Il racconto di un migrante pakistano: "I trafficanti ci hanno detto che erano i soldati a decidere quando saremmo partiti"
Il racconto di un migrante pakistano: "I trafficanti ci hanno detto che erano i soldati a decidere quando saremmo partiti"
Giuseppe De Lorenzo
- Mer, 11/01/2017 - 18:51
"Era
un colonnello dell'esercito libico. Lui e altri militari sono venuti
armati nella casa dove ci hanno tenuti reclusi per 22 giorni.
Erano i soldati ad aiutare gli scafisti". Dal
Pakistan all'Italia, il viaggio di questo migrante 31enne, che
chiameremo Saif, ha il suo cardine in Libia. Non c'è da
stupirsi: nel 2016, infatti, l'82% degli stranieri sbarcati in Italia
proveniva dalla terra una volta nelle mani di Gheddafi. E non è un caso
se nei giorni scorsi il ministro dell'Interno, Marco Minniti,
è volato a Tripoli per incontrare il presidente del consiglio libico,
Fayez al-Serraj, con l'obiettivo di fermare le imbarcazioni cariche di
migranti. Ma la sfida è piuttosto ardua.
A spiegarlo è proprio Saif, che la vicenda l'ha vissuta in prima persona. Partito da Rawalindi, in Pakistan, dopo essere stato un anno a Tripoli decide di "fuggire verso l'Italia". "Non potevo più stare in Libia - racconta a IlGiornale.it - la situazione è drammatica, non c'è sicurezza e le tribù si fanno la guerra. Venivamo fermati, aggrediti, ci chiedevano i documenti e poi molti soldi per essere liberati dal carcere". Un anno di lavori saltuari e di inferno. Infine contatta uno scafista a Tripoli e viaggia in taxi verso Sabrata, il collo di bottiglia di tutto il traffico di esseri umani. Da qui partono le imbarcazioni dirette in Italia. Ed è qui che Saif capisce che a gestire il traffico sono, di fatto, i militari libici. Milizie ed esercito regolare. "Gli stessi scafisti ci hanno detto che saremmo salpati solo dopo il via libera dei soldati", racconta.
Per 22 giorni consecutivi Saif e gli altri migranti che erano con lui sono stati rinchiusi in un centro di detenzione in attesa di essere imbarcati. Pakistani, nigeriani, bengalesi, africani. Tutti ugualmente in prigionia. "Ci davano solo un pezzo di pane ogni 24 ore, a volte ne passavano anche 36". Militari "vestiti con l'uniforme e armati" li hanno controllati, contati e pestati. "Alcuni soldati e gli scafisti ci hanno picchiati. Anche io sono stato malmenato. Urlavano: 'State zitti, state zitti o vi uccidiamo'". Chiunque chiedesse quando li avrebbero lasciati liberi veniva colpito brutalmente dai carcerieri. Poi una notte li hanno caricati su dei camion e portati alla spiaggia. "Ci hanno fatto salire su piccoli gommoni da 10-12 persone - racconta Saif con la voce rotta dall'emozione - Urlavano "veloci veloci" e ci bastonavano. Con i gommoni siamo stati portati fino ad una barca poco più grande ormeggiata al largo. Due ore per caricare tutti. Poi finalmente siamo partiti verso l'Italia".
Come racconta Nancy Porsia su TPI, a Sabrata il re del traffico di uomini si chiama Al-Ammu. Ha fondato una milizia, ora diventata la più potente in città, con cui fa affari spedendo immigrati in Europa. A capo della guardia costiera di Zawiya, invece, c'è Abdurahman Milad, conosciuto come al-Bija. È lui che dovrebbe controllare le coste occidentali libiche ed evitare le partenze. Invece non solo le incentiva, ma gestisce accuratamente il business insieme alle milizie locali. I trafficanti devono pagare se vogliono togliere l'àncora alle imbarcazioni, altrimenti gli uomini di al-Bija intervengono e riportano a riva i migranti.
A Saif è andata bene. Gli 800 dinari libici che ha pagato gli hanno garantito un posto sul barcone. "Eravamo tantissimi, tutti stretti, ci hanno dato solo acqua e poche brioche per il viaggio - ricorda - Faceva molto freddo e non sapevamo se saremmo arrivati mai a destinazione. Ero certo fosse l'ultimo viaggio della mia vita". Invece Saif è sbarcato in Italia e ha fatto domanda di asilo. I militari libici e i trafficanti gli avevano detto di gettare in mare il passaporto e così ha fatto, nella speranza di essere accolto dall'Italia. Insieme a lui, mentre lo intervistiamo, ci sono altri pakistani che possono raccontare la stessa identica storia. A presentarceli è Cristian Benvenuto, presidente dell'Associazione nazionale Italia-Pakistan. "Il nostro governo - attacca - è andato a trattare con un presidente, quello della Libia, che non ha controllo sulle milizie che organizzano gli sbarchi". Una perdita di tempo e non solo. Dietro le pieghe della criminalità collusa con l'esercito si nascondono i jihadisti. "Alcuni membri delle milizie - spiega - cercano di reclutare migranti indigenti per Isis. Offrono 30-40mila euro da mandare alle famiglie per commettere attentati in Europa. Dobbiamo alzare la guardia: il rischio terroristico in Italia ormai è più che concreto".
