12 giugno 2014
di Alessandra CoppolaCome si sceglie un trafficante? «Con il passaparola», risponde Mohammed. Come sai che puoi fidarti? «Non lo sai, è una scommessa. Io mi sono rivolto a persone che lo facevano di mestiere». Professionisti. Dalla costa libica a Milano si arriva così, pagando i servizi offerti da esperti del settore, che fanno affari con i profughi siriani.
Il racconto di Mohammed è interessante perché chiaro, dettagliato: nel caos e nella diffidenza di chi appena messo piede in stazione Centrale non è comune. L’uomo si esprime in un buon inglese, ha viaggiato con la moglie Hanan e la figlia Tala, che ha appena otto mesi ed è nata in Libia. «Siamo scappati dalla guerra un anno e mezzo fa», sunniti della periferia di Damasco, «io lavoravo come cuoco». Via terra in Libano, con l’aereo in Egitto, quindi con un autobus in Libia. «Ho lavorato con alcuni amici, sempre nel settore della ristorazione, in cucina». Poi, come raccontano tutti, la situazione s’è fatta pericolosa, violenta. E la famiglia ha deciso di rischiare la via del mare.
«Ho chiesto in giro e mi sono rivolto a persone già sperimentate».
Il prezzo è una trattativa: «Mille dollari a testa, mia figlia gratis». I tre vengono condotti in un appartamento vicino al porto di partenza, a Zuara, nel Nord. «Eravamo 30 adulti e una decina di bambini in due stanze, un solo bagno. Si dormiva a terra. Non potevamo uscire. Per mangiare, si pagava e qualcuno andava a prendere il cibo per noi». La data del viaggio è incerta. «Ci avevano detto di tenerci pronti in ogni momento, di non portare nulla. Abbiamo solo le foto del matrimonio e qualche vestito per la bimba». Passano dieci giorni e all’improvviso, di notte, arriva la telefonata che avverte:
«Yalla, si parte».
«Vengono a prenderci in auto e in più viaggi ci portano in una casa a tre chilometri dal mare, dove era stata raccolta altra gente». A piedi fino alla spiaggia, per salire in barca bisogna entrare in acqua: «Mi arrivava fin qui — Mohammed indica il petto —, eravamo tutti bagnati». La bambina sollevata con le braccia in alto. Il gozzo piccolo porta a un’imbarcazione più grande:
«Ma non abbastanza per 280 persone! Erano 16 metri per 4 — l’uomo è preciso —, io ero a cavalcioni sul bordo».
Venticinque ore di navigazione, una barca di pescatori tunisini che lancia un po’ d’acqua e indica la rotta giusta, l’avvistamento degli elicotteri italiani e quindi l’arrivo della nostra fregata che li trae in salvo.
fonte: http://lacittanuova.milano.corriere.it/2014/06/12/come-si-sceglie-un-trafficante-dalla-libia-allitalia/#.U5lmoHbUEm8.twitter
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