Alessandro Lattanzio, 20/5/2014
Secondo l’ex-capo dei golpisti del CNT, Mahmud Jibril, “Gli Stati Uniti hanno perseguito una politica di doppiezza in Libia. Il loro obiettivo principale era mettere al potere i fratelli musulmani in Egitto, Libia e Tunisia per contenere il terrorismo, affidando il programma ai suoi alleati regionale Turchia e Qatar. La caduta di Mubaraq contribuì al successo del piano degli Stati Uniti. Ma il Generale Abdalfatah al-Sisi, il ministro della Difesa egiziano che ha tolto di mezzo il presidente egiziano islamista Muhammad Mursi, ha inferto un duro colpo al piano. Il Qatar supportò la rivolta anti-Gheddafi, imponendo l’emiro del Gruppo islamico combattente libico in Afghanistan (LIFG), Abdalhaqim Belhadj, a capo dei rivoluzionari libici. L’emiro del Qatar, Hamad bin Qalifa, rifiutò di disarmare le milizie e di recuperare le armi fornite dal Qatar, su raccomandazione della Francia, che gli islamisti ricevevano all’aeroporto di Bengasi sotto la supervisione di ufficiali dei servizi segreti del Qatar. Perciò ci siamo rivolti al Sudan per avere le armi. Per le sue operazioni, il Qatar assieme a Mustafa Abdaljalil, presidente del CNT, aveva deciso che sarei stato sollevato dalla carica di ministro degli Interni e della Difesa. Mustafa Abdaljalil aveva già “giurato fedeltà al Qatar, nutrendo simpatie per fratelli musulmani. Con mia grande sorpresa, appresi che Abdalhaqim Belhadj fu presentato ai capi di Stato Maggiore della NATO in una riunione della coalizione a Doha, nell’agosto 2011, dove ebbe un briefing sulla situazione militare in Libia, in vista dell’offensiva contro Tripoli. Il comando operativo fu poi trasferito dall’isola di Djarba in Tunisia, sotto l’autorità del partito islamista al-Nahda di Rashid Ghannuchi, uomo del Qatar, a Zintan nel Jabal al-Nafusa, nella Libia occidentale. Infine, l’assalto contro Tripoli fu ritardato di diverse settimane a causa del fatto che il Qatar aveva invocato l’opposizione della NATO a tale operazione quale scusa per l’incapacità nel distruggere le difese della capitale. Quando arrivammo a Tripoli, scoprimmo che 24 dei 28 obiettivi cruciali per paralizzare le difese della capitale furono distrutti. Il Qatar sfruttò il pretesto dell’opposizione della NATO per permettere a Belhadj di entrare per primo”.
Il 24 marzo 2014, la petroliera Morning Glory veniva sequestrata a largo di Cipro da un commando di 24 Navy SEAL imbarcati sui natanti veloci di un incrociatore lanciamissili di scorta alla portaerei USS Roosevelt. L’equipaggio di 21 persone della petroliera venne trasbordato sulla portaerei statunitense per essere poi processato per “acquisto illegale di petrolio” in Libia. “L’equipaggio sarà deferito alle autorità giudiziarie competenti“, secondo il tenente-colonnello Salim al-Shawirf. “L’equipaggio della petroliera è ora sotto la mia autorità ed è indagato“, aveva detto il procuratore neo-coloniale libico Abdalqadir Radwan, sebbene senza l’intervento delle forze speciali e della marina atatunitensi la nave non sarebbe mai stata presa. La petroliera era di proprietà di una società degli Emirati Arabi Uniti, ed era noleggiata da una società saudita, batteva la bandiera della Corea democratica, ma Pyongyang l’aveva radiata dal suo registro navale in quanto violava la legge “sul registro e i contratti marittimi che vietano il trasporto di merci di contrabbando“.
A metà aprile, esplosero proteste a Zawiya, pochi giorni dopo che il governo aveva ceduto il controllo di due porti petroliferi all’esercito per porre fine alla crisi e alle controversie tra le autorità regionali cirenaiche e quelle centrali. L’esercito aveva preso il controllo dei porti di Zuaytina e Mars al-Hariga. Però l’11 aprile i manifestanti riuscirono ad occupare la raffineria di Zawiya chiudendone la produzione di 120000 barili al giorno. Il 13 aprile, i “ribelli” della regione autonoma della Cirenaica si accordarono per consegnare al governo centrale i terminali petroliferi dei porti di Ras Lanuf e Sidra, occupati dal luglio 2013. La disputa ha ridotto le esportazioni di petrolio della Libia di 1,25 milioni di barili al giorno, con la conseguente perdita di circa 14 miliardi di dollari di entrate.
