di Duccio Facchini —
Sostegno militare e risorse finanziarie: è la contropartita
che il Governo Gentiloni si è impegnato a garantire all’esecutivo di
Tripoli in cambio del “blocco” dell’immigrazione dalle coste libiche. Un
salto indietro sancito il 2 febbraio che l’Associazione per gli studi
giuridici sull’immigrazione giudica “vergognoso” e preoccupante
Negli otto articoli del “Memorandum
d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto
all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e
sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della
Libia e la Repubblica Italiana” sottoscritto a Roma il 2 febbraio
2017, la parola “diritti” compare una sola volta. All’articolo cinque:
“Le Parti si impegnano ad interpretare e applicare il presente
Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi
sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte”. Esclusa la
“Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati”, firmata a Ginevra nel
luglio 1951 e nella quale non rientra il Paese guidato oggi da Fayez
Mustafa Serraj.
La strategia italiana ha ricevuto il
sostegno dell’Unione europea al Summit informale della Valletta, il 3
febbraio. Una decisione che l’Associazione per gli studi giuridici
sull’immigrazione (ASGI, www.asgi.it)
ha definito un autentico “tradimento” dei “principi cardine della
civiltà giuridica” nonché una palese violazione della “base democratica
sulla quale si fonda la pacifica convivenza dei cittadini”. L’Ue e il
Governo guidato da Paolo Gentiloni, pur di bloccare i “partenti”
-162.895 nel 2016, 37.500 dei quali dalla Nigeria, dati UNHCR-
starebbero infatti “aggirando il dovere di accogliere le persone in fuga
da persecuzioni e guerre con una politica estera in materia di
immigrazione in gran parte basata su accordi e partenariati stipulati
con governi dittatoriali, come il Sudan, la Libia, il Niger o totalmente
incapaci di garantire l’incolumità dei propri cittadini, come
l’Afghanistan”. Il principio di non refoulement è calpestato “in quanto
questi accordi esigono che i Paesi terzi blocchino con l’uso della forza
il passaggio di persone in chiaro bisogno di protezione internazionale.
Ciò in cambio di competenze e attrezzature militari oltre che dei fondi
per la cooperazione, ossia di quelle risorse economiche che dovrebbero,
al contrario, essere destinate alla crescita e allo sviluppo dei Paesi
terzi, ignobilmente degradate a merce di scambio”.
L’accordo “vergognoso” con la Libia
-sottoscritto anche per dar nuova linfa al Trattato dell’agosto 2008-
impegnerebbe poi il nostro Paese, come fa notare ASGI, a “fornire
strumentazione e sostegno militare, strategico e tecnologico, oltre a
fondi solo teoricamente per lo sviluppo, ad un Governo sotto costante
ricatto di milizie violente e armate, al fine di bloccare e controllare
le partenze dei migranti in fuga”.
La missiva dell’Associazione contiene
anche un appello rivolto alle Ong e all’agenzia Onu per i rifugiati:
“Alle grandi e piccole Organizzazioni non governative della cooperazione
internazionale chiediamo che si rifiutino di assecondare questo
utilizzo strumentale dei fondi, pretendendo che l’erogazione di questi
ultimi non venga condizionata alle politiche di controllo della
frontiera. All’UNHCR e all’OIM, chiediamo che si rifiutino di continuare
ad accettare di svolgere per la Commissione Europea incarichi
apparentemente finalizzati al sostegno e alla cura dei migranti e dei
rifugiati, ma che sono in realtà fondamentalmente diretti a favorire il
respingimento e il controllo degli uomini e delle donne in fuga da
persecuzioni e conflitti”.
Il Governo resuscita politiche già viste
mentre diversi tribunali d’Italia stanno evidenziato, da tempo, un
elemento interessante rispetto al riconoscimento di una qualche forma di
protezione internazionale. Chi si occupa di raccogliere e classificare
le ordinanze è il progetto “Melting Pot Europa” (http://www.meltingpot.org/):
Lecce, Palermo, Reggio Calabria. Negli ultimi sette mesi sono state
accordate forme di tutela anche a migranti che avevano subito violenze
non tanto nel Paese di origine quanto in quello di provenienza. E cioè
la Libia. Lo stesso Paese dove i centri governativi deputati ad
“accogliere” i migranti in transito sono finiti al centro di un rapporto
della “Missione di supporto” (Unsmil) delle Nazioni Unite per malattie,
malnutrizione, abusi, torture, pestaggi, estorsioni, come raccontato a
metà gennaio sulle pagine dell’Avvenire.
“Per superare le attuali politiche di
gestione dei flussi migratori, arbitrariamente selettive e inique, -ha
concluso l’ASGI- è necessario rafforzare in modo consistente le
operazioni di soccorso in mare, prevedere la possibilità di rilascio,
nei Paesi di origine o di transito, di un visto di ingresso in relazione
a conflitti armati o a gravi violazioni dei diritti fondamentali, che
consenta l’accesso sicuro nel territorio europeo a chi è costretto a
fuggire”. Ma la Fortezza Europa si è chiusa.
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