17 marzo 2012
Borboni
tratto da: Vittorio MESSORI, Le cose della vita, Paoline, Milano 1995, p. 304s.
“Borbonico”, si sa, è un termine ingiurioso: è sinonimo di
oscurantismo, inefficienza, ottusità, malaffare. Questi significati sono
recenti e sono propri solo della lingua italiana. In Spagna, ad
esempio, la gente di ogni convinzione politica sembra soddisfatta del
suo Juan Carlos, che è un re borbonico, discendente dalla antica,
ramificata dinastia che prese origine da modesti feudatari del castello
di Bourbon. Proprio in Francia, una delle glorie nazionali è un altro
Borbone, quel Luigi XIV significativamente chiamato “il re Sole”; e sono
in molti ancora a piangere la fine dell’ultimo della dinastia, Luigi
XVI, il sovrano ghigliottinato, che, pure, ebbe il solo merito di
riscattare con il dignitoso coraggio in morte le fiacchezze e gli errori
della vita.
Se da noi – e da noi soltanto – “borbonico” suona male, il motivo va
cercato nella propaganda risorgimentale che doveva giustificare
l’aggressione contro il Regno delle Due Sicilie, retto appunto da un
ramo dei Borbone, quello di Napoli. Sia l’ala “rivoluzionaria” (quella
di Garibaldi e Mazzini), sia quella “moderata”, “liberale”, alla Cavour,
alla d’Azeglio, per una volta unite, crearono attorno ai sovrani
partenopei una delle numerose “leggende nere” che ancora infestano tanti
manuali scolastici e che popolano l’immaginario popolare. Anche qui, la
revisione storica è da tempo all’opera, ma i suoi risultati non
sembrano essere giunti ai molti – anche giornalisti – che continuano a
dire “borbonico”, così come scrivono “medievale”, per sinonimo di
barbarie.
Qualche tempo fa, uno studioso meridionale, Michele Topa, ha
pubblicato sul quotidiano di Napoli, “Il Mattino”, una serie di articoli
frutto di non conformistiche ricerche. Quei saggi sono stati raccolti
in un grosso volume dal titolo “Così finirono i Borbone di Napoli”,
pubblicato dall’editore Fiorentino. Lo storico articola la sua ricerca
soprattutto attorno agli ultimi due re, quelli sui quali si è scatenata
la campagna di diffamazione gestita dai Savoia, usurpatori del loro
regno. Al centro del libro, dunque, Ferdinando II, re delle Due Sicilie
dal 1830 al 1859 (il “re bomba”, secondo la leggenda ingiuriosa creata
anche dalla massoneria inglese) e il figlio Francesco II, spodestato da
garibaldini e sabaudi nel 1860, dopo un solo anno di regno e aggredito e
diffamato anche per avere rifiutato – lui, cattolicissimo – l’offerta
del Piemonte di spartirsi lo Stato Pontificio.
Non certo per pigrizia, ma perché non sapremmo dir meglio, riportiamo
qui parte della recensione al volume di Michele Topa apparsa su un
numero di questo giugno della “Civiltà Cattolica” (oggi, tutt’altro che
“reazionaria”), a firma di padre S. Discepolo.
Ecco, dunque: «Molti manuali di storia presentano Ferdinando II come
un mostro, un boia incoronato, un tiranno senza freni, alla testa di un
governo che era la negazione di Dio. Queste falsità furono orchestrate e
diffuse da inglesi e piemontesi con fini machiavellici; ma poi furono
sconfessate dagli stessi autori. Gladstone ritrattò, affermando che le
sue lettere erano false e calunniose, che era stato raggirato e che
“aveva scritto senza vedere”. Settembrini, autore di un infame libretto,
confessò che fu “arma di guerra”. Ferdinando II, in realtà, secondo lo
storico, fu un re onesto, intelligente, capace, galantuomo,
profondamente amante del suo popolo. Il regno fu caratterizzato da
benessere, fioritura culturale, artistica, commerciale, agricola e
industriale. Poche le tasse, la terza flotta mercantile d’Europa, una
delle più forti monete, il debito pubblico inesistente, l’emigrazione
sconosciuta. Il miracolo economico del Sud Italia fu elogiato nel
Parlamento inglese da lord Peel. L’industria era all’avanguardia, con il
complesso siderurgico di Pietrarsa, che riforniva buona parte d’Europa,
e il cui fatturato era dieci volte rispetto all’Ansaldo di
Sampierdarena. Oltre al primo bacino di carenaggio d’Europa, Napoli ebbe
la prima ferrovia d’Italia. 120 chilometri raggiunsero presto i 200 ed
erano già pronti i progetti per estendere la ferrovia in tutto il regno.