Nel giugno 2013, un comandante di al-Qaida, Ibrahim Ali Abu Baqr al-Tantush, prendeva il controllo di una base segreta creata dalle forze speciali statunitensi sulla costa libica: Campo 27. Nell’estate del 2012, i Berretti Verdi statunitensi ristrutturarono la base militare a 27 chilometri ad ovest di Tripoli, per ospitare e addestrare i combattenti per le operazioni speciali antiterrorismo della Libia. Ma due anni dopo, il campo di addestramento veniva utilizzato da al-Qaida fomentando il caos nella Libia post-Jamahiriya. “Un funzionario della Difesa degli Stati Uniti affermava che il campo oggi viene considerato ‘zona negata’ o luogo in cui le forze USA dovrebbero aprirsi la strada per accedervi“. Seth Jones, esperto di al-Qaida della Rand Corporation, aveva detto che la Libia è oggi un rifugio di al-Qaida nordafricana. “V’è una serie di campi di addestramento di al-Qaida e dei vari gruppi jihadisti emersi nel sud-ovest della Libia, intorno a Tripoli, e nel nord-est della Libia, intorno a Bengasi”. Nel marzo 2014, il generale David Rodriguez, a capo dell’US Africa Command, affermò al Comitato dei Servizi Armati del Senato che un paio di migliaia di combattenti stranieri era transitato dal nord Africa alla Siria e che al-Qaida ne coordinava le attività. Ed ora questi militanti avevano una base presso Tripoli, oltre a una serie di dispositivi tattici avanzati. “La sfida più grande sono munizioni, armi ed esplosivi che dalla Libia continuano a fluire in tutta la regione del nord-ovest dell’Africa“. Alla domanda se tali armi rafforzassero al-Qaida in Africa, Rodriguez rispose: “Li rafforza in tutto il nord-ovest dell’Africa“.
Nel frattempo, il Congresso Nazionale Generale della Libia non riusciva a nominare un nuovo primo ministro, avendo il candidato Ahmad Mitiq ottenuto solo 113 dei 120 voti necessari. La Libia era senza premier da quando Ali Zaydan era scappato in Europa a marzo e il primo ministro ad interim Abdullah al-Thini rimaneva in carica fino alla nomina di un successore. Al-Thini aveva annunciato a metà aprile che si sarebbe dimesso, spaventato da uno scontro a fuoco in una zona residenziale che lo vide oggetto. Il primo vicepresidente del Congresso, Az al-Din al-Awami dichiarava chiuso un primo procedimento per eleggere il nuovo premier; ma esso venne illegalmente riaperto dal secondo vicepresidente, Salah Maqzum, dove Mitiq riceveva 121 voti. Infine la situazione venne risolta dal presidente del Congresso Nuri Abu Sahmayn che nominava Mitiq nuovo primo ministro. Il portavoce del primo ministro al-Thini, Ahmad Lamin, affermava che una volta raggiunto l’accordo, al-Thini sarebbe rimasto in carica finché Mitiq avesse stilato il nuovo governo e il Congresso l’avesse approvato. Ma proprio ci si avviava verso l’adempimento di tale processo, esplosero nuovi scontri a Bengasi. Secondo il quotidiano algerino al-Qabar del 12 maggio, il Feldmaresciallo egiziano Abdalfatah al-Sisi avrebbe deciso di estirpare il terrorismo islamista in Egitto intervenendo militarmente contro le relative basi in Libia. Il direttore dell’intelligence egiziana Muhammad Farid al-Tuhamy avrebbe visitato Washington per spiegare al governo degli Stati Uniti le minacce poste da al-Qaida all’Egitto dalla Libia, affermando che i combattenti dallo Stato Islamico dell’Iraq e Levante (SIIL) provengono dall’Egitto e che il nuovo governo di Cario li combatte. Il 10 maggio al-Qabar aveva pubblicato un articolo che avvertiva dell’imminente guerra in Libia, che avrebbe potuto propagarsi anche in Tunisia. Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero sostenuto l’azione contro la Libia per stabilizzarvi la situazione e por fine alle minacce poste dagli islamisti. Lo sceicco Muhammad bin Zayid bin Sultan al-Nuhayan, principe ereditario di Abu Dhabi, sosterrebbe l’Egitto nella repressione dei gruppi islamisti che minacciano la stabilità regionale.
