By Ahmed Bensaada
Global Research, June 08, 2014
ahmedbensaada.com
Il discorso pronunciato dal presidente Obama il 28 maggio 2014 presso la prestigiosa Accademia Militare di West Point [1] sembra segnare un aggiustamento importante nella politica estera degli Stati Uniti verso il mondo arabo. Sono finiti i giorni del teatrale elogio della “Primavera araba”: questa espressione non è stata pronunciata una volta sola in tutto il suo discorso. È stata sostituita da “sconvolgimenti nel mondo arabo”, cioè “rivolta (o sommossa) nel mondo arabo”. La parola “democrazia” è stata detta solo due volte, ma in un contesto molto generale. Realpolitik oblige, Obama ha dichiarato che “il sostegno statunitense a democrazia e diritti umani va oltre l’idealismo; è una questione di sicurezza nazionale“. Non poteva essere più chiaro. Dopo i fiaschi politici delle “campagne” in Iraq e Afghanistan, il presidente degli Stati Uniti ha chiesto un cambio di strategia nella lotta al terrorismo. “Penso che dobbiamo riorientare la nostra strategia antiterrorismo, costruendola sui successi e le lacune della nostra esperienza in Iraq e in Afghanistan, con partenariati più efficaci con i Paesi in cui le reti terroristiche cercano di prendere piede” ha detto. Ciò non significa necessariamente che l’intervento militare diretto non sia più possibile, anzi. Serve solo, dice, “soddisfare standard che riflettano i valori americani“.
Due esempi libici illustrano tale nuova strategia degli Stati Uniti. L’istituzione di “partenariati efficaci” è essenziale per impedire tragedie come l’omicidio nel 2012 dell’ambasciatore USA in Libia Christopher Stevens e altri tre statunitensi [2]. Ricordiamo, a tal fine, che tale crimine commesso esattamente nell’undicesimo anniversario degli attacchi dell’11 settembre 2001, è stato attribuito agli islamisti di Ansar al-Sharia. [3] Interventi militari mirati, a loro volta, sono necessari per “neutralizzare” i terroristi coinvolti negli attacchi contro interessi statunitensi, come nel caso di Abu Anas al-Libi. Infatti, il 5 ottobre 2013, un commando statunitense lo catturò in pieno giorno con uno spettacolare raid a Tripoli. Tale ex-capo islamista, la cui taglia dell’FBI era di 5 milioni di dollari, è accusato del coinvolgimento negli attentati del 1998 contro le ambasciate statunitensi in Tanzania e Kenya. [4]
Tale politica “antiterrorismo” delineata dal presidente Obama a West Point sembra essere già attuata in Libia. Infatti, uno dei dispositivi che attualmente forniscono un “partenariato efficace” con la Libia si basa sulla collaborazione con il generale Qalifa Haftar (o Hiftar) le cui “gesta” sono ancora in prima pagina. La sua missione è lo sradicamento del terrorismo islamista che prolifera nel Paese dalla morte del colonnello Gheddafi. Il suo obiettivo principale: Ansar al-Sharia contro cui molte voci statunitensi si sono alzate chiedendo una rappresaglia per vendicare la morte dei diplomatici statunitensi brutalmente assassinati [5], accusando Obama di non aver fatto molto in tal senso [6].
La ricomparsa di Qalifa Haftar è molto istruttiva, soprattutto dopo la fuga precipitosa dell’ex-primo ministro Ali Zaydan in Germania [7], dopo il suo licenziamento da parte del parlamento libico. Ali Zaydan è il cofondatore, con Muhammad Yusif al-Magaryaf, del Fronte nazionale per la salvezza della Libia (FNSL) nel 1981. [8] Tale organizzazione, notoriamente addestrata e sostenuta dalla CIA [9], perpetuò l’opposizione armata con diversi tentativi di golpe contro il colonnello Gheddafi. Zaydan e la sua collusione con il governo degli Stati Uniti furono denunciati dopo l’arresto di Abu Anas al-Libi. Infatti, l’ex-primo ministro fu brevemente rapito il 10 ottobre 2013 da un gruppo di ex-ribelli islamici che l’accusavano di avere collaborato con il governo degli Stati Uniti nell’arresto di al-Libi, ex-membro di al-Qaida. [10] D’altra parte, nessun commento sulla fuga di Ali Zaydan o accuse di frode contro di lui furono espressi dal dipartimento di Stato. Invece, il suo portavoce “lodò” il lavoro di Zaydan “che ha guidato il fragile periodo della transizione in Libia”. [11] Dopo la fuga di Zaydan, che era nelle grazie del governo statunitense, era indispensabile riattivare “un partner efficace” nella persona del generale Haftar. Descritto come un “generale della rivoluzione”, Haftar apparve nel “quadro” insurrezione libico nel marzo 2011 “apportando qualche coerenza tattica alle forze ribelli anti-Gheddafi” [12]. Ma chi è questo Haftar lodato in tal modo dai media mainstream e la cui collaborazione è apprezzata dagli Stati Uniti? Il generale Qalifa Haftar era un alto ufficiale dell’esercito libico che partecipò al colpo di Stato che portò al potere Gheddafi nel 1969. [13] Principale ufficiale nel conflitto ciadiano-libico per la striscia di Aozou (ricco di uranio e altri metalli