Mision Verdad 18 gennaio 2018
Plan Colombia, un fenomeno importato e il confine
Durante il governo di Álvaro Uribe Vélez, la Colombia ha subito un processo di riconfigurazione del territorio a causa dello sfollamento forzato di oltre 2 milioni di persone (per lo più contadini) che portò all’offensiva del Plan Colombia e del paramilitarismo. Lungi dal risolvere qualcosa, anche se non era l’interesse iniziale, l’attività bellica si estese, come i suoi meccanismi e canali di finanziamento che l’alimentano: narcotraffico, commercio di armi, criminalità economica, ecc. Il confine venezuelano subì i primi effetti del fenomeno con caratteristiche transnazionali e transfrontaliere, causato da uno Stato fallito che ha consegnato la sicurezza interna agli Stati Uniti e deciso, principalmente, sull’importanza per quest’ultimo della cocaina prodotta ed esportata; un equilibrio che favorisce l’aumento della domanda di armi. Anche il traffico di droga ha la sua geopolitica. Tale processo di conquista sui generis il cui risultato è la progressiva depredazione, sempre sui generis, della vita economica e sociale del confine, porta al consolidamento dei gruppi armati che controllano le rotte del contrabbando, della vendita di armi e del narcotraffico.
L’impresa bellica in Colombia, marchio USA, crebbe enormemente e cercò
in Venezuela d’installare una sussidiaria, un’espansione che ridiede
anche nuovo carattere al classico crimine organizzato in Venezuela
dall’economia illegale basata su traffico di droga, contrabbando,
assassini… e poi violenza politica. Nel caso di un’azienda, quindi, era
naturale la necessità di un apparato di sicurezza privato, in questo
caso il paramilitarismo, che acquisiva la forma di braccio esecutivo del
neoliberismo, poiché contesta il controllo sociale allo Stato sul
territorio. E questo vale per la Colombia che per la Siria. Tale
penetrazione ha modellato la progressiva importazione dell’esercito
privato, ma anche una cultura di violenze specifica in Venezuela,
affermandosi come società oltre al mero crimine. Avendo tale qualità
privata, i grandi interessi politici possono metterci le mani ed usarlo.
Si tratta di assumere il rischio d’investimento. Il paramilitarismo non
è un fenomeno venezuelano, le bande e i referenti del crimine
organizzato non sono nati spontaneamente, i loro modi di punire e
controllare determinati territori non l’hanno appreso su Internet; è una
conseguenza della geopolitica bellica degli Stati Uniti in Colombia, di
cui anche i colombiani sono vittime. Essere vicino al principale
produttore di cocaina nel mondo e al mercato principale di armi nella
regione sarebbe facile, proprio in tale dettaglio c’è la logica del
paramilitarismo usato come strumento politico in Venezuela e fenomeno
dalle implicazioni che ha. Non è un caso se il capo politico dei
paramilitari colombiani, in un recente scambio con i giornalisti,
simpatizzasse con le azioni di Perez e chiamasse l’esercito alla rivolta
contro il governo.Durante il governo di Álvaro Uribe Vélez, la Colombia ha subito un processo di riconfigurazione del territorio a causa dello sfollamento forzato di oltre 2 milioni di persone (per lo più contadini) che portò all’offensiva del Plan Colombia e del paramilitarismo. Lungi dal risolvere qualcosa, anche se non era l’interesse iniziale, l’attività bellica si estese, come i suoi meccanismi e canali di finanziamento che l’alimentano: narcotraffico, commercio di armi, criminalità economica, ecc. Il confine venezuelano subì i primi effetti del fenomeno con caratteristiche transnazionali e transfrontaliere, causato da uno Stato fallito che ha consegnato la sicurezza interna agli Stati Uniti e deciso, principalmente, sull’importanza per quest’ultimo della cocaina prodotta ed esportata; un equilibrio che favorisce l’aumento della domanda di armi. Anche il traffico di droga ha la sua geopolitica. Tale processo di conquista sui generis il cui risultato è la progressiva depredazione, sempre sui generis, della vita economica e sociale del confine, porta al consolidamento dei gruppi armati che controllano le rotte del contrabbando, della vendita di armi e del narcotraffico.