La mattina del 16 maggio, l’ambasciatore d’Algeria a Tripoli, Abdalhamid Buzhar, subiva un tentativo di rapimento da parte di uomini armati, presso la sua residenza a Qarqas, Tripoli. Ma la scorta del personale diplomatico algerino riusciva ad evacuare l’ambasciatore presso l’aeroporto di Tripoli e da lì ad Algeri. Il resto del personale della rappresentanza diplomatica venne evacuato il giorno dopo e l’ambasciata venne chiusa. Questo tentato rapimento era l’ultimo di una serie di attacchi alle missioni diplomatiche in Libia. Un diplomatico tunisino e l’ambasciatore giordano furono rapiti e poi rilasciati. A Bengasi, sempre il 16 maggio, esplosero scontri armati tra l”esercito nazionale libico’ dell’ex-generale golpista Qalifa Haftar e le milizie islamiste, causando 79 morti e oltre 140 feriti. A Tripoli, un comunicato del presidente del Congresso nazionale generale, Nuri Abu Sahmayn, accusava Haftar di essere “al di fuori della legittimità dello Stato” e di compiere un vero e proprio “colpo di Stato”. Il generale negava, “L’operazione lanciata venerdì e battezzata ‘Restaurare la dignità della Libia’ mira a ripulire il Paese dai terroristi. Abbiamo cominciato questa battaglia e continueremo fino a raggiungere il nostro scopo. Il popolo libico è con noi”. L”esercito nazionale’ guidato da Qalifa Haftar, ex-capo dei golpisti che nel 2011 rovesciarono Muammar Gheddafi, aveva il sostegno di un aereo da guerra e di elicotteri che bombardarono la caserma occupata dalla milizia islamista “Brigata 17 febbraio”, mentre i miliziani attaccarono la base del gruppo islamista Rafallah al-Sahati. I combattimenti si svolgevano nella zona di Sidi al-Fradj, a sud di Bengasi. Il Capo di stato maggiore dell’esercito libico, Abdalsalam Jadallah al-Ubaydi, “nega che le forze armate siano coinvolte negli scontri a Bengasi“. “In una dichiarazione alla televisione nazionale, al-Ubaydi ha chiesto all’esercito e ai rivoluzionari di opporsi a qualsiasi gruppo armato che cerchi di controllare Bengasi con la forza”. Invece molti soldati aderivano all”esercito nazionale’ dopo i numerosi attacchi compiuti dalle milizie legate ad al-Qaida fin dall’invasione USA-NATO. Al-Ubaydi vietava inoltre alle forze armate di entrare a Bengasi per sostenere Haftar. Per al-Ubaydi l’azione di Haftar era un “colpo di Stato”. Il primo ministro ad interim Abdullah al-Thini affermava che solo un aviogetto aveva attaccato i gruppi islamisti e senza il permesso del governo, “E’ il tentativo di sfruttare l’attuale insicurezza contro la rivoluzione”. Muhammad al-Hijazi, portavoce dell”esercito nazionale’, dichiarava alla TV libica al-Ahrar che unità dell’esercito regolare si erano unite alle forze di Haftar nella lotta agli islamisti, tra cui forze aeree e forze speciali. Gli “scontri non si fermeranno fin quando l’operazione raggiungerà i suoi obiettivi“. Sempre secondo al-Hijazi anche i militari dell’aeroporto di Bengasi, Benina, avevano aderito all’azione di Haftar. Reuters riferiva che le autorità libiche avevano chiuso l’aeroporto di Bengasi, “Abbiamo chiuso l’aeroporto per la sicurezza dei passeggeri, ci sono scontri in città. L’aeroporto sarà riaperto a seconda della situazione della sicurezza”. L’agenzia LANA citava Milad al-Zuwi, portavoce delle forze speciali, che negava il coinvolgimento delle sue truppe. Il portavoce dell”esercito libico nazionale’ Muhammad al-Hijazi riferiva che i combattenti al comando di Haftar “hanno bombardato le basi appartenenti ad Ansar al-Sharia e ad altri gruppi islamisti a Bengasi“. Quindi alcuni elicotteri e un caccia MIG-21 bombardarono le basi bengasine di Ansar al-Sharia, Rafallah al-Sahati e battaglione ’17 Febbraio’. A Tripoli, le milizie di Zintan attaccarono una base dei miliziani filo-governativi. Il 17 maggio, velivoli libici bombardavano la stazione radio di Ansar al-Sharia di Bengasi. Le operazioni proseguirono il 18 maggio a Tripoli, con l’assalto al parlamento, causando 2 morti e decine di feriti, e a cui parteciparono le brigate di Zintan al-Qaqa, al-Sawaiq e al-Madani che, insieme ad unità dell’esercito libico, assaltarono anche diverse basi islamiste, tra cui quella della 27ª brigata di Misurata comandata da Buqa, capo della milizia islamista governativa ‘Scudo della Libia‘. Il 19 maggio, il Capo di Stato Maggiore generale al-Ubaydi ordinava alle milizie islamiste filo-governative di proteggere le sedi governative di Tripoli, mentre l’ex-premier al-Thini confermava che 120 mezzi dell’esercito governativo erano passati con Haftar nell’offensiva contro gli islamisti di Bengasi. Il generale Haftar ribadiva che il suo obiettivo era la “liberazione della Libia dal governo islamista che ha consegnato il Paese ai terroristi”. Un ex-comandante delle forze armate libiche, colonnello Adan al-Jarushi, affermava che anche le forze armate prendevano parte all’azione contro i taqfiriti di Bengasi. Al-Jarushi si appellava ai soldati ad unirsi all’operazione e ordinava a tutte le basi aeree di bombardare le posizioni dei terroristi.