rari), guidò per sette anni la guerra contro le truppe di Habré, ex-presidente del Ciad sostenuto da CIA e truppe francesi. [14] Aiutati da forze francesi, Mossad israeliano e CIA, i ciadiani inflissero una grave sconfitta alle truppe libiche, il 22 marzo 1987 a Wadi Dum (Ciad settentrionale) [15]. Haftar e i suoi uomini (un gruppo di 600-700 soldati) furono catturati e imprigionati. Rinnegato da Gheddafi, che non avrebbe apprezzato la sconfitta che gli fece perdere la striscia di Aozou, infine il generale disertò presso il FNSL [16]. Supportato da Ciad, CIA e Arabia Saudita, si formò nel 1988 l’esercito nazionale libico, l’ala militare del FNSL, per cercare di rovesciare Gheddafi. [17] Un articolo del New York Times del 1991 dice che i membri di tale esercito “furono addestrati da agenti segreti statunitensi nel sabotaggio e altre azioni di guerriglia in una base nei pressi di N’Djamena, capitale del Ciad” [18]. Quando Deby salì al potere nel 1990 a N’Djamena, la situazione cambiò completamente per i ribelli libici, dato che il nuovo padrone del Ciad era in buoni rapporti con Gheddafi. Il buon rapporto tra i due uomini continuò fino alla caduta del leader libico. Infatti, Déby inviò anche truppe a sostenerlo contro la “primavera libica” [19].
Haftar e i suoi uomini dovettero lasciare il Ciad e gli statunitensi che l’infiltrarono organizzarono un ponte aereo con Nigeria e Zaire. [20] Furono quindi accolti come rifugiati negli Stati Uniti, beneficiando di molti programmi di reinserimento, comprese formazione, assistenza finanziaria e medica. Secondo un portavoce del dipartimento di Stato “i resti dell’esercito di Haftar erano sparsi in tutti i cinquanta Stati” [21]. Prima di tornare a supervisionare le forze ribelli durante la “primavera” libica, Haftar trascorse vent’anni nella provincia della Virginia. Alla domanda sul reddito del generale, uno dei suoi vecchi conoscenti confessò “che non sapeva esattamente come Haftar si mantenesse”. [22] Secondo un’altra fonte, “viveva assai bene e nessuno sa come campasse“, aggiungendo che la famiglia di Haftar non era ricca [23]. Tale frase diede luogo all’interpretazione chiara del fatto che Haftar vivesse a Vienna, in Virginia, a otto miglia dal quartier generale della CIA di Langley: “Per chi sa leggere tra le righe, questo profilo è un’indicazione sottilmente velata del ruolo di Haftar come agente della CIA. Altrimenti, come un ex-alto comandante libico poté entrare negli Stati Uniti nei primi anni ’90, pochi anni dopo l’attentato di Lockerbie, e stabilirsi nei pressi della capitale degli Stati Uniti, se non con il permesso e il sostegno attivo delle agenzie d’intelligence degli Stati Uniti?”. [24] “Quando ero negli Stati Uniti, ero protetto da ogni mossa di Gheddafi contro di me e i suoi tentativi di assassinio da tutte le agenzie degli Stati Uniti“, ha detto. “Mi spostavo dagli Stati Uniti in Europa e mi sentivo al sicuro perché ero protetto“. [25] Secondo il Washington Post, Haftar ha ottenuto la cittadinanza statunitense avendo votato due volte (2008 e 2009) nelle elezioni dello Stato della Virginia. [26] Da parte sua, il New York Times dice senza mezzi termini che il generale è “un cittadino degli Stati Uniti”. [27] Haftar ha anche riconosciuto che poco prima della sua partenza per Bengasi, fu contattato dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia Gene Cretz, che alloggiava a Washington da gennaio, e da agenti della CIA. [28] Al suo arrivo a Bengasi, nel marzo 2011, il generale Haftar fu nominato capo dell’esercito del CNT e partecipò attivamente alla guerra contro le forze di Gheddafi. Ma travolto dalla sua nomea di “agente della CIA”, fu licenziato dopo il rovesciamento della “guida” libica [29]. Tuttavia, il caos anarchico che ha colpito il Paese, la debolezza del governo centrale verso la profusione di milizie islamiste che governano ognuna una propria roccaforte e le tendenze separatiste che minacciano la Libia, ne hanno permesso il ritorno alla ribalta libica. Già il 14 febbraio 2014 sorprese tutti gli osservatori annunciando una nuova tabella di marcia per il Paese, la sospensione del parlamento e la formazione di un comitato presidenziale per governare il Paese organizzando nuove elezioni. [30] Tale tentativo di presa del potere fallì. Ma non per molto. Dopo la fuga dell’ex-primo ministro Ali Zaydan, Haftar tornava alla carica a metà maggio 2014. Dopo pesanti combattimenti contro le milizie islamiste a Bengasi e contro il Parlamento libico, che fecero decine di morti e feriti, ribadì le stesse affermazioni. [31] Diceva di rispondere solo all’”appello del popolo a sradicare il terrorismo in Libia”. Haftar smentiva le accuse di un colpo di Stato. [32] Sorprendentemente parlò, come nel febbraio 2014, per conto di un “esercito nazionale libico”, nome usato nel 1988 dall’ala militare del FNSL.
