(di Daniel Pescini) La Libia occupa l’agenda dei
governi mondiali e le pagine degli organi di informazione globale per la
grave crisi che il paese stra attraversando dal 2011. In Libia non
esiste una stato centrale, le forze armate sono polverizzate in milizie o
in forze più o meno regolari al servizio dei due parlamenti e dei due
governi che si contendono la legittimità di rappresentare il popolo
libico. Un popolo che dalla Tripolitania alla Cirenaia soffre per primo i
disagi del conflitto. E’ nota la situazione drammatica di Bengasi, dove
dopo un anno di combattimenti la città è quasi rasa al suolo e ci sono
circa 100mila sfollati che hanno urgente bisogno di aiuto (Unsmil Press Release,
20 settembre 2015).
Ma è quasi tutta la popolazione libica ad essere in
stato di forte disagio. Le Nazioni unite hanno calcolato che su una
popolazione di 6,3 milioni di abitanti, 3 milioni di persone stiano
patendo in modo più o meno rilevante le conseguenze negative della crisi
politico-istituzionale e di sicurezza del paese, e 2,44 milioni (tra
cui 1,35 milioni sono donne e bambini) hanno bisogno di assistenza
umanitaria (Libya Humanitarian Needs Summary, settembre 2015).
Eppure, in questi anni, la Libia non ha smesso di essere un paese ricco. I dati della Banca mondiale
rivelano che nel 2010 il prodotto interno lordo procapite della Libia
era più alto di quello della Russia, quasi il triplo di quello
dell’Algeria, il triplo di quello della Tunisia, quattro volte quello
del Marocco e cinque volte quello dell’Egitto. Anche dopo la guerra
civile e il pil procapite della Libia è rimasto il più alto di tutti i
paesi arabi nordafricani (vedi grafico).
c US$)
Tra il 2010 e il 2013, nonostante la guerra civile e lo stallo istituzionale, la bilancia commerciale della Libia
è sempre rimasta in attivo: +18,8 miliardi di dollari nel 2010, + 11,6
miliardi nel 2011, addirittura + 38,5 miliardi nel 2012, poi + 17,8
miliardi nel 2013. Preoccupano invece i dati del 2014, che evidenziano
un deciso calo sia del pil pro capite, sia dell’attivo della bilancia
commerciale, pari a 3,7 miliardi. Dati sintomatici del fatto che il
paese rischia il collasso se perdurerà l’assenza di stabilità politica e
istituzionale.
Ma che fine ha fatto tutta questa ricchezza finanziaria, comunque
accumulata anche durante gli anni della guerra civile? A custodirla sono
due istituzioni che, nonostante la guerra civile, nonostante il paese
conosca la minaccia permanente dei gruppi jihadisti salafiti, nonostante
sia attraversato da traffici illeciti di armi e uomini, non hanno mai
smesso di funzionare e di amministrare le entrate derivanti dalle
esportazioni di petrolio e gas: la Banca centrale (Central Bank of Libya
o CBL) e l’Autorità libica d’investimenti (Libyan Investment Authority o
LIA).
Non è un caso che già nel maggio 2015 i governi di Francia, Germania, Italia, Regno unito, Spagna e Stati uniti, in una dichiarazione congiunta, abbiano ribadito l’aspettativa che tutte le parti che rappresentano le istituzioni indipendenti della Libia, vale a dire la Central Bank of Libya, la Libyan Investment Authority, la National Oil Corporation (NOC) e la Libyan Post Telecommunications and Information technology company (LPTIC ) continueranno ad agire nell’interesse a lungo termine del popolo libico in attesa di un governo di accordo nazionale.
In questo post analizzeremo la situazione in cui si trova la LIA il
fondo di investimento sovrano. In un post successivo analizzeremo le
condizion in cui si trovano la Banca centrale e NOC.
La Libyan Investment Authority (LIA) è il fondo
sovrano libico. Ha sede a Malta e uffici a Tripoli. E’ finanziato con le
entrate delle esportazioni di petrolio. Gli investimenti della LIA
coprono diversi settori industriali: trasporti,comunicazioni, turismo
edilizia, infrastrutture, agricoltura e sono indirizzati in particolare,
oltre che in Libia, in Africa e in Europa. La Lia investe anche in
numerosi prodotti finanziari (private equity funds, derivati, hedge
funds e prodotti strutturati), in azioni delle compagnie a maggior
capitalizzazone azionaria mondiale, in bond governativi e nei mercati
monetari (Bloomberg.com).
La LIA ha un portafoglio azionario di 8,6 miliardi di dollari di cui
2,46 miliardi investiti in Italia, dove detiene l’1,25% di UniCredit, il
2% di Eni, Enel, Finmeccanica e Fca (D’Ascenzo-Mangano, Il Sole 24 Ore,
1 ottobre 2015, p. 2; Gulf News,
1 ottobre 2015 ). La Lia partecipa per il 3,2% a Pearson PLC (gruppo
proprietario del Financial Times e co-proprietario dell’ Economist), ha
quote nelle società statunitensi Halliburton (difesa), Chevron e Exxon
Mobil (petrolio). In Francia è presente nel gruppo della
difesa-aerospazio Lagardère.La
LIA è poi è azionista del gruppo milanese di tecnologie e
telecomunicazioni Retelit e ha una quota di circa il 2% della Juventus
(Fubini, La Repubblica, 5 marzo 2015). Altre partecipazioni
della LIA sono nella Royal Bank of Scotland e nella multinazionale russa
dell’alluminio Rusal (Braw, The National Interest, 10 ottobre 2015).
