di Teresa Potenza
(Il Ghirlandaio) Roma, 21 dic. - L'accordo che tutti si aspettavano dalla Libia – ma in molti mettevano ormai in dubbio – è stato firmato: i due parlamenti rivali hanno
firmato, la settimana scorsa a Skhirat (Marocco), un patto che prevede
la formazione di un governo di unità nazionale. Accordo che l'Onu ha
definito come il “primo passo” verso la fine del conflitto nel Paese, a
dispetto delle opposizione sempre presenti all'interno delle due parti
principali.
Eppure, il cammino è tutt'altro che in discesa. Come ha fatto notare l'Observer (cioè
il domenicale dell'inglese Guardian), l'accordo raggiunta in Marocco
“potrebbe, nella pratica, esacerbare le divisioni poiché e i leader
delle rispettive fazioni lo hanno fermamente rifiutato”. È dunque
arrivato il momento di fermarsi davvero a riflettere. Soprattutto sui
motivi che hanno riportato la Libia, dopo quattro anni di caos, fra le
priorità delle agende internazionali: non perché la sua popolazione stia
soffrendo, sottolinea ancora l'Observer, ma per tre motivi principali.
Primo fra tutti: la presenza sempre più importante del cosiddetto Stato
islamico e la sovrapposizione delle sue attività in Siria. Libia e
Siria, insomma, sono ormai diventati inscindibili quando si parla di
lotta al terrorismo. E poi il traffico di esseri umani, fra i quali si
possono nascondere anche potenziali estremisti, considerato l'accesso
tutto sommato facile alle coste europee. E infine, le questioni
economiche. L'Europa ha grossi interessi nei confronti delle riserve
petrolifere libiche e, naturalmente, anche della “futura proprietà dei
ricchi fondi sovrani” la cui ricchezza stimata supera 100 miliardi di
dollari, ricorda il settimanale britannico.
Se la stampa inglese in generale – l'Observer è solo un esempio – sta
seguendo da molto vicino le vicende libiche, il motivo è legato agli
imminenti interventi militari nel Paese da parte della comunità
internazionale, Londra compresa. Che sancirebbero, fra l'altro,
l'apertura di un terzo fronte della guerra al terrorismo: la Libia
appunto, dopo Iraq e Siria. L'inizio di questa settimana sarà cruciale,
perché i Paesi occidentali sono in attesa di un'autorizzazione per dare
il via ai raid aerei. Intervento che, però, può cominciare solo previo
invito del governo libico: di qui, un altro motivo dell'importanza
dell'accordo firmato in Marocco. Perché solo un governo riconosciuto a
livello internazionale può avere una tale autorità. E che questa
approvazione sia vitale lo dimostra le critiche che ha suscitato la scoperta,
grazie ad alcune immagini pubblicate online, di un gruppo di forze
speciali americane, costrette a uscire dal Paese perché la loro missione
non era stata autorizzata.
Eppure, secondo esperti e diplomatici, questo passo è fondamentale per la lotta al terrorismo. Tanto più, ha fatto notare il Guardian di
recente, se si considera che nelle ultime settimane le milizie
dell'Isis non si sono soltanto andate rafforzando, ma anche
riconfigurando grazie a nuovi volontari che raggiungono la Libia e
provengono soprattutto da Sudan, Tunisia, Siria e Yemen. E stanno
diventando sempre più forti e dotati di armi letali: basti pensare che
in una intervista a Rt Arabic della scorsa settimana, il cugino
di Gheddafi ha dichiarata di essere venuto a conoscenza del fatto che
l'Isis non solo sarebbe in possesso di armi chimiche, rubate da riserve
libiche nascoste nel deserto, ma che le avrebbe già utilizzat sul
campo.
L'intervento sui tre fronti, dunque, sembra il modo migliore per
arrestare la crescita dello Stato islamico, e a crederlo è anche il
presidente degli Stati Uniti Barack Obama, secondo il quale una
coalizione guidata da Whashington potrebbe sconfiggere i gruppi
dell'Isis “schiacciandoli sistematicamente”. Ecco allora che jet, droni e
aerei da combattimento britannici, americani e francesi sono pronti, in
attesa di decollare dalle basi del Mediterraneo.
Fonte: http://www.ilghirlandaio.com/copertine/134848/libia-nuovo-governo-travolto-dalle-polemiche-tra-isis-e-corsa-al-petrolio/
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