2/1/2018
Soldi e uranio, col rischio di finire in mezzo a una guerra.
L’Italia in Niger con 500 soldati, su invito della Francia? Motivo
ufficiale: fermare, nel Sahel, la tratta dei migranti e il
fondamentalismo islamico. Ma attenzione: il Niger ha appena ottenuto,
dalla conferenza parigina dei donatori, un super-finanziamento da 23
miliardi di dollari. Un pacchetto di aiuti, come si dice in gergo, “allo
sviluppo e alla sicurezza”, i cui appalti sono destinati a imprese
europee. «Di sicuro vedremo quindi imprese italiane su quel campo, per
non parlare della fornitura di armi necessaria alla “stabilizzazione”»,
scrive il blog “Senza Soste”,
che mette a fuoco anche l’altra possibile motivazione della strana
missione italiana, annunciata da Gentiloni dal ponte di una portaerei.
«Il punto è che in Niger, oltre ai 23 miliardi di dollari in aiuti che
andranno trasformati in appalti, c’è qualcosa che vale, come sempre, una
spedizione militare: qualcosa di serio, come quel tipico prodotto da
green economy che è l’uranio». Non è certo una novità: proprio per
l’uranio destinato al nucleare fu montato, nel 2002, il caso Nigergate.
«In poche parole, si scrive Niger e si legge uranio. Stiamo parlando del
quinto produttore di uranio al mondo ma con una popolazione, di venti
milioni di persone, stimata tra le dieci più povere del pianeta».
In Niger c’è anche Arlit, una delle capitali mondiali della
produzione di uranio impoverito, continua il newsmagazine. E’ proprio il
pericolosissimo materiale «che provocò la morte dei soldati italiani al
ritorno dalle missioni coloniali in Kosovo, Afghanistan e Jugoslavia (340 morti, 4000 malati, una strage silenziata al massimo dai media,
con D’Alema e Mattarella, all’epoca ministro della difesa, che in
materia negarono l’impossibile)». Ma in Niger, continua “Senza Soste”,
«se si scrive uranio si legge Areva, una multinazionale francese a
proprietà pubblica, con un proprio distinto grattacielo al quartiere
parigino della Défense». Il campo si fa quindi più chiaro: resta in mano
francese lo sfuttamento e l’export dell’uranio del Niger, i cui
proventi non vanno certo ad una popolazione ben al di sotto del livello
di povertà.
«L’export di uranio del Niger, oltre a non fruttare niente
per il popolo di quel paese e inquinarne pesantemente le acque, fornisce
energia per il 50 per cento della popolazione francese». E’ evidente
quindi che «lo sviluppo drammaticamente ineguale in Niger è un affare
interno della Francia». Ma anche esterno, «perchè nella fornitura di
energia atomica in Ue, che è circa un terzo di quella complessiva,
l’uranio permette alla Francia di essere la principale produttrice di
energia del continente, con una quota del 17,1% sulla produzione totale
Ue e davanti a Germania (15,3%) e Regno Unito (in calo, ma al 13,9%)».
Così è tutto più chiaro, scrive “Senza Soste”: «Gli scafisti di un
paese senza sbocco al mare c’entrano poco, se non come fake news
all’amatriciana». L’Italia? Forse potrebbe ricavarne, in cambio, anche
una quota di energia. Ma, al netto degli eventuali appalti per Roma –
una possibile fetta dei 23 miliardi concessi in “aiuti” – il blog
segnala che le nostre truppe saranno inserite in un disegno, interamente
francese, di ristrutturazione “coloniale” dell’area, dopo la crisi
apertasi nel 2011 per Areva, costretta a rivedere una serie di reattori
dopo il disastro giapponese di Fukushima. Il 2011, ricorda la “Bbc”, è
anche l’anno del cosiddetto “uranium-gate”, che coinvolge l’Areva in
fenomeni di corruzione in Niger, con fondi neri finiti in Russia e in
Libano, fuori dal controllo di Parigi. Altro obiettivo, per la Francia:
contrastare la presenza della Cina sul terreno: «E visto che in Africa i
cinesi non esistono, sul piano militare, non c’è niente di meglio che
ristrutturare Areva dall’interno e far valere la propria presenza sul
campo in termini di truppe, con l’aiuto dell’Italia». Il rischio? La
guerriglia: dopo la sollevazione dei Tuareg
che ha minacciato proprio le miniere di uranio, si è già fatta sentire
una guerriglia definita “islamista”, che ha già colpito siti francesi
nel 2013.
«Secondo fonti africane in lingua inglese, la guerra dell’uranio in Niger sembra essere appena cominciata: una guerra con gli Usa
che forniscono i droni, mentre la Francia e l’Italia sono sul campo –
la prima a difendere i propri interessi diretti, la seconda a supporto»,
cercando di rimediare appalti o magari una posizione privilegiata nella
produzione di energia. Gruppi islamisti? In un articolo seguito
all’uccisione di quattro soldati americani nell’area, il “Guardian”
parla di gruppi in grado di colpire ma difficili da identificare, «in
una delle più remote e caotiche zone di guerra
del pianeta». Ed è in questo tipo di zona che la Francia vuol rimettere
ordine, con l’aiuto italiano, anche per fronteggiare la minacciosa
concorrenza del Kazakhstan, super-produttore di uranio. «Se ne può stare
certi: le mosse legate al Niger vedranno un piano di decisione
politico, su più capitali dell’Occidente, e uno legato alla situazione
sui mercati finanziari. Poi si potrà raccontare degli scafisti, dei
progressi contro la guerriglia islamista», a beneficio dei grandi media e del loro pubblico ignaro. Non a caso, è già partito il ritornello degli “aiuti” per fronteggiare la devastante emergenza-siccità
che sta flagellando l’area. «Per evitare tragedie nel Sahel, legate
alla fuga dai territori, basterebbe intervenire sulle crisi idriche, favorendo le naturali economie locali, e non immaginare di creare fortezze da fantascienza».
Se però andiamo a vedere la vastità della crisi
idrica che tocca il Niger, aggiunge “Senza Soste”, vediamo che non
comprende solo quel paese ma anche tutta la grande fascia sub-sahariana,
dalla Mauritania all’Eritrea. E spesso, le zone toccate dalla crisi
idrica coincidono con quelle interessate dalla cosiddetta guerriglia
islamica: è il caso del Mali, oggetto di intervento francese a inizio
2013. «Parigi interviene, quando la crisi economica e politica precipita, per “stabilizzare” economia e situazione politica
del paese e far valere gli interessi francesi. La novità è che,
stavolta, interviene anche l’Italia», coinvolta anche nell’intricato
dopoguerra in Libia. Riusciranno a pesare sulla crisi,
i maxi-appalti in arrivo? «A essere cinici – scrive “Senza Soste” – con
150 milioni annui, e qualche cerimonia militare, l’Italia si dovrebbe
garantire un po’ di appalti, per una cifra magari 20 o 30 volte
superiore, per le proprie imprese dal settore infrastrutture a quello
della fornitura». Secondo Gianandrea Gaiani di “Analisi Difesa”, non è
né garantito l’affrancamento dalla subalternità militare a Parigi, già
evidenziatosi con la crisi libica del 2011, né il processo di razionalizzazione dei flussi migratori. La politica
italiana? Considera “naturale” «l’assenza di qualsiasi visione
strategica sull’Africa, continente la cui sinergia tra miseria e boom
demografico è ottima candidata ad essere un futuro problema per l’Europa».
Preso da: http://www.libreidee.org/2018/01/soldati-italiani-in-niger-a-proteggere-luranio-dei-francesi/
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