23 maggio 2014
24 Stati (su 54) e 146 tra milizie-guerrigliere, gruppi separatisti e gruppi anarchici coinvolti. Sono questi i numeri impressionanti delle guerre e delle crisi in Africa, il continente più tormentato e povero del mondo. Le zone calde sono il Mali (guerra contro i tuareg e militanti islamici), la Nigeria (guerra contro i militanti islamici), la Repubblica Centrafricana (guerra civile), la Repubblica Democratica del Congo (guerra contro i gruppi ribelli), la Somalia (guerra contro i militanti islamici), il Sudan (guerra contro i gruppi ribelli) e il Sud Sudan (guerra civile). Poi ci sono le aree più vicine all’Europa, quelle del nord che si affacciano sul Mediterraneo. Sono gli Stati coinvolti in qualche modo nelle primavere arabe, espressione un po’ ambigua con la quale si indicano le rivolte popolari che hanno portato alla caduta di capi di Stato come Mubarak (Egitto) e Gheddafi (Libia). In entrambi i casi la caduta dei due uomini forti non è bastata a garantire un processo di pacificazione della società e, dopo un periodo di apparente calma, i paesi sono ripiombati nel caos.
In Egitto, l’islamista Morsi, espressione del potente gruppo politico dei Fratelli Musulmani, ha tradito le aspettative che avevano accompagnato la sua elezione alla presidenza della Repubblica. Un rivolta popolare contro il Governo, appoggiata dall’Esercito, ne ha decretato la fine. Oggi, imprigionato, rischia persino la pena di morte. Le imminenti elezioni decreteranno con tutta probabilità la vittoria dell’ex generale Abdel Fattah al Sisi, superfavorito nei sondaggi. Il suo sfidante, l’esponente di spicco della sinistra Hamdine Sabbahi, non sembra avere grandi possibilità. Le elezioni si svolgono in un clima di forte tensione. Il rischio di attentati è elevato ed è per questa ragione che il ministero dell’Interno egiziano ha deciso di schierare circa 400 mila unità delle forze dell’ordine – 220mila poliziotti e 181mila militari – per garantire la sicurezza del voto.
La Libia invece è sull’orlo della guerra civile. L’ex generale dell’esercito libico Khalifa Haftar ha dichiarato guerra agli estremisti islamici e ai Fratelli Musulmani e ha chiesto alla corte suprema di formare un governo ad interim in vista di nuove elezioni. Con l’elezione farsa del 5 maggio il Partito della Giustizia e della Costruzione, ala politica dei Fratelli Musulmani, puntava a ribaltare il risultato delle elezioni vinte nel luglio 2012 dall’Alleanza delle Forze Nazionali dell’ex premier Mahmoud Jibril. Un golpe bianco che il generale Haftar ha deciso di bloccare con un’operazione militare che ha l’obiettivo di ripristinare ordine nel paese, soprattutto nella ricca Cirenaica del petrolio da sempre roccaforte di militanti islamici armati. I principali gruppi attivi nel paese sono: Libyan Liberation Front (LLF) in Sahel, Gruppo Prigioniero Omar Abdelrahman, il Movimento Islamico Libico (LIM) o al-Harakat al-Islamiya al-Libiya, collegato ad al-Qaeda e le Brigate del prigioniero Omar Abdul Rahman, anch’esso collegato ad al-Qaeda.
In Mali la guerra si è sviluppata a seguito del colpo di stato del marzo 2012 e dell’offensiva del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (laico e a prevalenza tuareg) e degli islamisti nel dicembre 2012. Il crollo del potere statale aveva permesso al movimento tuareg di conquistare il controllo delle principali città e di dichiarare unilateralmente l’indipendenza dell’Azawad, non riconosciuto da nessun’altra nazione. Il sogno di un Azawad indipendente durò tuttavia meno di due mesi, quando i combattenti MNLA furono espulsi dal potere da tre gruppi islamisti: Ansar Dine, MUJAO (Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa Occidentale), e al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). Questi movimenti tentarono di introdurre un governo basato su una rigorosa interpretazione della sharia nelle zone da loro controllate, arrivando al punto di imporre tali sanzioni come tagliare le mani per le accuse di furto, imporre alle donne di indossare l’hijab in pubblico, e separare i ragazzi e le ragazze a scuola. Nel gennaio 2013 una forza multinazionale (operazione Serval) è intervenuta, su mandato ONU, per ristabilire la sovranità sui territori sahariani settentrionali. I gruppi armati attivi nel paese sono ben 11.
In Nigeria sono presenti 5 gruppi armati e di resistenza. Dal 2002 è attiva la setta islamica di Boko Haram, la più pericolosa. Il gruppo, affiliato ad al Qaeda, recentemente è salito agli onori della cronaca mondiale per il rapimento di oltre 200 studentesse costrette a convertirsi alla religione musulmana e a seguire i dettami più rigidi dell’Islam. Fin dalla sua nascita, il movimento ha rivolto invettive contro i giovani del paese sostenendo come le scuole corrompessero i costumi islamici. Boko Haram, secondo le autorità statali, è responsabile di attentativi e un numero imprecisato di omicidi. Il gruppo è anche noto per numerosi attacchi a chiese cristiane. In Nigeria dal gennaio del 2012 è presente anche un altro gruppo islamico: Ansaru o Vanguardia per la Protezione dei Musulmani nell’Africa Nera. Si segnalano anche continui scontri etnici e religiosi tra musulmani e cristiani nello stato di Plateau. Secondo il Crisis Group, la lotta di Boko Haram ha causato la morte di 4mila persone in soli quattro anni, oltre ad aver causato mezzo milione di sfollati e centinaia di scuole distrutte.
La Repubblica Centrafricana è insanguinata da una guerra tra cristiani e musulmani che ha causato migliaia di morti e circa un milione di sfollati. Per molti osservatori, lo stato africano ricorda il Ruanda di 20 anni fa. L’Onu parla di genocidio. La Repubblica Centrafricana non aveva mai sperimentato una simile spirale di violenze settarie. Eppure nella sua storia, sin dall’indipendenza dalla Francia nel 1960, non sono mancati colpi di stato e guerre civili.
La guerra di religione è esplosa quando Seleka, una coalizione di 5 gruppi ribelli musulmani, nel marzo del 2013 ha rovesciato l’ex presidente François Bozizé e ha preso il potere. Oggi il paese è guidato da Michel Djotodia. Seleka è composta per lo più da mercenari provenienti dal Ciad e dal Sudan, che per dieci mesi hanno razziato e dato alle fiamme centinaia di villaggi, torturando, stuprando le donne e uccidendo gli uomini della popolazione a maggioranza cristiana. Fanno parte di questo raggruppamento: la Convenzione dei Patrioti per la Giustizia e la pace (CPJP); la Convenzione dei patrioti della Salvezza del Paese (CPSK) o Convenzione dei patrioti della Salvezza e del Kodro (CPSK); l’Unione delle Forze Democratiche per il Raggruppamento (UFDR) o Unione delle Forze Democratiche per l’Unità (UFDR); il Fronte Democratico del Popolo dell’Africa Centrale (FDPC) o Fronte Democratico del Popolo della Repubblica dell’Africa Centrale (FDPC) o Forze Democratiche per il Popolo dell’Africa Centrale (FDPC) e l’Alleanza per la Rinascita e la Ricostruzione (A2R). In contrapposizione a questa coalizione islamica, sono nate le milizie Anti-balaka (cristiani contro Seleka).
Fonte: http://spondasud.it/2014/05/africa-meta-continente-in-guerra-pericolo-lestremismo-islamico-1689
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