Nel 2013 la Deloittle, società di consulenza statunistense, ha
valutato tutti gli asset dalla Lia in 67 miliardi di dollari, ma
l’Autorità ritiene che gli esperti di Deloitte siano riusciti a valutare
solo l’80 per cento del patrimonio totale, con 13 miliardi di dollari
che risulterebbero irrintracciabili a partire dalla morte di Gheddafi (Agenzia Nova, 29 luglio 2015; Townsend, Arabianbussiness.com, 1
agosto 2015). Un terzo degli asset della LIA sono congelati dal
febbraio 2011 quando il Consiglo di sicurezza delle Nazioni unite, con
la risoluzione 1970, ha chiesto a tutti gli stati di bloccare i beni
della famiglia Gheddafi all’estero.
All’interno della LIA è poi in corso una lotta di potere
tra l’attuale presidente e amministatore delegato, Hassan Bouhadi, e il
suo precedessore, Abdul Magid Breish. Breish nel giugno del 2014 fu
costretto a farsi da parte per una indagine volta ad accertare se nei
suoi confronti dovesse valere la cosidetta “Legge sull’isolamento
politico”, approvata nel 2013 dal Congresso generale nazionale libico
per escludere i vecchi funzionari del regime di Gheddafi dalla vita
politica. Nello stesso il mese la vittoria delle forze nazionaliste e
moderate alle elezioni politiche spacca il paese in due governi, quello
di Tripoli, islamista, e quello di Tobruk, nazionalista. Passano pochi
mesi e a ottobre 2014 il consiglio di amministrazione della LIA,
sostenuto dal governo di Tobruk, nomina Hassan Ahmed Bouhadi nuovo
presidente e amministratore delegato. Ma nell’aprile 2015 si conclude
l’indagine a carico di Breish: la legge sull’isolamento politico non si
applica nel caso dell’ex numero uno della LIA e Breish reclama il
proprio posto dagli uffici della LIA a Tripoli, sotto controllo del
governo islamista. Da quel momento Breish e Bouhadi (che opera da
Malta), si contendono pezzi di potere all’interno del fondo sovrano.
Mentre il primo ha richiesto che gli asset restino congelati fino alla
costituzione di un governo di unità nazionale, come quello porposto
dalle Nazioni unite, il secondo propugna un parziale sblocco degli
stessi (Braw, The National Interest, 10 ottobre 2015 – Gulf News, 21 luglio 2015 – Libya Bussinessnews, 20 ottobre 2015).
Lo scontro in corso non ha però impedito alle due parti, nel luglio 2015, di trovare un comune accordo per incaricare la britannica BDO (azienda di consulenza contabile) di gestire la causa intentata dalal LIA contro Goldman Sachs e Société
Générale. Nel 2014, infatti, il fondo ha citato in giudizio la prima
banca per 1,2 miliardi di dollari e la seconda per 2,1 miliardi sostenendo che i due istituti abbiano consigliato al fondo investimenti sbagliati abusando della propria posizione (Wallace, The Telegraph, 2 luglio 2015). La
Corte di Londra competente a decidere sulla causa ha ammesso la
discussione alla condizione che sia stabilito chi sia il legittimo
presdiente della LIA. A settembre Bouhadi ha
annunciato di aver iniziato, presso la London Commercial Court, il
procedimento per determinare chi ha l’autorità per nominare il consiglio
di amministrazione degli asset detenuti dal fondo nel Regno unito (George, Reuters, 3 settemmbre 2015; Croft, Financial Times, 7 settembre 2015) e ad ottobre la Corte si è riunita per dirimere la questione (Lia.com.mt).
La Corte ha stabilito che occorre una consulenza del Foreign and
Commonwealth Office, e che comunque una decisione deve essere presa
entro il marzo 2016 (Libya Bussiness News, 12 ottobre 2015).
La lotta di potere per controllare il fondo sovrano libico ha dirette
conseguenze anche sugli assetti finanziari italiani. A fine settembre
2015, Bouhadi ha partecipato all’International forum of sovereign wealth
funds di Milano, dove ha incontrato anche Pier Carlo Padoan, ministro
dell’economia italiano. Alla domanda se la
Lia fosse disposta a sostenere un eventuale aumento di capitale di
Unicredit, Bouhadi e il chief investment officer Ahmed Amoush hanno
risposto in modo affermativo, ricordando che il fondo aveva seguito le
ultime due ricapitalizzazioni (Arosio-Jewkes, Reuters,
30 settembre 2015).Dichiarazioni ottimistiche, che però devono fare i
conti con la realtà. E la realtà è quella di un fondo che sebbene cerchi
di accreditarsi come super partes rispetto al conflitto in corso in
Libia, nè è invece profondamente condizionato e continuerà ad esserlo
almeno fino a quando non sarà costituito un governo di unità nazionale
libico.
Preso da: https://geopoliticaitaliana.wordpress.com/2015/11/09/libia-le-chiavi-del-potere-finanziario-parte-1-la-libyan-investment-authority/
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