal sistema bancario.
Sì, la produzione petrolifera ha ripreso a crescere, ma si è a mille miglia da una soglia di sufficienza e occorrono molte risorse per la ricostruzione del Paese e la risistemazione degli impianti.
MANCA UNA LEADERSHIP. Ma le logiche della politica e degli interessi a breve termine sono tali da risultare sempre più distorsivi, soprattutto in mancanza di una leadership all’altezza della sfida che incombe sulla Libia.
E il pur volonteroso Serraj a capo del governo di Unità nazionale, emerso dall’accordo di Skhirat in Marocco, non è riuscito a trasferire sul piano interno quel riconoscimento “politico” che gli è stato dato sul piano internazionale.
Da molti, tra i quali parecchi responsabili tribali, continua a essere considerato un intruso, un uomo imposto da un Occidente sempre meno popolare.
Sul versante politico-giuridico non è riuscito a fregiarsi di una piena legittimità in assenza della fiducia del parlamento di Tobruk, parimenti riconosciuto internazionalmente.
Ragione questa che Mosca adduce per non riconoscerlo, come del resto la Cina.
Non è riuscito a sconfiggere militarmente lo Stato islamico a Sirte, esito che nel maggio 2016 sembrava un’operazione destinata a chiudersi nel giro di qualche settimana.
POCA CHIAREZZA SU HAFTAR. Si sta ancora confrontando con il governo di Tobruk e soprattutto col generale Haftar di cui non è affatto chiara l’agenda personale e specialmente quella dei suoi sponsor principali, l’Egitto e il Qatar con la complicità dell’ambigua Francia che pure ufficialmente appoggia Serraj.
Autorevoli analisti escludono che questo generale considerato “l’uomo forte” di Tobruk, pur avendo al suo attivo un curriculum militare ben poco brillante, punti allo scontro militare con Tripoli; ma ammesso e non concesso che ciò corrisponda al vero, è comunque fuor di dubbio che in questo personaggio si incarna la chiave che può aprire un serio negoziato di transizione politica in direzione di una stabilizzazione della Libia.
Ciò che non si sa o che non è abbastanza chiaro è l’obiettivo finale di questo personaggio e delle potenze che ne tirano i fili.
Su questa linea interpretativa si è orientato anche l’autorevole International Crisis Group di Bruxelles che è anzi arrivato a suggerire ufficialmente l’opportunità/necessità di riconoscere ad Haftar uno spazio, un ruolo adeguato nel governo di unità nazionale e attraverso tale misura puntare anche alla fiducia del parlamento di Tobruk.
Ma temo che il rilievo pubblico dato a questa opzione abbia indotto Haftar ad alzare il prezzo e, nello stesso tempo, a irrigidire le forze islamiche che sostengono Serraj.
L'EUROPA È DIVISA. Ebbene, a fronte di questo panorama, tanto frustrante quanto inquietante - che tra l’altro sta dando ossigeno non solo allo Stato islamico e alla concorrente al Qaeda in the Islamic Maghreb (Aqim) - l’Europa è divisa e non si vede chi possa riuscire a riportarla a un comun denominatore; con buona pace del governo italiano che pure si è dato e si sta dando da fare e dello stesso Obama che pure ha ripreso l’offensiva contro le precitate forze del terrorismo.
Tutti aspettano il classico Godot. Potrà esserlo Donald Trump, questo personaggio, quanto meno eccentrico, al quale l’America ha affidato la presidenza e che ha fatto della Libia una dei suoi cavalli di battaglia contro Hillary Clinton?
È lecito dubitarne. La Libia non è una priorità per il futuro inquilino della Casa Bianca e del resto anche Barack Obama ne ha da tempo assegnato la principale responsabilità agli europei.
La Libia potrebbe però rappresentare il terreno sul quale far più agevolmente affiorare la proficuità di un migliore rapporto con Mosca e col Cairo e sul quale chiedere più coesione (e responsabilità) all’Europa.
Offrendo all’una e agli altri una robusta quanto gradita continuità d’azione contro il terrorismo.
Preso da: http://www.lettera43.it/firme/ci-mancava-solo-trump-a-complicare-il-caso-libico_43675267788.htm
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