Daktari, modus operandi e via armata
I fatti della fattoria Daktari al momento diedero la dimensione di dove si fossi disposti ad andare per togliere il chavismo dal potere, fino a che punto i confini erano gestiti. È stato un anno in cui il Paese fu mobilitato dal referendum di richiamo promosso dall’anti-chavismo, che cercò di consolidare una vittoria politica dopo il colpo di Stato/serrata/sabotaggio dei mesi precedenti. I fatti e le connessioni politiche e commerciali sono ben noti; più di 100 paramilitari assoldati e collegati ad agenti infiltrati nelle forze di sicurezza e affaristi diedero la misura di un modus operandi ripetutosi in modo inerziale negli ultimi anni: se le battaglie politiche si perdono, si ricorre al piombo; se le battaglie di strada (guarimbas) si perdono, si ricorre ancora al piombo, a sicari e assassini prezzolati. E qui manca solo chi mette il denaro e chi muove le fila (si pensi alla CIA), e chi nel tribunale politico e mediatico è complice nel distorcere, negare o legittimare ciò che ne risulta. In tale contesto generale, si acquisisce visibilità quando si usano cellule armate (germe di eserciti privati) per intensificare le violenze di strada o quando, in caso di riflusso, le si usano per scopi selettivi come omicidi politici. Dalla vicenda iconica della fattoria Daktari, si evidenziano molteplici forme di uso di tale strumento, notando i periodi delle guarimba come scuole o centri di formazione, sempre tentando di posizionare gruppi armati (mascherati da “manifestanti”, ovviamente) per intensificare lo scontro. Le guarimbas del 2017 descrivevano piuttosto bene come molotov e scudi di latta fossero strumenti di marketing che offuscavano, alla stampa mondiale, occupazione e sequestro urbano, uso di cecchini e armi da fuoco negli scontri e comprovata intenzione di compiere omicidi contro chi era o sembrava un chavista. C’era la chiara intenzione di testare la lotta armata, sia da parte di attori interni che esteri: riconoscimento internazionale dello scenario di scontro delle guarimbas, generante le cellule di Óscar Pérez e Juan Caguaripano, proveniente da Stati Uniti ed Unione Europea principalmente.
I fatti della fattoria Daktari al momento diedero la dimensione di dove si fossi disposti ad andare per togliere il chavismo dal potere, fino a che punto i confini erano gestiti. È stato un anno in cui il Paese fu mobilitato dal referendum di richiamo promosso dall’anti-chavismo, che cercò di consolidare una vittoria politica dopo il colpo di Stato/serrata/sabotaggio dei mesi precedenti. I fatti e le connessioni politiche e commerciali sono ben noti; più di 100 paramilitari assoldati e collegati ad agenti infiltrati nelle forze di sicurezza e affaristi diedero la misura di un modus operandi ripetutosi in modo inerziale negli ultimi anni: se le battaglie politiche si perdono, si ricorre al piombo; se le battaglie di strada (guarimbas) si perdono, si ricorre ancora al piombo, a sicari e assassini prezzolati. E qui manca solo chi mette il denaro e chi muove le fila (si pensi alla CIA), e chi nel tribunale politico e mediatico è complice nel distorcere, negare o legittimare ciò che ne risulta. In tale contesto generale, si acquisisce visibilità quando si usano cellule armate (germe di eserciti privati) per intensificare le violenze di strada o quando, in caso di riflusso, le si usano per scopi selettivi come omicidi politici. Dalla vicenda iconica della fattoria Daktari, si evidenziano molteplici forme di uso di tale strumento, notando i periodi delle guarimba come scuole o centri di formazione, sempre tentando di posizionare gruppi armati (mascherati da “manifestanti”, ovviamente) per intensificare lo scontro. Le guarimbas del 2017 descrivevano piuttosto bene come molotov e scudi di latta fossero strumenti di marketing che offuscavano, alla stampa mondiale, occupazione e sequestro urbano, uso di cecchini e armi da fuoco negli scontri e comprovata intenzione di compiere omicidi contro chi era o sembrava un chavista. C’era la chiara intenzione di testare la lotta armata, sia da parte di attori interni che esteri: riconoscimento internazionale dello scenario di scontro delle guarimbas, generante le cellule di Óscar Pérez e Juan Caguaripano, proveniente da Stati Uniti ed Unione Europea principalmente.
