11 gennaio 2017
“L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non
si presenta solo nella forma brutale di coloro che con dei cannoni
vengono ad occupare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme
più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo
combattendo il sistema che consente ad un pugno di uomini sulla terra di
dirigere tutta l’umanità.” Con queste semplici parole, il soldato
rivoluzionario Thomas Sankara, parlò al popolo del
Burkina Faso poche settimane prima di essere ucciso il 15 ottobre 1987,
insieme a dodici suoi ufficiali, in un colpo di Stato organizzato
dall’ex compagno d’armi Blaise Compaoré; un assassinio molto
probabilmente – per non dire con assoluta certezza – commissionato dai
francesi, dagli americani e da mercenari liberiani, contro un politico
africano troppo lontano da quei vizi propri di quell’attuale classe
dirigente burkinabè, ultra provincialista e completamente asservita al
colonizzatore di sempre.
“Il continente non è in grado di esportare materie
prime. Noi investiamo in modo che queste siano trasformate e
commercializzate in Africa, dagli africani. Si tratta di creare posti di
lavoro e mantenere il plusvalore in Africa. Da un lato gli europei ci
incoraggiano, perché si prosciuga il flusso migratorio, dall’altro si
oppongono perché dovrebbero abbandonare lo sfruttamento coloniale.”
Attraverso queste altre parole invece, il colonnello libico Mu’ammar Gheddafi
riferì al Fondo Sovrano Libico (LIA) l’intenzione di voler emancipare
la Libia (e con sé gran parte dei paesi africani) verso un’Unione
Bancaria Africana. Certamente un’idea molto pericolosa e in forte
contrasto con le intenzioni dei paesi Occidentali in quel momento
interessati ad investimenti (per non parlare di vere e proprie
speculazioni) sul territorio libico: quali la Francia, gli Stati Uniti e
– sotto diversi aspetti – l’Italia, quest’ultima poi successivamente
scavalcata da diversi paesi nel ruolo di primo partner dello Stato
libico dopo la caduta di Gheddafi, per l’incapacità e l’arrendevolezza
del governo Berlusconi IV.
Ora, riportate (solo alcune) delle parole di due
personaggi storici indiscutibilmente importanti per il continente
africano, quali contributi ideali possiamo dunque fornire per una più
corretta analisi dei fenomeni geopolitici dell’area africana in virtù
del fatto che – beneficiando del senno di poi – abbiamo l’opportunità di
revisionare quelle verità dei comodo vomitate dai nostri media
nazionali in seguito al colpo di Stato libico del 2011, così come per
quello avvenuto in Burkina Faso 24 anni prima? Come
possiamo sensibilizzare l’uomo della strada, l’uomo comune, a rivalutare
le figure di uomini e condottieri (almeno in Patria) quali il
Colonnello Gheddafi e il Rivoluzionario Sankara? Certamente si tratta un
tema assai complicato che merita di essere approfondito con le dovute
accortezze, per cui non bastano solamente le poche parole contenute in
un articolo di giornale, ma è un tema per il quale si deve avere il
coraggio di rigurgitare le bugie sulla presunta “primavera araba” o
sulle “vendette personali” tra tribù, ed avere uno sguardo più attento e
il più possibile lontano dalle mere logiche nazionali, orientato al
ruolo che hanno non solo le potenze occidentali ed i singoli stati che
lo compongono, ma osservare attentamente anche il ruolo che le stesse
multinazionali e gli istituti di credito svolgono con o contro quegli
stessi Stati con cui fanno affari d’oro.
Perché non è un caso, non può esserlo, che ovunque ci
siano stati uomini che abbiano alzato la testa contro le multinazionali
o i sistemi bancari occidentali, proponendo soluzioni volte alla
salvaguardia degli interessi nazionali (o in
particolari casi continentali), ci sia sempre stata una reazione, magari
armata e illegittima, da parte di coalizioni internazionali
occidentali, troppo spesso a guida statunitense. “Ogni mattina, in
Africa, un rivoluzionario burkinabè si sveglia. Sa che dovrà difendersi
dal tradimento di compatrioti al soldo dell’Occidente, o verrà ucciso.
Ogni mattina, in Africa, un colonnello libico si sveglia. Sa che dovrà
difendersi dai tentativi di destabilizzazione occidentale, o verrà
ucciso. Ogni mattina in Africa, non importa che tu sia un colonnello
libico o un rivoluzionario burkinabè, l’importante è che cominci a
COMBATTERE. Per la sovranità della tua terra, per l’indipendenza della
tua nazione, per l’autarchia del tuo continente”.
(di Federico Casali)
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