Le notizie frammentarie che
giungono dalla Libia confermano: da un lato la pericolosa precarietà in
cui si dibatte quel popolo, vicino e amico, a seguito del disastroso
intervento militare di alcuni paesi della Nato, fra cui l’Italia;
dall’altro lato il persistere di scelte politiche dilettantistiche da
parte “occidentale” di fabbricare governi, tenuti con lo sputo, che-
come si vede- rappresentano poco o nulla di quella immensa e complicata
realtà.
Tutto ciò, senza tenero conto che- per la cd “comunità
internazionale- il “valore” della Libia è dato, essenzialmente, dalle
sue produzioni e riserve d’idrocarburi (le prime dell’Africa) e che
queste ricchezze si trovano, prevalentemente a est del Paese (fra la
Cirenaica e il confine con l’Egitto). Per me la Libia (che ho avuto la
ventura di conoscere in passato) non è solo petrolio e gas, ma è, prima
di tutto, il suo popolo mite e pacifico, le sue bellezze naturali, la
sua storia e civiltà antiche, gli innegabili progressi sociali
realizzati durante la Jamahiria di Gheddafi. All’inizio di questa brutta, controproducente avventura bellica ho scritto un libro (https://www.amazon.com/NELLA-GHEDDA...) per evidenziare, documentare queste e altre cose e per ricordare ai nostri, nuovi governanti la lungimiranza della politica estera italiana (da Moro ad Andreotti, da D’Alema - e un po’ anche- a Berlusconi) verso la Libia. Per non dire dell’intensa iniziativa, unitaria e responsabile, dei maggiori partiti italiani (Pci, Dc, Psi).
Nell’ultima guerra alla Libia (dico ultima perche l’Italia ne ha già fatte altre) è stata coinvolta pesantemente la Sicilia. La nostra Isola divenne il fronte più avanzato dell’attacco di alcuni paesi Nato (senza la Germania, però!), da cui partirono navi e aerei per migliaia di micidiali bombardamenti. Oggi, di fronte al mutato quadro politico di riferimento, che vede il sedicente governo di Tripoli ai margini di ogni ragionevole prospettiva di soluzione della crisi, la Sicilia potrebbe essere re-investita di tale ruolo. Questa volta, però, rischiando di esporsi a probabili misure, a interventi di rappresaglia. Ferme restando le analisi e le valutazioni di ordine politico e strategico (per altro fatte nel citato libro), ho scritto questa nota sospinto dal timore- se volete banale, ma altamente umano che penso di condividere con i miei corregionali siciliani- che un’eventuale, nuova guerra (anomala, sporca) si possa spostare anche in Sicilia, dove noi abbiamo famiglie, figli e nipoti. Capito cosa voglio dire?
Ovviamente, tale preoccupazione vale anche per il martoriato popolo libico che da sette anni non ha più pace, ma solo distruzioni e morte.
Mi fermo. Se volete, date uno sguardo al sottostante capitolo VI (parziale) del libro segnalato, scritto in tempi non sospetti e soltanto per amore della pace e della vera sicurezza di tutti i popoli del Mediterraneo. (a.s.)
CAP. VI - L’ITALIA E LA GUERRA ALLA LIBIA
Berlusconi: dalla contrarietà alla partecipazione
È noto che, sulle prime, il capo del governo italiano, on. Silvio Berlusconi, non voleva la guerra contro l’amico Gheddafi. Temeva che un cambio di regime a Tripoli mettesse in discussione accordi chiacchierati ma importanti per l’Italia e per alcuni gruppi industriali in particolare.
In realtà, Berlusconi la guerra l’ha subita o, se si vuole, accettata di mala voglia.
Sarà stato fortemente sconsigliato dal persistere nel suo rifiuto o rassicurato nelle sue pretese?
In un caso o nell’altro, non può essere assolto delle sue responsabilità politiche, poiché un capo di governo non si fa imporre una guerra da chicchessia. Se non è d’accordo o la rifiuta o si dimette dall’incarico.
A lui ovvero all’Italia la gloriosa Triade (Usa, GB e Francia) ha lasciato la sola possibilità di accodarsi, di fornire basi, mezzi aerei, logistica e assistenza militare e di pagarne le eventuali conseguenze.
Per risolvere la crisi libica, la comunità internazionale poteva tentare la via del compromesso per giungere al cambiamento politico nel rispetto dei principi democratici e della concordia nazionale.
L’Italia, tutta l’Italia di maggioranza e d’opposizione, doveva sostenere questo tentativo proposto non da Gheddafi, ma da Paesi importanti come i cinque astenuti in seno al CdS dell’Onu (Germania, Brasile, Russia, India e Cina). Doveva farlo anche per tutelare i suoi enormi, legittimi interessi minacciati da certe mire sostitutive che si celavano, per esempio, dietro lo slancio “umanitario” del signor Sarkozy.
