Scritto da: Aldo Carone 27 maggio 2014
Ritenta, sarai più fortunato. Deve aver pensato a questa massima il Generale libico Khalifa Haftar quando nelle giornate tra venerdì 16 e domenica 18 maggio ha provato a replicare il golpe già tentato nel mese di febbraio. In tale occasione il Ministro della Difesa, Abdulah al-Thani, dichiarava che il colpo di Stato era stato sventato e faceva sapere che erano già stati emessi i mandati d’arresto per i protagonisti della vicenda. “La situazione a Tripoli è sotto controllo”, aggiungeva poi il premier libico Ali Zeidan.
Quello che non è chiaro è come Haftar abbia avuto la possibilità di replicare quanto già avvenuto tre mesi fa. Certo è, tuttavia, che da febbraio alcune cose in Libia sono cambiate. Ad esempio l’Occidente potrebbe aver perso la pazienza nei confronti di istituzioni troppo deboli che non riescono ad imporsi sulle milizie islamiche, soprattutto nell’Est del Paese. Un chiaro segnale in tal senso è la presa di posizione dell’ambasciatore ONU in Libia a favore di Haftar. Ma non solo. Da febbraio, infatti, il consenso attorno al Generale dissidente ha iniziato a montare anche negli ambienti militari, fino al punto che interi reparti dell’aviazione libica hanno preso posizione in suo favore.
I fatti. Con un’irruzione ben pianificata, venerdì 16 maggio si sono registrati su Bengasi bombardamenti aerei e spostamenti di carri armati, oltre alla manovra di 6000 soldati all’attacco delle basi fondamentaliste e dei checkpoint delle milizie islamiste “17 febbraio”, “Rafalla al Sahati” e “Ansar al Sharia”. Tuttavia, questa operazione, sebbene abbia visto impegnati interi reparti di quello che dovrebbe essere l’esercito libico post-rivoluzionario, risulta priva di ufficialità. A schierarsi per primo contro l’operato di Haftar è stato il capo di Stato maggiore dell’esercito libico Abdel-Salam Gadallah Al Obeidi, che ha definito l’ex Generale un criminale, mentre allo stesso tempo ordinava ai soldati di ritirarsi.
A ribattere alle parole di Al Obeidi è lo stesso Haftar che riferisce: “dobbiamo ripulire Bengasi dalle milizie islamiste e restaurare la dignità della Libia. Tutti i riservisti sono mobilitati. Se falliamo, il terrorismo vincerà”. A far seguito a queste parole, poi, l’assalto al Parlamento libico di domenica 18 maggio, dove Haftar ha riproposto la roadmap già indicata a febbraio ed un attentato nei confronti di Al Obeidi il 21 maggio. A differenza del “18 brumaio” di febbraio, questa volta il militare ha ottenuto anche il plauso di alcuni deputati libici.
La reazione dell’Occidente. Da un lato gli Stati Uniti hanno espresso il loro favore per la decisione di Tripoli di indire le prime elezioni del post-Gheddafi per il 25 giugno. Dall’altro è però difficilmente ipotizzabile che gli stessi guardino negativamente agli sviluppi portati avanti da Haftar. Sebbene nella retorica occidentale la democrazia appaia come un tabù a cui almeno a parole non si può rinunciare, nei fatti la storia degli ultimi decenni è piena di casi in cui al “potere del popolo” l’Occidente ha spesso preferito regimi militari più malleabili ai propri interessi. E in certi casi non si può dar torto alle decisioni realiste dell’Occidente.
E’ di pochi giorni fa, infatti, il rapporto dell’agenzia Frontex secondo cui nei primi mesi del 2014, rispetto allo stesso periodo considerato nel 2013, gli sbarchi di clandestini verso l’Italia sono aumentati dell‘823%. Numeri che incutono un certo timore in Europa e che possono essere spiegati solo alla luce del disordine interno alla Libia. Non è quindi un mistero che rispetto ad un governo transitorio troppo debole per imporsi sulle milizie islamiste, e comunque non eletto, la stessa Unione Europea possa preferire un passaggio di consegne, o meglio, una presa di potere da parte di Haftar, come soluzione al problema dell’accresciuta immigrazione verso l’Europa. La soluzione politica auspicata a marzo può essere rimandata anche in un altro momento, almeno dopo l’emergenza clandestini che con i mesi estivi potrebbe aumentare oltre ogni soglia immaginabile.
La Libia è ancora nel caos, ma questa volta sembrano esserci margini per un velato ottimismo. Portare la democrazia in Libia è certamente un obiettivo di medio-lungo termine, prima però occorre fare il lavoro sporco eliminando qualunque motivo di instabilità tanto per il Paese, quanto per l’intera area, Mediterraneo compreso.
Preso da: http://www.rivistaeuropae.eu/esteri/esterni/libia-insicurezza-tempesta-prima-quiete/
Nota***** in realtà haftar agisce su mandato CIA USA
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