Cellule armate e caso libico
Dopo che il ciclo di violenza politica e armata in Venezuela fu chiuso, tre attacchi ebbero luogo. Uno contro il quartier generale della Corte Suprema di Giustizia (TSJ, mentre i bambini che studiavano nell’istituzione erano all’interno) e il Ministero degli Interni, Giustizia e Pace con un elicottero da cui lanciavano granate e sparavano; e gli altri due contro sedi delle Forze Armate Nazionali Bolivariane (FANB) nello Stato di Carabobo (Fort Paramacay) e di Miranda (Comando della Guardia Nazionale Bolivariana, GNB). L’obiettivo era prendere le armi per preparare un colpo ed acquisire capacità, ma anche imporre al pubblico una presunta superiorità tattica e militare, oltre al clima di terrore. Con questi attacchi le due nuove cellule armate (una di Óscar Pérez e l’altra del disertore Juan Caguaripano) ebbero una nuova scommessa. Una cellula non è fine a se stessa, serve da primo raggruppamento di una strategia superiore volta a formare un esercito parallelo: dopo un processo d’infiltrazione e cooptazione delle forze regolari per produrre diserzioni, si tenta di dargli forma ed obiettivo politico. Così avvenne durante la “Primavera araba” che travolse la Libia, dove i servizi d’intelligence della NATO riuscirono ad attrarre ufficiali dall’esercito verso i “ribelli”, con un quadro narrativo globale che poneva come unica via pratica l’agenda armata per abbattere Gheddafi. Vi ricorda qualcosa? Pérez e Caguaripano erano la prova di quell’intenzione (globale ma adattata a ciascun terreno) di “risolvere” i conflitti armati ed infiltrare le forze di sicurezza per formare il seme di un esercito privato. In Venezuela la visibilità di tale intenzione è ancora maggiore quando si nota l’assedio psicologico a cui furono sottoposte le FANB, i ricorrenti appelli dell’opposizione a “stare con la Costituzione” (eufemismo per insurrezione) e le infiltrazioni rilevate in tempo. In questo senso lo smantellamento di tali cellule assai pericolose non era solo volto a sventare qualsiasi sabotaggio o terrorismo futuro, secondo il dirigente Diosdado Cabello pronte a far esplodere un’autobomba nell’ambasciata cubana, ma anche a neutralizzare le operazioni all’interno delle forze di sicurezza. Quest’ultimo punto è fondamentale per prevenire i servizi d’intelligence stranieri che potrebbero essere operativi nel ricreare un Perez o un Caguaripano che, ancora una volta, cerchi di portare il Paese in guerra.
