23 novembre 2015
Al mercato elettorale si chiede a gran
voce che i musulmani si dissocino da quanto accaduto a Parigi venerdì 13
novembre. E se lo fanno non è mai abbastanza. Non si tratta di una
richiesta sincera ma di una psicosi collettiva di chi vuole rivendicare
la propria identità soltanto quando essa è (o sembra) minacciata. Allora
capisci il sistema dell’informazione occidentale quando vedi con che
facilità il circo politico-mediatico associ Islam, Corano e Terrorismo e
come dalla caduta del muro di Berlino ad oggi nessuno abbia mai
contestato il fatto che gli Stati Uniti d’America possiedano, fin dalla
loro nascita, la convinzione di essere stati scelti da Dio (quale? Il
nostro?) per redimere l’umanità.
Dopo l’11 settembre George W. Bush si
rivolse all’Altissimo per chiedere la benedizione della sua crociata in
Medio Oriente contro “l’asse del Male”. Così in quegli anni tornava di
moda l’eccezionalismo americano, vale a dire un nazionalismo religioso
ed ecumenico dettato da una teologia imperiale che dal 2001 non ha fatto
altro che seminare odio, morte e distruzione. Gli attentati di Parigi
rivendicati dallo Stato Islamico – un’organizzazione semigovernativa
nata sulle macerie della guerra irachena – così come gli attacchi
precedenti nel cuore del continente europeo, non sono altro che una
conseguenza di questa tragica parabola tutta occidentale.
Per capire il doppio standard dei
commentatori politici basta leggere “Democrazia di Dio. La religione
americana nell’era Impero e del Terrore” (Editori Laterza, pag. 228) di
Emilio Gentile, uno libro straordinario scritto da un allievo di Renzo
De Felice, il quale vinse un premio internazionale per i suoi studi su
religione e politica nei totalitarismi: Fascismo, Comunismo,
Nazionalsocialismo e Democrazia Americana. Che quest’ultima si trovi al
fianco delle grandi ideologie novecentesche dovrebbe, di per sé, far
pensare. La fede democratica infatti ha avuto origine dalla tradizione
religiosa dei coloni americani e la religione è sempre stata, come
osservava già Alexis Tocqueville nel 1830, la principale istituzione
politica degli Stati Uniti. Questi sono sempre stati – come lo sono
tuttora – una delle nazioni più religiose dell’Occidente. La
Costituzione afferma il principio della separazione fra lo Stato e la
Chiesa, eppure nel corso della sua storia, la politica non è mai stata
separata dalla religione. Il groviglio politico-religioso si percepisce
nella celebrazione corale “God Bless America” cantato dai credenti delle
varie chiese e confessioni che compongono il mosaico religioso
statunitense, così come negli inni patriottici che si intrecciano con
quelli religiosi nei luoghi di culto laici decorati dalla bandiera a
stelle e strisce. L’America, osservò nel 1922 lo scrittore cattolico
inglese Gilbert K. Chesterton, “è una nazione con l’anima di una Chiesa”
perché “è l’unica nel mondo fondata su un credo, esposto con dogmatica,
teologica lucidità nella Dichiarazione d’indipendenza”.
E se la religiosità in America è
inizialmente di matrice protestante, poi negli anni 30 del Novecento si
ebraicizza, negli ultimi decenni invece ha acquisito una dimensione
spirituale autonoma: la sacralizzazione della democrazia patriottica.
Un’ideologia, al pari di quelle novecentesche, che in nome di Dio è
stata esportata con la violenza prima in Afghanistan, Iraq e Libia, oggi
in Siria e domani probabilmente in Iran. In questi 14 anni nessuno ha
mai chiesto a noi europei, subalterni all’americanismo, di dissociarsi
da questa spiritualità mortifera. Esportare la democrazia di Dio: not in my name.
Preso da: http://blog.ilgiornale.it/sebastianocaputo/2015/11/23/esportare-la-democrazia-in-nome-di-dio-notinmyname/#
Nessun commento:
Posta un commento