Nel summit di Malta l'Unione Europea appoggia il patto siglato da Gentiloni e Sarraj
Ma la situazione nel paese è tutt'altro che stabile. E i dubbi sono tanti...
L’Unione
Europea ha scelto da che parte stare. Per combattere la crisi
migratoria si appoggia l’accordo Italia-Libia, siglato dal Premier Paolo
Gentiloni e da quello libico Fayez al-Sarraj.
È
quanto emerge dal summit di Malta che ha riunito i ventisette leader
del Vecchio Continente. “L’Unione europea accoglie con favore ed è
pronta a sostenere lo sviluppo dell’accordo firmato tra Italia e Libia
il 2 febbraio” si legge nella dichiarazione congiunta in cui si spiega
inoltre che occorre “continuare a sostenere gli sforzi e le iniziative
dei singoli Stati membri direttamente impegnati con la Libia”.
Il
documento approvato sottolinea la necessità di sostenere il governo di
Accordo Nazionale per aumentare la cooperazione e l’assistenza alle
comunità locali regionali e libiche, così come le organizzazioni
internazionali attive nel paese, in cambio di collaborazione nella
gestione dell’immigrazione illegale.
Il
piano, articolato su 10 priorità, prevede lo stanziamento di fondi per
l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera
libica ed una maggior cooperazione con alcune agenzie delle Nazioni
Unite. Per coprire le “necessità più urgenti” gli stati membri accolgono
la proposta della Commissione di “mobilitare, come primo passo,
ulteriori 200 milioni di euro per la parte del fondo riguardante il Nord
Africa”. “Alcune delle azioni possono essere finanziate nell'ambito di
progetti già in corso, in particolare i progetti finanziati dal Fondo
fiduciario Ue per l’Africa, che mobilita1,8 miliardi dal bilancio
dell’Ue e 152 milioni da contributi degli Stati membri”.
Ancora,
le priorità includono l’aumentare gli sforzi per distruggere il modello
di business dei trafficanti e migliorare le condizioni socio-economiche
delle comunità locali in Libia.
Tutto
bene? In realtà la situazione non è così semplice. In Libia non c’è un
governo stabile. Da una parte c’è la fazione vicina a Fayez Al Serraj,
il premier del governo di unità nazionale libico insediatosi lo scorso
marzo a Tripoli e riconosciuto dall’Unione Europea, dall’altra il
governo insidiato da Kalifa Haftar, il capo delle milizie di Tobruk
sostenuto da Russia, Egitto e paesi del Golfo.
In
questo quadro pare assai difficile essere certi di poter fermare il
flusso di migranti attraverso il Mediterraneo centrale cooperando con
una sola parte in causa, quella di Al Serraj.
È
proprio la situazione politica ed economica nel Paese, resa instabile
dallo scellerato intervento anti-Gheddafi, a favorire il traffico di
esseri umani su una rotta che è ormai diventata il principale ingresso
di clandestini in Europa. Ben 181.000 gli arrivi, per ricordare i
numeri, principalmente attraverso l'Italia, di cui il 90% partiti
proprio dalle coste libiche.
La
soluzione dei leader europei vorrebbe insomma ricalcare il modello
utilizzato da Bruxelles con Ankara: finanziamenti in cambio di un filtro
alle frontiere, ma sulla quarta sponda non è uno solo, come nel caso di
Erdogan, a comandare. Non solo, sulla questione dei fondi Fayez
al-Sarraj ha detto dopo l’incontro con Tusk: “L’ammontare destinato
dall’Europa è una piccola cifra”. Per arginare il flusso di migranti sul
Mediterraneo la Commissione Ue ha finora stanziato 200 milioni di euro
per il 2017, come detto, mentre nell’accordo siglato nel 2016 con il
governo turco Bruxelles investì ben tre miliardi.
C’è
poi un altro interrogativo, quello proprio sulla crisi migratoria. La
nota congiunta parla dei rimpatri. “Individueremo potenziali ostacoli –
si legge dopo il summit a Malta – ad esempio in relazione alle
condizioni da soddisfare per i rimpatri, e rafforzeremo le capacità di
rimpatrio dell'Ue, nel rispetto del diritto internazionale”. E punta a
“promuovere lo sviluppo socio-economico delle comunità locali per
migliorare la loro capacità di accoglienza”.
Sarraj
però su questo punto è stato preciso: “La Libia è un Paese di transito
dei migranti, non abbiamo nessuna intenzione di trattenerli o di
reinsediarli in Libia”.