L”esercito nazionale libico’ (ENL) di Haftar è formato da circa 6000 tra miliziani irregolari e soldati dell’esercito, e dalle forze speciali di stanza a Bengasi guidate dal colonnello Abu Qamada. Inoltre l’ENL controlla le basi aeree di Bengasi e Tobruq e 200 tra blindati, carri armati e pickup armati di mitragliatrici, lanciarazzi o mortai. L’offensiva sembra godere di un certo sostegno popolare e di alcune milizie tribali in cerca di vendetta per i crimini commessi dagli islamisti. Bengasi subisce da tre anni assassini e attentati perpetrati dalle stesse milizie islamiste che il CNT aveva nominato ‘forze di sicurezza’. Il capo dei Fratelli musulmani in Libia, Bashir al-Qabti, aveva dichiarato: “Il sangue libico versato è responsabilità del governo debole mentre dita straniere giocano con il destino e il sangue dei libici per schiacciare la rivoluzione del 17 febbraio, nell’ambito di una guerra programmata contro la primavera araba“. Anche il portavoce del governo libico affermava che potenze estere tentavano di conferire legittimità alle azioni di elementi fuorilegge dell’esercito. “Vengono presentati da certi media come dei patrioti, anche se non sono altro che dei ribelli, secondo la convenzione militare“, insisteva Ahmad al-Amin, portavoce delle autorità-fantoccio della NATO e del Qatar in Libia. L’Algeria intanto schierava 10000 militari lungo i 6000 km di confine con la Libia ed alzava il livello di allerta delle forze di sicurezza algerine, per preparale ad affrontare una possibile intrusione libica sul territorio nazionale. Anche la Tunisia rafforzava i presidi al confine con la Libia, mentre già dal 13 maggio gli statunitensi avevano inviato a Sigonella 250 marines e 8 convertiplani V-22 Osprey. Il portavoce del Pentagono, colonnello Steve Warren, “ha sottolineato che mentre i marines sono “senza dubbio” dediti alla protezione delle ambasciate, non ha escluso la possibilità che possano essere chiamati per una missione diversa“. Ai marines statunitensi verrebbe ordinato di proteggere i giacimenti petroliferi. La portavoce del dipartimento di Stato USA Jen Psaki affermava “Ribadiamo il nostro invito a tutte le parti ad astenersi dalle violenze e a cercare una soluzione con mezzi pacifici“. Reuters riferiva che il giacimento al-Fil era stato chiuso per le proteste e quello di al-Sharara rimaneva chiuso, riducendo la produzione petrolifera nazionale libica a circa 200000 barili al giorno, lontani dagli 1,4 milioni di barili al giorno pompati nel 2013.
Come già detto, il 18 maggio la milizia di Haftar attaccava il parlamento libico, che veniva evacuato. Poco prima, il nuovo premier Ahmad Mitiq aveva formato il nuovo governo che attendeva la fiducia del parlamento. I miliziani di Haftar assaltarono il parlamento chiedendone la sospensione e il passaggio dei poteri ad un organismo di 60 elementi eletti per redigere la nuova costituzione del Paese nordafricano. Il Congresso Nazionale Generale (GNC) veniva incendiato dopo che i miliziani avevano sequestrando dieci deputati, prima di ritirarsi. Sparatorie esplosero in tutta Tripoli. “Annunciamo il congelamento del GNC“, affermava il colonnello Muqtar Firnana, ex-ufficiale della polizia militare di Zintan, su al-Ahrar TV a nome dell”esercito libico nazionale’ di Haftar. Secondo fonti, gli assalitori, forse miliziani di Zintan, arrivarono a bordo di blindati provenendo dalla strada che collega la capitale all’aeroporto. Le brigate di Zintan detengono Sayf al-Islam Gheddafi, ma si sono sempre rifiutate di consegnarlo a Tripoli.
Fonti:
WSWS
Secret Difa3
RID
Nsnbc
Nsnbc
Nsnbc
Nsnbc
Nsnbc
Nsnbc
Nsnbc
Moon of Alabama
Mondialisation
Jeune Independant
Global Research
Preso sa: http://aurorasito.wordpress.com/2014/05/20/libia-una-nuova-guerra-per-liberarsi-degli-islamisti/
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