Aggiornato
Qualcuno
forse si chiederà cosa lega tra loro gli argomenti apparentemente
disparati citati nel titolo. Da parte nostra ci ripromettiamo di
mostrare come la distruzione dello stato libico guidato per 42 anni da
Gheddafi, programmata da tempo dall’Occidente e dalle monarchie arabe
reazionarie, abbia creato un’area di instabilità che coinvolge tutta
l’Africa occidentale e sub-sahariana: una situazione che fornisce agli
stati imperialisti ed ex-coloniali (come USA e Francia) continue
occasioni di intervento e ingerenza in Africa.
La rivoluzione del 1969, condotta da un gruppo di giovani ufficiali
nazionalisti e laici guidato da Gheddafi sul modello del nazionalismo
arabo di Nasser, aveva permesso alla Libia un lungo periodo di crescita
economica e stabilità. Tutti gli accordi con le multinazionali del
petrolio erano stati ricontrattati permettendo allo stato libico di
incassare ingenti somme ed effettuare preziosi investimenti. Erano state
valorizzate le grandi risorse d’acqua sotterranee presenti sotto il
deserto del Sahara, permettendo alla Libia di raggiungere l’autonomia
alimentare. Il reddito pro-capite della popolazione era diventato il più
alto dell’Africa. Era stata anzi varata una Banca Africana
che avrebbe permesso a molti stati africani di sfuggire ai ricatti del
FMI e delle grandi banche occidentali. Nella sua visione di liberazione
panafricana Gheddafi aveva finanziato molti movimenti di liberazione,
ed in particolare l’ANC di Nelson Mandela, protagonista della lotta contro l’Apartheid in Sud-Africa.
L’ostilità occidentale contro le politiche di Gheddafi si era esplicata
già in precedenti bombardamenti aerei statunitensi (in uno di questi fu
uccisa una figlia di Gheddafi) e sanzioni imposte al paese accusato
(senza prove evidenti) di aver causato la caduta di un aereo di linea a Lockerbie. Molti ignorano che anche Bin Laden
(già agente statunitense e dell’Arabia Saudita nella lotta contro i
Comunisti e i Sovietici in Afghanistan) era stato inviato anche in Libia
per organizzare un complotto contro il governo laico-nazionalista di
Gheddafi. La congiura, appoggiata dall’esterno dai servizi segreti
britannici, era basata su clan tribali e gruppi confessionali di
fanatici islamici, forti soprattutto in Cirenaica, dove la setta dei Senussi aveva sostenuto il vecchio re Idriss, fantoccio dei colonialisti inglesi defenestrato dalla rivoluzione.
Costretto alla fuga Bin Laden dopo che il suo progetto era stato
smascherato, il piano di destabilizzazione è andato comunque avanti e si
è finalmente attuato nel 2011 grazie anche all’intervento militare
diretto della NATO e del Qatar, protettore e finanziatore di gruppi estremisti islamici in Libia, così come in Siria e in altri paesi.
Oggi notoriamente la Libia è nel caos più completo. Non esiste un
governo degno di questo nome. Le bande armate di fanatici controllano
singole città o quartieri, o singole installazioni petrolifere, tentando
persino di vendere petrolio per proprio conto. Ben nota è la vicenda
della petroliera battente una falsa bandiera nordcoreana, che, dopo aver
acquistato petrolio in Cirenaica, è stata poi abbordata in alto mare
dalla marina statunitense. Bande di assassini razzisti, come i
famigerati miliziani di Misurata, già noti per la pulizia etnica effettuata ai danni dei cittadini di pelle troppo scura di Tawerga, fanno continuamente irruzione a Tripoli, e nello stesso Parlamento libico, completamente esautorato.
Le conseguenza sui paesi limitrofi sono state devastanti perché la
Libia, che era una volta un paese organizzato e laico che bloccava il
passaggio delle milizie islamiche ed il traffico delle armi, oggi, al
contrario, si è trasformata in un crocevia da cui transitano le bande
armate ed i rifornimenti per i vari movimenti terroristi.
La prima vittima è stata il Mali, paese sahariano e
sub-sahariano posto a sud dell’Algeria, dove l’attacco delle bande
armate di fanatici, sovrappostesi alle antiche rivendicazioni
autonomiste dei nomadi Tuareg, hanno portato il caos e permesso alla
Francia di intervenire militarmente rimettendo piede nella ex-colonia
ricca di minerali. Ma situazioni simili si stanno verificando in altri
paesi come la Repubblica Centro-africana. Anche qui i
conflitti tribali e confessionali tra islamici e cristiani hanno dato
modo alla Francia di intervenire (per non parlare della Costa d’Avorio dove un colpo di stato sostenuto dalla truppe francesi ha posto al potere un fantoccio della Francia).
Il clamoroso caso delle ragazze rapite nella Nigeria
settentrionale, essenzialmente colpevoli di essere troppo istruite,
oltre che cristiane, si iscrive in questo quadro. L’azione dei
terroristi islamici di Boko Haram ha permesso a squadre
militari di “esperti” statunitensi ed inglesi di ingerirsi negli affari
interni nigeriani, mentre l’agitazione si estende in tutta l’Africa
sub-sahariana.
Un altro elemento destabilizzante è stato indubbiamente anche il
progressivo collasso, in gran parte operato dall’esterno, di un altro
grande paese considerato “stato-canaglia”come il Sudan.
La parte meridionale di questo stato, resasi indipendente con l’aiuto
occidentale, è preda di conflitti tribali sanguinosi, mentre altre
agitazioni coinvolgono il Darfur, vasta zona occidentale ai confini con il Ciad, paese anch’esso coinvolto, così come il Niger.
Anche la fuga dalla Libia di oltre un milione di lavoratori egiziani ha
contribuito ai disordini ed alla crisi economica che perdura in Egitto.
Le conseguenze di queste destabilizzazioni programmate si avvertono
anche attraverso un fenomeno che ci riguarda molto da vicino, quello di
masse di esuli che tentano di raggiungere le nostre coste partendo da
paesi devastati e dilaniati da crisi e conflitti. I barconi che
affondano nel Mediterraneo coinvolgendo nel disastro profughi africani, o
anche provenienti dalla Siria (altro paese
destabilizzato da ingerenze esterne statunitensi, europee, turche, e
dell’Arabia Saudita e del Qatar), sono fatti che testimoniano anche del
nostro diretto coinvolgimento in queste tragedie.
E’ evidente che solo un (per ora improbabile) cambio di politica da parte dell’Europa (non più ingerenze militari finto-“umanitarie”,
ma una reale politica di rispetto e buon vicinato) può cominciare ad
invertire queste tendenze disastrose per l’Africa, per i paesi del
Vicino Oriente, ma domani anche per l’Europa stessa.
Vincenzo Brandi
Preso da: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2454
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