17 giugno 2014
Di Francesco Trupia
Le proteste della maggioranza sciita in Bahrain evidenziano una duplice realtà del Paese: da una parte l’acclamata Monarchia al-Khalifa, dall’altra le violazioni dei diritti umani e delle restrizioni contro la popolazione.
Non coinvolto nelle dinamiche più rivelanti e spinose che si avvicendano in Medio Oriente, lo Stato di Bahrain ha sempre consegnato all’opinione pubblica l’immagine del tipico paradiso fiscale arabo ed alle immense risorse petrolifere. A differenza del recente passato però, il primo semestre del 2014 è stato caratterizzato dalle partecipate proteste contro la dinastia sunnita degli al-Khalifa e dalla costante crescita sul piano della cooperazione internazionale.
Le importanti manifestazioni di Febbraio e Marzo hanno impensierito non poco le tante organizzazioni ed istituti in difesa dei diritti umani soprattutto dopo aver appreso della morte di tre agenti delle forze dell’ordine, dell’escalation di sommari arresti tra manifestanti ed attivisti e delle continue rivolte nei luoghi a maggioranza sciita del Paese. I riflettori della comunità internazionale puntati sul Paese hanno condotto la scarcerazione di molti manifestanti incarcerati dal febbraio del 2011, grazie anche all’ordinamento giuridico che impone l’applicazione della shari’a per i musulmani e gli istituti di common law per i restanti abitanti. Le proteste condotte dalla popolazione sciita, che rappresenta la maggioranza in Bahrain, ha denunciato da tempo discriminazioni interconfessionali da parte della dinastia sunnita al potere.
Tra gli esponenti più importanti liberati l’attivista Nabeel Rajab rappresenta la storica figura antigovernativa che, attraverso la fondazione del Bahrain Centre for Human Rights, non ha risparmiato dure critiche alla Monarchia. Quest’ultimo, dopo un paio di giorni dalla scarcerazione, ha iniziato una nuova battaglia contro il governo nazionale che ha sponsorizzato attraverso i canali di Al-Jazeera nella sua prima intervista da cittadino libero. La protesta, tutt’oggi in corso in Bahrain, ha come oggetto la condizione carceraria dei tanti detenuti nel Paese, che come ha affermto sempre Rajab si trova in una condizione addirittura «peggiore di quella lasciata prima dei due anni di detenzione». I capi d’accusa che condussero al suo arresto nel Luglio 2012 furono quello di vilipendio nei confronti del Primo Ministro Sheikh Khalifa al-Khalifa attraverso l’utilizzo di Twitter ma, dopo il bavaglio posto dalla Monarchia, la sua battaglia potrebbe avere esiti migliori.
Gli appelli di Nabeel Rajab, infatti, sono stati oggetto di discussione all’interno del Parlamento nazionale, in cui il deputato sunnita Osama Mohanna al-Timimi è stato addirittura espulso per “cattiva condotta” dopo aver denunciato anch’egli le tragiche condizioni del carcere di Jaw. Come ha riportato l’agenzia di stampa ufficiale Bahrain Bna, i 40 membri del Consiglio dei Rappresentati dopo aver preso atto delle passate ed estrose battaglie politiche del deputato, come quella del 2012 in cui bruciò la bandiera di Israele e la difesa di attivisti sciiti, hanno deciso per l’espulsione dalla sede istituzionale.
Le politiche proibizioniste del Bahrain sembrano non concludersi con la repressione dei manifestanti sciiti e le espulsioni di membri dal Parlamento per comportamenti non conformi. I giudici nazionali hanno bandito da qualche mese la vendita di alcool all’interno del Paese e, contemporaneamente, il Ministro della Cultura ha ufficializzato la chiusura di locali notturni, meta principale di migliaia di turisti. Uno degli attivisti filogovernativi più conosciuti in Bahrain, Adel Maawdah, ha dichiarato al The Wall Street Journal che già dal 2009 la maggioranza dei cittadini era favorevole al bando dell’alcool. Tale divieto avvicina il Bahrain ai governi di Iran e Pakistan che vietano la vendita ed il consumo di alcool, a differenza di Qatar, Arabia Sudita ed Emirati Arabi nei quali ciò è concesso ma solo in privato.
La Monarchia ha difeso l’attività dell’esecutivo dagli attacchi dei media e dall’opposizione di piazza sottolineando che, nel pieno rispetto della Shari’a e dell’islamismo sunnita, le politiche adottate sono coerenti con la cultura storica del Paese. Infatti, proprio in Bahrain le istituzioni finanziarie non possono investire o avere interessi in comune con tutte quelle società i cui business riguardino l’attività bancaria basata sul sistema degli interessi o la produzione, lavorazione e confezione di maiale, alcool, tabacco e gioco poiché offensivi dei principi dell’Islam.
Ma il Bahrain non è solo restrizioni e proteste. Il 2 Giugno presso il Palazzo delle Nazioni di Ginevra, il Paese ha ricevuto il via libera per entrare a far parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel periodo 2014-2017. L’obiettivo è stato raggiunto grazie al lavoro svolto dalla Camera di Commercio e dell’Industria di Bahrain (BCCI), rappresentata da Mohammed Sherif al-Rayes, e grazie al coordinamento con il Ministero del Lavoro di Jamil bin Mohammed Ali Humaidan. La Monarchia di al-Khalifa ha immediatamente espresso le proprie felicitazioni annunciando nuovi piani di crescita e sviluppo nel settore del lavoro, e non solo.
Infatti in ambito di cooperazione internazionale la diplomazia del Bahrain ha avuto un ruolo centrale nella sesta sessione del meeting ministeriale China-Arab States Cooperation Forum. Durante i lavori, inaugurati dal Presidente cinese Xi Jinping, il Ministro degli Affari Esteri Fadhul al-Buainai ha sottolineato nel suo discorso l’importanza delle relazioni bilaterali tra Bahrain e Cina nella promozione dell’integrazione tra i popoli ed il mutuo soccorso. Sempre il Ministro ha poi con orgoglio celebrato il venticinquesimo anno delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi auspicando nuovi progetti di sviluppo per gli anni avvenire.
Il ruolo della Cina in Bahrain non è da sottovalutare rispetto ad altri Paesi sulla carta più importanti in Medio Oriente. Nella corsa al soddisfacimento energetico la prima economia mondiale cercherà quasi sicuramente di trovare un proprio spazio nella gestione o ampliamento dell’oleodotto sottomarino che collega Bahrain ed Arabia Saudita in cui viene lavorato il greggio nella raffineria di Sitra, di proprietà della join venture Bahrain Petroleum Company e la statunitense Caltex.
Il forum è servito anche alla dinastia al-Khalifa per parlare delle possibili soluzioni all’interno della crisi siriana, nonostante la recente vittoria elettorale di Assad, ed approvare ufficialmente la “Beijing Declaration – Forum’s ten-year development plan 2014-2024” in cui proprio il Bahrain sembra essersi ritagliato un ruolo di importante protagonista.
Fonte: http://www.cronacheinternazionali.com/laltra-faccia-del-bahrain-tra-rivolte-antigovernative-e-riconoscimenti-internazionali-6057
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