I prodotti come la pasta e i guanti erano esportati in tutto il mondo.
Prima del crollo, il Regno delle Due Sicilie aveva il doppio della
moneta di tutti gli Stati della Penisola messi insieme. Sono
significative alcune cifre del primo censimento del Regno d’Italia: nel
Nord, per 13 milioni di cittadini, c’erano 7.087 medici; nel Sud, per 9
milioni di abitanti, i medici erano 9.390. Nelle province rette da
Napoli gli occupati nell’industria erano 1.189.582. In Piemonte e
Liguria 345.563. In Lombardia 465.003».
Continua la sua sintesi del libro di Michele Topa il recensore della
“Civiltà Cattolica”: «Certo, c’era il rovescio della medaglia: un
governo paternalistico, una polizia – nella bassa forza – corrotta, una
forte censura. Erano però le caratteristiche dei governi del tempo ed
erano avvertire solo dai ceti intellettuali. Ferdinando Il, se è
attaccabile sul piano strettamente politico, non lo è su quello morale.
Le repressioni del 1848, così enfatizzate, sono da considerarsi moderate
in confronto con quelle di altri Stati o con il modo con il quale
l’Inghilterra represse i moti coloniali. Ferdinando II graziò moltissime
persone per i reati politici e di 42 condanne a morte non ne fu
eseguita nessuna».
Se così stavano le cose (e dati, cifre, documenti, starebbero a
confermarlo) come mai il crollo del Regno del Sud davanti
all’aggressione garibaldina? Continuiamo, allora, a trascrivere: «Causa
prima della fine fu la prematura morte di Ferdinando II. Suo figlio
Francesco II, mite, dolce, cavalleresco, mal consigliato e tradito dai
suoi collaboratori comprati dall’oro piemontese, si trovò a combattere
non solo contro Garibaldi, ma contro Vittorio Emanuele II (suo cugino),
Cavour, la Francia, l’Inghilterra. Lo sbarco dei Mille avvenne sotto la
protezione della flotta inglese e, nella decisiva battaglia di Milazzo,
Garibaldi aveva sull’esercito napoletano la supremazia di 5 a 1. Il
tradimento, la corruzione e l’inettitudine dei generali portarono
Garibaldi a Napoli. Ma nella battaglia sul Volturno i napoletani ebbero
la meglio, a Caiazzo i garibaldini furono sconfitti, a Capua travolti.
Il mito dell’infallibilità di Garibaldi fu infranto, a stento riuscì a
salvare la vita…».
Ci permettiamo, poi, di rimandare pure a quanto scrivevamo al
proposito, in una raccolta precedente, sui tre milioni di franchi oro
versati in segreto ai capi dei Mille per comprare la resa dei borbonici
(cfr. Pensare la storia, p. 258s). Ma che avvenne dopo? Ecco: «A Napoli,
bastarono 62 giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride
finanze e l’economia del Paese, che crollò industrialmente. Il
disavanzo napoletano alla fine del 1860 era già salito a 10 milioni di
ducati, nel 1861 a 20 milioni. Ben presto gli abitanti del Regno
toccarono con mano quanto più duro fosse il nuovo regime. Molti
divennero “briganti”. Per domarli, dovette intervenire un esercito di
120.000 uomini…».
Adesso, siamo avvertiti: prima di ingiuriare qualcosa a qualcuno definendoli “borbonici”, conviene informarsi meglio.
Così splendeva Napoli al tempo dei Borbone.
tratto da: Avvenire, 20.5.2000
Storia della famiglia che fece prosperare le terre su cui regnava: fu
la prima in Italia a volere la costruzione di ferrovie, ostelli per i
poveri, cantieri navali e persino grandi fabbriche. Il napoletano, poi,
era una delle lingue diplomatiche parlate in tutta Europa.