A spiegarlo è proprio Saif, che la vicenda l'ha vissuta in prima persona. Partito da Rawalindi, in Pakistan, dopo essere stato un anno a Tripoli decide di "fuggire verso l'Italia". "Non potevo più stare in Libia - racconta a IlGiornale.it - la situazione è drammatica, non c'è sicurezza e le tribù si fanno la guerra. Venivamo fermati, aggrediti, ci chiedevano i documenti e poi molti soldi per essere liberati dal carcere". Un anno di lavori saltuari e di inferno. Infine contatta uno scafista a Tripoli e viaggia in taxi verso Sabrata, il collo di bottiglia di tutto il traffico di esseri umani. Da qui partono le imbarcazioni dirette in Italia. Ed è qui che Saif capisce che a gestire il traffico sono, di fatto, i militari libici. Milizie ed esercito regolare. "Gli stessi scafisti ci hanno detto che saremmo salpati solo dopo il via libera dei soldati", racconta.
Per 22 giorni consecutivi Saif e gli altri migranti che erano con lui sono stati rinchiusi in un centro di detenzione in attesa di essere imbarcati. Pakistani, nigeriani, bengalesi, africani. Tutti ugualmente in prigionia. "Ci davano solo un pezzo di pane ogni 24 ore, a volte ne passavano anche 36". Militari "vestiti con l'uniforme e armati" li hanno controllati, contati e pestati. "Alcuni soldati e gli scafisti ci hanno picchiati. Anche io sono stato malmenato. Urlavano: 'State zitti, state zitti o vi uccidiamo'". Chiunque chiedesse quando li avrebbero lasciati liberi veniva colpito brutalmente dai carcerieri. Poi una notte li hanno caricati su dei camion e portati alla spiaggia. "Ci hanno fatto salire su piccoli gommoni da 10-12 persone - racconta Saif con la voce rotta dall'emozione - Urlavano "veloci veloci" e ci bastonavano. Con i gommoni siamo stati portati fino ad una barca poco più grande ormeggiata al largo. Due ore per caricare tutti. Poi finalmente siamo partiti verso l'Italia".
Come racconta Nancy Porsia su TPI, a Sabrata il re del traffico di uomini si chiama Al-Ammu. Ha fondato una milizia, ora diventata la più potente in città, con cui fa affari spedendo immigrati in Europa. A capo della guardia costiera di Zawiya, invece, c'è Abdurahman Milad, conosciuto come al-Bija. È lui che dovrebbe controllare le coste occidentali libiche ed evitare le partenze. Invece non solo le incentiva, ma gestisce accuratamente il business insieme alle milizie locali. I trafficanti devono pagare se vogliono togliere l'àncora alle imbarcazioni, altrimenti gli uomini di al-Bija intervengono e riportano a riva i migranti.
A Saif è andata bene. Gli 800 dinari libici che ha pagato gli hanno garantito un posto sul barcone. "Eravamo tantissimi, tutti stretti, ci hanno dato solo acqua e poche brioche per il viaggio - ricorda - Faceva molto freddo e non sapevamo se saremmo arrivati mai a destinazione. Ero certo fosse l'ultimo viaggio della mia vita". Invece Saif è sbarcato in Italia e ha fatto domanda di asilo. I militari libici e i trafficanti gli avevano detto di gettare in mare il passaporto e così ha fatto, nella speranza di essere accolto dall'Italia. Insieme a lui, mentre lo intervistiamo, ci sono altri pakistani che possono raccontare la stessa identica storia. A presentarceli è Cristian Benvenuto, presidente dell'Associazione nazionale Italia-Pakistan. "Il nostro governo - attacca - è andato a trattare con un presidente, quello della Libia, che non ha controllo sulle milizie che organizzano gli sbarchi". Una perdita di tempo e non solo. Dietro le pieghe della criminalità collusa con l'esercito si nascondono i jihadisti. "Alcuni membri delle milizie - spiega - cercano di reclutare migranti indigenti per Isis. Offrono 30-40mila euro da mandare alle famiglie per commettere attentati in Europa. Dobbiamo alzare la guardia: il rischio terroristico in Italia ormai è più che concreto".
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