A differenza del precedente tentativo, questa volta è sostenuto da molti civili e militari nell’operazione militare chiamata “al-Qarama” (Dignità in arabo) con cui sembra unire diverse forze che “sembrano poter distruggere gli islamisti che dominano il Parlamento, che ha aperto la porta agli estremisti e alimenta il caos che scuote la Libia“. [33] E gli Stati Uniti in tutto questo? A tal proposito, l’autore e giornalista statunitense Justin Raimondo dubita che sia “una coincidenza che il generale Qalifa Haftar colpisca appena quattro giorni dopo che gli Stati Uniti schierassero 200 soldati in Sicilia, una “squadra d’intervento di crisi” inviata su richiesta del dipartimento di Stato” [34]. Da parte sua, John Hudson di “Foreign Policy” ha detto che “il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha raddoppiato il numero di aeromobili in attesa in Italia e schierato centinaia di marines in Sicilia nel caso fosse necessario evacuare frettolosamente l’ambasciata [in Libia Stati Uniti], una decisione che verrebbe presa letteralmente in qualsiasi momento“. [35] D’altra parte, è interessante notare che durante tale periodo travagliato e violento, gli Stati Uniti avevano attività diplomatiche in Libia (anche se il loro ambasciatore aveva lasciato il Paese, apparentemente per motivi familiari), mentre Paesi come Algeria e Arabia Saudita chiusero le loro ambasciate. [36] Poi il 27 maggio 2014 raccomandarono ai loro cittadini di lasciare “immediatamente” la Libia a causa della situazione “imprevedibile ed instabile”, pur mantenendo “personale limitato presso l’ambasciata di Tripoli”.[37] Situazione curiosa, francamente, per questo Paese presuntamente democratizzato dalla grazia dei bombardamenti della NATO e dei “buoni uffici” di un famoso filosofo francese, amante delle camicie bianche e acerrimo appassionato di guerre “senza amarle”.
Va detto che a Washington, alcuni esperti e funzionari del dipartimento di Stato espressero sottovoce soddisfazione nel vedere qualcuno lottare contro gli islamisti come Ansar al-Sharia [38], la milizia accusata di essere l’autrice dell’attacco contro la missione diplomatica degli Stati Uniti di Bengasi che causò la morte dell’ambasciatore Christopher Stevens. Inoltre, ciò permise a Muhammad Zahawi, capo della brigata della milizia (la Brigata Bengasi), di accusare il governo degli Stati Uniti di sostenere Haftar [39].
Deborah Jones, l’ambasciatrice degli Stati Uniti in Libia, ha detto che la sua squadra non ha condannato le azioni del generale Haftar che ha dichiarato guerra ai terroristi “islamici” in Libia. Parlava presso il Centro Stimson di Washington. [40] Un modo indiretto di sostenere Haftar, uno dei concittadini rientrato nel Paese per guidarne la guerra e che godeva da anni della generosità e calda comodità degli accoglienti sobborghi statunitensi della Virginia. Un concittadino, almeno per ora, parte dell’arsenale dei “partner più efficaci” degli Stati Uniti.