Viaggiare nella storia mettendo da parte i libri. Si può da ieri, a
Napoli e in altre città del Sud. È infatti iniziato il «Viaggio nella
Memoria» di quel periodo che va dal 1734 al 1861 e che vide prima la
nascita del Regno delle Due Sicilie, con la dinastia dei Borbone, e poi
la sua fine con l’Unità d’Italia. Non cominciate a storcere il naso e a
sbuffare, bambini. […] Provate invece a immaginare di studiarla da
vicino. Come? Per esempio ammirando trecento soldatini da collezione:
uniformi, bandiere, copricapi, armi bianche e da fuoco, generali e
soldati semplici tutti in fila per voi al Palazzo Reale di Napoli, per
spiegarvi la vita militare al tempo dei Borbone. Oppure visitando lo
storico Bacino di Raddobbo per le navi da guerra, il primo mai
realizzato in Italia, all’ex Arsenale Marittimo di Napoli, dove nel 1818
fu varato “Torquato Tasso”, il primo bastimento a vapore italiano. Lo
potrete vedere anche voi perché sarà riportato a Napoli, recuperato dal
fondo del mare. Sarà il simbolo di quella marina mercantile e militare
che per tutto il periodo borbonico fu la prima in Italia per forza e
mezzi e da cui è nata la moderna Marina Militare Italiana. E allora, che
ne dite? La storia si fa interessante. Se poi pensate che questi sono
solo alcuni esempi e che la manifestazione sui Borbone «Viaggio nella
Memoria» dura fino a dicembre, potete credere che ci sarà da divertirsi.
Andando indietro nel tempo, potremo scoprire nuove cose sugli antichi
Romani che vivevano a Pompei ed Ercolano, le città che furono seppellite
dalla cenere del Vesuvio nel 79 d.C. e che i Borbone fecero riportare
alla luce. O ci basterà camminare per Napoli e anche per Caserta per
scoprire palazzi, regge e strade che cinque re costruirono e che
richiamavano viaggiatori anche dall’estero. Davvero ci sarà la
possibilità di vedere e conoscere cose mai viste prima d’ora.
I primati del Regno delle Due Sicilie.
tratto da: realcasadiborbone.it
http://www.realcasadiborbone.it/ita/archiviostorico/primati.htm
Alla fine di questa ampia panoramica sulla storia politica, civile,
culturale e sociale del Mezzogiorno italiano sotto il regno della Real
Casa di Borbone delle Due Sicilie (1734-1860), può essere utile
riassumere in maniera schematica i principali “primati” che segnarono in
maniera profonda la civiltà e la società meridionale nella seconda metà
del XVIII secolo e nella prima metà del XIX.
Dal sintetico quadro, apparirà infatti evidente da un lato come
positiva e costruttiva fu l’opera dei sovrani Borbone (e in special
maniera, come abbiamo potuto ben vedere, di Carlo, Ferdinando e
Ferdinando II), e dall’altro quanto fallace e sovente menzognera sia la
“vulgata” risorgimentale sul “borbonismo” in Italia.
A completamento di tutte le voci precedenti, ci limiteremo ad
elencare, uno dopo l’altro, ogni singolo “primato”, almeno i più
significativi. Al lettore lasciamo il giudizio in merito (si veda a
riguardo: M. VOCINO, “Primati del Regno di Napoli”, Mele editore,
Napoli; AA.VV., “La storia proibita. Quando i piemontesi invasero il
Sud”, Controcorrente, Napoli; “La Civiltà del Sud”, numero unico, p. 5;
G. RESSA, “Rilettura sintetica della storia del Regno delle Due
Sicilie”, in www.duesicilie.org; N. FORTE, in
www.mds.it/neoborbonico/index.html).
INDUSTRIA:
Nell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato il
Premio per il terzo Paese al mondo come sviluppo industriale (primo in
Italia);
Primo ponte sospeso in ferro in Italia (sul Fiume Garigliano);
Prima ferrovia e prima stazione in Italia (tratto Napoli-Portici);
Prima illuminazione a gas di città;
Primo telegrafo elettrico, in funzione dal 1852;
Prima rete di fari con sistema lenticolare;
La più grande industria metalmeccanica in Italia, quella di Pietrarsa;
L’arsenale di Napoli aveva il primo bacino di carenaggio in muratura in Italia;
Prima nave a vapore del Mediterraneo (il battello “Ferdinando I”);
Prima Nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata “Ercole”), varata a Castellammare;
Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (il “Sicilia”, 26 giorni impiegati);
Prima nave ad elica (“Monarca”) in Italia varata a Castellammare;
Prima Nave da crociera in Europa (“Francesco I”);
Primo telegrafo sottomarino dell’Europa continentale;
Primo esperimento di Illuminazione Elettrica in Italia a Capodimonte;
Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Palmieri;
Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa.