Dopo che il ciclo di violenza politica e armata in Venezuela fu chiuso, tre attacchi ebbero luogo. Uno contro il quartier generale della Corte Suprema di Giustizia (TSJ, mentre i bambini che studiavano nell’istituzione erano all’interno) e il Ministero degli Interni, Giustizia e Pace con un elicottero da cui lanciavano granate e sparavano; e gli altri due contro sedi delle Forze Armate Nazionali Bolivariane (FANB) nello Stato di Carabobo (Fort Paramacay) e di Miranda (Comando della Guardia Nazionale Bolivariana, GNB). L’obiettivo era prendere le armi per preparare un colpo ed acquisire capacità, ma anche imporre al pubblico una presunta superiorità tattica e militare, oltre al clima di terrore. Con questi attacchi le due nuove cellule armate (una di Óscar Pérez e l’altra del disertore Juan Caguaripano) ebbero una nuova scommessa. Una cellula non è fine a se stessa, serve da primo raggruppamento di una strategia superiore volta a formare un esercito parallelo: dopo un processo d’infiltrazione e cooptazione delle forze regolari per produrre diserzioni, si tenta di dargli forma ed obiettivo politico. Così avvenne durante la “Primavera araba” che travolse la Libia, dove i servizi d’intelligence della NATO riuscirono ad attrarre ufficiali dall’esercito verso i “ribelli”, con un quadro narrativo globale che poneva come unica via pratica l’agenda armata per abbattere Gheddafi. Vi ricorda qualcosa? Pérez e Caguaripano erano la prova di quell’intenzione (globale ma adattata a ciascun terreno) di “risolvere” i conflitti armati ed infiltrare le forze di sicurezza per formare il seme di un esercito privato. In Venezuela la visibilità di tale intenzione è ancora maggiore quando si nota l’assedio psicologico a cui furono sottoposte le FANB, i ricorrenti appelli dell’opposizione a “stare con la Costituzione” (eufemismo per insurrezione) e le infiltrazioni rilevate in tempo. In questo senso lo smantellamento di tali cellule assai pericolose non era solo volto a sventare qualsiasi sabotaggio o terrorismo futuro, secondo il dirigente Diosdado Cabello pronte a far esplodere un’autobomba nell’ambasciata cubana, ma anche a neutralizzare le operazioni all’interno delle forze di sicurezza. Quest’ultimo punto è fondamentale per prevenire i servizi d’intelligence stranieri che potrebbero essere operativi nel ricreare un Perez o un Caguaripano che, ancora una volta, cerchi di portare il Paese in guerra.
Media e politici statunitensi e legittimazione del paramilitarismo con un altro nome
Una componente fondamentale che consente la legittimazione e l’empatia coi gruppi armati sono i mezzi di propaganda privati. Sotto l’imposizione di un alias globalizzato (i “ribelli”), caos e mercenarizzazione dei conflitti sono stati giustificati dalle grandi compagnie mediatiche, come in Medio Oriente dopo la “Primavera araba”. E i “ribelli” sono, appunto, le cellule terroristiche o i gruppi armati che “emergono” in territori dai governi non allineati agli Stati Uniti. Il Venezuela non sfugge a tale trattamento, e durante le ultime guarimbas veniva avanzata la narrazione che rappresentava “scontri tra manifestanti pacifici con militari armati”, quando erano episodi di violenze, blocchi stradali, tiro di cecchini e saccheggi. Tuttavia, l’alias “ribelle”, nomenclatura che segna una risorsa militare, apparve chiaramente dopo che Óscar Pérez e il suo gruppo furono liquidati negli scontri; i media internazionali e locali assunsero un tono glorificandolo come “pilota ribellatosi a Maduro”, facendo appello ai vuoti di disinformazione lasciati dall’operazione e, soprattutto, alle voci più estreme dello spettro politico (María Corina Machado, Diego Arria, Antonio Ledezma, ecc.) che diedero a Pérez sostegno sfacciato. Sebbene tale alias denoti già l’intenzione di gestire la storia per legittimare le cellule armate, collocando Pérez nelle stesse coordinate simboliche delle organizzazioni terroristiche in Medio Oriente, un altro dato prefigura i supporti esteri che l’opzione armata ha: Marco Rubio, Otto Reich, Roger Noriega e Ileana Ros hanno difeso Óscar Pérez e supportato le sue azioni. Non si tratta di semplici parlamentari o portavoce degli Stati Uniti, ma di un settore che con l’ascesa dell’amministrazione Trump ha un’importante influenza nel configurare le relazioni degli Stati Uniti col Venezuela. Evidenziare i casi Otto Reich e Roger Noriega, entrambi agenti della guerra sporca in America centrale e strettamente legati ai servizi segreti statunitensi che Marco Rubio, da senatore, sostiene, in modo che la loro voce flebile sia ascoltata. Come nel caso di Luis Almagro, che approfittando dell’ondata sul suo account twitter, condivide il sostegno alle ONG finanziate dal dipartimento di Stato, come Human Rights Watch. A questo punto è necessario sottolineare l’ovvio: il prossimo attacco pianificato dalla cellula di Perez, o Caguaripano prima dello smantellamento, sarebbe stato legittimato da tali attori politici al Congresso degli Stati Uniti, che hanno mostrato influenza nel delimitare la politica estera nei confronti del Venezuela. Marco Rubio e Ileana Ros hanno persino accesso a budget neri con cui potrebbero concedere finanziamenti per non far calare l’entusiasmo, fatto già abbastanza pericoloso. Tale prova è più che sufficiente per inquadrare l’operazione contro la cellula di Perez nel contesto, ma soprattutto, poiché il paramilitarismo è sul tavolo di chi ha influenza relativa nella Casa Bianca, per decidere cosa fare con il Venezuela. In questi giorni c’è stato il tentativo di mostrare Óscar Pérez come caso isolato, quando in realtà rappresenta la continuità (non ancora raggiunta) dell’agenda paramilitare contro il Venezuela.