Ahmed Bensaada
Haftar: le « partenaire efficace » des États-Unis en Libye
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Riferimenti:
1. The New York Times, «Transcript of President Obama’s Commencement Address at West Point», 28 mai 2014
2. Barney Henderson et Richard Spencer, «US ambassador to Libya killed in attack on Benghazi consulate», The Telegraph, 12 septembre 2012
3. AP, «U.S. names militants involved in Benghazi attack», CBS News, 10 janvier 2014
4. AFP, «Abou Anas al-Libi, un leader présumé d’Al-Qaida méconnu chez lui», 20 Minutes, 7 octobre 2013
5. Ron DeSantis, «DESANTIS: Justice, absent in Damascus, awaits in Benghazi, too», The Washington Times, 11 septembre 2013
6. Lucy McCalmont, «John Bolton: Obama hasn’t avenged Chris Stevens’s death in Benghazi», Politico, 6 mars 2014
7. Reuters, «L’ex-Premier ministre libyen Ali Zeidan a fui en Europe», Le Nouvel Observateur, 12 mars 2014
8. The Indian Express, «New Libyan PM Ali Zeidan has strong India links», 15 October 2012
9. Ahmed Bensaada, livre à paraître.
10.AFP, «Libye: le premier ministre brièvement enlevé par d’ex-rebelles», Le Monde, 10 octobre 2013
11. AFP, «Libye: le Congrès limoge le premier ministre, Ali Zeidan», Le Monde, 12 mars 2014
12.Walter Pincus, «Only a few of Libya opposition’s military leaders have been identified publicly», The Washington Post, 1er avril 2011
13. Ibid.
14. Russ Baker, «Is General Khalifa Hifter The CIA’s Man In Libya?», Business Insider, 22 avril 2011
15. J ean Guisnel, «Quand un espion raconte…», Le Point, 5 janvier 2001
16. Russ Baker, «Is General Khalifa Hifter The CIA’s Man In Libya?», art. cit.
17. Walter Pincus, «Only a few of Libya opposition’s military leaders have been identified publicly», Op. cit.
18. Neil A. Lewis, «350 Libyans Trained to Oust Qaddafi Are to Come to U.S.», The New York Times, 17 mai 1991
19. Pierre Prier, «La garde tchadienne au secours du colonel Kadhafi», Le Figaro, 23 février 2011
20. Pierre Prier, «Le nouvel état-major libyen sous tension», Le Figaro, 23 février 2011
21. Russ Baker, «Is General Khalifa Hifter The CIA’s Man In Libya?», Op. cit.
22. Chris Adams, «Libyan rebel leader spent much of past 20 years in suburban Virginia», McClatchy Newspapers, 26 mars 2011
23. Abigail Hauslohner et Sharif Abdel Kouddous, «Khalifa Hifter, the ex-general leading a revolt in Libya, spent years in exile in Northern Virginia», The Washington Post, 19 mai 2014
24. Patrick Martin, «A CIA commander for the Libyan rebels», WSWS, 28 March 2011
25. Shashank Bengali, «Libyan rebel leader with U.S. ties feels abandoned», McClatchy DC, 12 avril 2011
26. Abigail Hauslohner et Sharif Abdel Kouddous, «Khalifa Hifter, the ex-general leading a revolt in Libya, spent years in exile in Northern Virginia», Op. cit.
27. Ethan Chorin, «The New Danger in Benghazi», The New York Times, 27 mai 2014
28. Shashank Bengali, «Libyan rebel leader with U.S. ties feels abandoned», Op. cit.
29. Armin Arefi, «Khalifa Haftar, un général made in USA à l’assaut de la Libye», Le Point, 19 mai 2014
30. RFI, «Libye: rumeurs de coup d’État sur la chaîne Al-Arabiya», 14 février 2014
31. Claire Arsenault, «En Libye, le général dissident Khalifa Haftar tente le coup», RFI, 23 mai 2014
32. Armin Arefi, «Khalifa Haftar, un général made in USA à l’assaut de la Libye», Op. cit.
33. Esam Mohamed et Maggie Michael, «Un général dissident reçoit des appuis», Le Devoir, 21 mai 2014
34. Justin Raimondo, «The Libyan ‘Coincidence’. CIA-backed general launches Libyan coup», Antiwar, 21 mai 2014
35. John Hudson, «It’s Not Benghazi, It’s Everything», Foreign Policy, 20 mai 2014
36. Renseignor, «Devant la dégradation de la situation sécuritaire en Libye l’Arabie saoudite ferme son ambassade à Tripoli…», n°823, p.3, 25 mai 2014
37. AFP, «Les États-Unis conseillent à tous leurs ressortissants d’évacuer la Libye», Le Monde, 28 mai 2014
38.Ethan Chorin, «The New Danger in Benghazi», Op. cit.
39. AP, «As Libya deteriorates, U.S. prepares for possible evacuation», CBS News, 27 mai 2014
40. Barbara Slavin, «US ambassador says Libyan general is going after ‘terrorists’», Al Monitor, 21 mai 2014
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Provenienza dell’articolo
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Versione originale francese del articolo
Questo articolo è stato pubblicato da Reporters quotidiani algerini, 3 giugno 2014 (pp. 12-13)
Leggi l’articolo in formato “giornale” (in francese)
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