La
questione pare tutt’altro che risolta. Al momento sembra ci sia tanto
fumo, come dice il detto, ma niente arrosto. E a pagarne maggiormente le
spese sarà proprio l’Italia.
L’Unione Europea ha scelto da che parte stare. Per combattere la crisi
migratoria si appoggia l’accordo Italia-Libia, siglato dal Premier Paolo
Gentiloni e da quello libico Fayez al-Sarraj.
È quanto emerge dal summit di Malta che ha riunito i ventisette leader del Vecchio Continente. “L’Unione europea accoglie con favore ed è pronta a sostenere lo sviluppo dell’accordo firmato tra Italia e Libia il 2 febbraio” si legge nella dichiarazione congiunta in cui si spiega inoltre che occorre “continuare a sostenere gli sforzi e le iniziative dei singoli Stati membri direttamente impegnati con la Libia”.
Il documento approvato sottolinea la necessità di sostenere il governo di Accordo Nazionale per aumentare la cooperazione e l’assistenza alle comunità locali regionali e libiche, così come le organizzazioni internazionali attive nel paese, in cambio di collaborazione nella gestione dell’immigrazione illegale.
Il piano, articolato su 10 priorità, prevede lo stanziamento di fondi per l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica ed una maggior cooperazione con alcune agenzie delle Nazioni Unite. Per coprire le “necessità più urgenti” gli stati membri accolgono la proposta della Commissione di “mobilitare, come primo passo, ulteriori 200 milioni di euro per la parte del fondo riguardante il Nord Africa”. “Alcune delle azioni possono essere finanziate nell'ambito di progetti già in corso, in particolare i progetti finanziati dal Fondo fiduciario Ue per l’Africa, che mobilita1,8 miliardi dal bilancio dell’Ue e 152 milioni da contributi degli Stati membri”.
Ancora, le priorità includono l’aumentare gli sforzi per distruggere il modello di business dei trafficanti e migliorare le condizioni socio-economiche delle comunità locali in Libia.
Tutto bene? In realtà la situazione non è così semplice. In Libia non c’è un governo stabile. Da una parte c’è la fazione vicina a Fayez Al Serraj, il premier del governo di unità nazionale libico insediatosi lo scorso marzo a Tripoli e riconosciuto dall’Unione Europea, dall’altra il governo insidiato da Kalifa Haftar, il capo delle milizie di Tobruk sostenuto da Russia, Egitto e paesi del Golfo.
In questo quadro pare assai difficile essere certi di poter fermare il flusso di migranti attraverso il Mediterraneo centrale cooperando con una sola parte in causa, quella di Al Serraj.
È proprio la situazione politica ed economica nel Paese, resa instabile dallo scellerato intervento anti-Gheddafi, a favorire il traffico di esseri umani su una rotta che è ormai diventata il principale ingresso di clandestini in Europa. Ben 181.000 gli arrivi, per ricordare i numeri, principalmente attraverso l'Italia, di cui il 90% partiti proprio dalle coste libiche.
La soluzione dei leader europei vorrebbe insomma ricalcare il modello utilizzato da Bruxelles con Ankara: finanziamenti in cambio di un filtro alle frontiere, ma sulla quarta sponda non è uno solo, come nel caso di Erdogan, a comandare. Non solo, sulla questione dei fondi Fayez al-Sarraj ha detto dopo l’incontro con Tusk: “L’ammontare destinato dall’Europa è una piccola cifra”. Per arginare il flusso di migranti sul Mediterraneo la Commissione Ue ha finora stanziato 200 milioni di euro per il 2017, come detto, mentre nell’accordo siglato nel 2016 con il governo turco Bruxelles investì ben tre miliardi.
C’è poi un altro interrogativo, quello proprio sulla crisi migratoria. La nota congiunta parla dei rimpatri. “Individueremo potenziali ostacoli – si legge dopo il summit a Malta – ad esempio in relazione alle condizioni da soddisfare per i rimpatri, e rafforzeremo le capacità di rimpatrio dell'Ue, nel rispetto del diritto internazionale”. E punta a “promuovere lo sviluppo socio-economico delle comunità locali per migliorare la loro capacità di accoglienza”. Sarraj però su questo punto è stato preciso: “La Libia è un Paese di transito dei migranti, non abbiamo nessuna intenzione di trattenerli o di reinsediarli in Libia”.
La questione pare tutt’altro che risolta. Al momento sembra ci sia tanto fumo, come dice il detto, ma niente arrosto. E a pagarne maggiormente le spese sarà proprio l’Italia.
Barbara Fruch
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