Forse, un bel dì si conosceranno i veri interessi della triade interventista che, certo, non è andata a bombardare per tutelare i diritti umani, per rimuovere le condizioni politiche illiberali, le sofferenze dei cittadini libici o di altri Paesi arabi in subbuglio...
Guerra chiama guerra. Da oltre 10 anni, è in corso una guerra infinita, con la scusa della lotta contro le “armi di distruzione di massa” (mai trovate), il terrorismo integralista, sottobanco foraggiato e/o incoraggiato, delle “missioni umanitarie” che tali non si sono dimostrate poiché hanno mietuto più vittime civili di quelle provocate e/o minacciate dai dittatori locali…
- Interventi, come quello attuato da alcuni paesi Nato in Libia, sono un abuso evidente che, se non sanzionato, rischia di creare precedenti pericolosi per tutti i Paesi che hanno problemi di unità interna.
D’altra parte, non si può scatenare una guerra contro ogni "dittatore".
Ce ne vorrebbero alcune decine (di guerre), quanti sono oggi i tiranni in esercizio in varie parti del mondo. Sarebbe più giusto e proficuo porre nelle sedi politiche internazionali preposte, in base alla Carta dell’Onu sui diritti dell’uomo, la questione dell’avanza-mento democratico e dell’equità sociale nel mondo per isolare e sconfiggere i dittatori residui, compresi quelli “amici” che nessuno disturba.
Non si può continuare a scherzare col fuoco poiché, una volta acceso, sarà difficile spegnerlo.
Le degnissime persone che hanno voluto trascinare l’Italia in questa avventura dovrebbero chiarire all’opinione pubblica le vere ragioni di tale intervento, costoso e subalterno, che chiare non sono.
Compresi, i leader del centrosinistra che non possono giustificare scelte così gravi con la contrapposizione al berlusconismo.
Specie, quando, come nel caso libico, c’erano in ballo gli equilibri di pace nel Mediterraneo e gli inte-ressi fondamentali, per certi aspetti vitali, dell’Italia.
Prima o poi, Berlusconi passerà. Come passeranno i suoi avversari che oggi affollano, senza gran costrutto, la scena politica italiana.
Resterà l’Italia con i suoi problemi e con le sue speranze, con la sua impoverita rete di relazioni politiche, economiche e culturali internazionali.
Oggi, nel mondo, l’Italia conta poco. Sicuramente, meno che nel recente passato quando, almeno nel Mediterraneo, un ruolo è riuscita a svolgerlo, talvolta con esiti brillanti, con il contributo decisivo della sinistra italiana.
La sua immagine risulta appannata, alterata. Si sta correndo il rischio d’indebolire quel ruolo, di ridurlo a mero espediente politico per confermare o ricercare vecchie e nuove sudditanze!
Con grave pregiudizio per l’autonomia e la sovranità nazionali e la stabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Il ruolo della Sicilia nella guerra
La guerra di Libia sarà anche ricordata per avere inaugurato il nuovo ruolo assegnato alla Sicilia di piazzaforte militare strategica e nucleare della Nato e degli Usa, minacciosamente proiettata verso il Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Africa.
Dalle basi siciliane (da Sigonella, da Trapani) sono partite migliaia di missioni aeree di bombar-damento verso le coste libiche.
Questo nuovo ruolo, che ha richiesto l’insediamento a Niscemi del progetto MUOS, non farà che aggravare, desertificare la realtà civile e culturale di questa nostra Isola infelice, taglieggiata dalla mafia, mal governata da un ceto dominante imbelle e clientelare, sottoposta a una pesante condizione di “servitù militari”. Tre fattori che, insieme, contribuiscono a creare una situazione politica molto speciale, una sorta di regime a “sovranità limitata”.
In queste condizioni, il futuro della Sicilia e dei siciliani sarà vincolato e segnato da una logica di guerra e non di pace. Quello che abbiamo temuto sta accadendo...
Un ruolo pericoloso che contrasta con lo spirito dell’art. 11 della Costituzione italiana e vanifica ogni sforzo per trasformare l’Isola in centro propulsivo di pace e di ponte per gli scambi economici e culturali, reciprocamente vantaggiosi, fra l’Europa, l’Italia e i Paesi delle rive est e sud del Mediterraneo.
In pochi mesi, con questa decisione bellicista, è stata bruciata una prospettiva che le forze democratiche e pacifiste siciliane hanno cercato di costruire negli ultimi 60 anni. A cominciare da Pio La Torre.
Preso da: http://www.agoravox.it/Crisi-libica-la-Sicilia-non-vuole.html
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