Una componente fondamentale che consente la legittimazione e l’empatia coi gruppi armati sono i mezzi di propaganda privati. Sotto l’imposizione di un alias globalizzato (i “ribelli”), caos e mercenarizzazione dei conflitti sono stati giustificati dalle grandi compagnie mediatiche, come in Medio Oriente dopo la “Primavera araba”. E i “ribelli” sono, appunto, le cellule terroristiche o i gruppi armati che “emergono” in territori dai governi non allineati agli Stati Uniti. Il Venezuela non sfugge a tale trattamento, e durante le ultime guarimbas veniva avanzata la narrazione che rappresentava “scontri tra manifestanti pacifici con militari armati”, quando erano episodi di violenze, blocchi stradali, tiro di cecchini e saccheggi. Tuttavia, l’alias “ribelle”, nomenclatura che segna una risorsa militare, apparve chiaramente dopo che Óscar Pérez e il suo gruppo furono liquidati negli scontri; i media internazionali e locali assunsero un tono glorificandolo come “pilota ribellatosi a Maduro”, facendo appello ai vuoti di disinformazione lasciati dall’operazione e, soprattutto, alle voci più estreme dello spettro politico (María Corina Machado, Diego Arria, Antonio Ledezma, ecc.) che diedero a Pérez sostegno sfacciato. Sebbene tale alias denoti già l’intenzione di gestire la storia per legittimare le cellule armate, collocando Pérez nelle stesse coordinate simboliche delle organizzazioni terroristiche in Medio Oriente, un altro dato prefigura i supporti esteri che l’opzione armata ha: Marco Rubio, Otto Reich, Roger Noriega e Ileana Ros hanno difeso Óscar Pérez e supportato le sue azioni. Non si tratta di semplici parlamentari o portavoce degli Stati Uniti, ma di un settore che con l’ascesa dell’amministrazione Trump ha un’importante influenza nel configurare le relazioni degli Stati Uniti col Venezuela. Evidenziare i casi Otto Reich e Roger Noriega, entrambi agenti della guerra sporca in America centrale e strettamente legati ai servizi segreti statunitensi che Marco Rubio, da senatore, sostiene, in modo che la loro voce flebile sia ascoltata. Come nel caso di Luis Almagro, che approfittando dell’ondata sul suo account twitter, condivide il sostegno alle ONG finanziate dal dipartimento di Stato, come Human Rights Watch. A questo punto è necessario sottolineare l’ovvio: il prossimo attacco pianificato dalla cellula di Perez, o Caguaripano prima dello smantellamento, sarebbe stato legittimato da tali attori politici al Congresso degli Stati Uniti, che hanno mostrato influenza nel delimitare la politica estera nei confronti del Venezuela. Marco Rubio e Ileana Ros hanno persino accesso a budget neri con cui potrebbero concedere finanziamenti per non far calare l’entusiasmo, fatto già abbastanza pericoloso. Tale prova è più che sufficiente per inquadrare l’operazione contro la cellula di Perez nel contesto, ma soprattutto, poiché il paramilitarismo è sul tavolo di chi ha influenza relativa nella Casa Bianca, per decidere cosa fare con il Venezuela. In questi giorni c’è stato il tentativo di mostrare Óscar Pérez come caso isolato, quando in realtà rappresenta la continuità (non ancora raggiunta) dell’agenda paramilitare contro il Venezuela.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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