ECONOMIA:
Bonifica della Terra di Lavoro;
Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%;
Minor tasso di sconto (5%);
Primi assegni bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito);
Prima Cattedra universitaria di Economia (Napoli, Antonio Genovesi, 1754);
Prima Borsa Merci e seconda Borsa Valori dell’Europa continentale;
Maggior numero di società per azioni in Italia;
Miglior finanza pubblica in Italia(*); ecco lo schema al 1860 (in milioni di lire-oro):
– Regno delle Due Sicilie: 443, 2
– Lombardia: 8,1
– Veneto: 12,7
– Ducato di Modena: 0,4
– Parma e Piacenza: 1,2
– Stato Pontificio: 90,6
– Regno di Sardegna: 27
– Granducato di Toscana: 84,2
Prima flotta mercantile in Italia (terza nel mondo);
Prima compagnia di navigazione del Mediterraneo;
Prima flotta italiana giunta in America e nel Pacifico;
Prima istituzione del sistema pensionistico in Italia (con ritenute del 2% sugli stipendi);
Minor numero di tasse fra tutti gli Stati italiani;
La più grande Industria Navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia, 2000 operai);
La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120 alla Borsa di Parigi);
Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%;
Minor tasso di sconto (5%);
Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113 solo a Napoli);
Primo Stato Italiano in Europa, per produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno);
Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta (Mostra Industriale di Parigi);
Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli (Mostra Industriale di Parigi).
GIURISPRUDENZA – ORGANIZZAZIONE MILITARE:
Promulgazione del primo Codice Marittimo italiano;
Primo codice militare;
Istituzione della motivazione delle sentenze (Gaetano Filangieri, 1774);
Istituzione dei Collegi Militari (Nunziatella);
Corpo dei Pompieri;
Prima applicazione dei principi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi.
SOCIETÀ, SCIENZA E CULTURA:
Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio presso Caserta)
Primo Cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale);
Primo Piano Regolatore in Italia, per la Città di Napoli;
Cattedra di Psichiatria;
Cattedra di Ostetricia e osservazioni chirurgiche;
Gabinetto di Fisica del Re;
Osservatorio sismologico presso il Vesuvio (primo nel mondo), con annessa stazione metereologica;
La più alta percentuale di medici per abitante in Italia;
Più basso tasso di mortalità infantile in Italia;
Prime agenzie turistiche italiane;
Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;
Officina dei Papiri di Ercolano;
Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte;
Prima cattedra di Astronomia;
Accademia di Architettura, una delle prime e più prestigiose in Europa;
Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare;
Primo istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio);
Primo Atlante Marittimo nel mondo (G. Antonio Rizzi Zannoni, “Atlante Marittimo delle Due Sicilie”);
Primo Museo Mineralogico del mondo;
Primo “Orto Botanico” in Italia a Napoli;
Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglio;
Primo tra gli Stati Italiani per numero di Orfanatrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza;
Primo istituto italiano per sordomuti;
Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo;
Prima Città d’Italia per numero di Teatri (Napoli);
Prima Città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli);
Prima Città d’Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli);
Scuola pittorica di Posillipo (da cui uscì, fra gli altri, G. Gigante);
Le celeberrime fabbriche di ceramica e porcellana, fra cui quella di Capodimonte;
Teatro S. Carlo (il primo nel mondo), ricostruito dopo l’incendio del 1816 in soli 270 giorni;
Scuola musicale napoletana (Paisiello, Cimarosa, Scarlatti);
Successo mondiale (e tutt’oggi valido) della canzone napoletana;
I grandi palazzi reali.
Questi sono solo i “primati”, non certo tutte le attività avviate nel
Regno e i progressi raggiunti in ogni campo, che abbiamo per altro già
delineato in tutte le voci precedenti basti pensare, come già visto,
alla scuola di arazzeria).
Riteniamo superfluo, per concludere, fare polemiche. Ci basta
sottolineare tre verità storiche tanto ovvie quanto inoppugnabili: alla
luce di tutto quanto descritto in questo sito,
1) si può ancora continuare a credere alla “vulgata” risorgimentale
che presenta il Regno borbonico come il più regredito e odiato d’Italia?
2) come si può spiegare il fatto che prima del 1861 non esisteva
praticamente il fenomeno dell’emigrazione, e che dopo tale data sono
emigrati quasi 20.000.000 di disperati?
3) tutto questo costituisce una spiegazione al tragico quanto eroico fenomeno della rivolta filoborbonica del 1860-1865?
Appare evidente, oggi come non mai, la necessità di ripresentare agli
italiani la loro storia secondo criteri di maggiore imparzialità. Non
per spirito di sterile polemica, ma ad onore e servizio della verità
storica. A servizio della memoria della identità culturale e civile di
tutti gli italiani.
* Cfr. F.S. NITTI, “La scienza delle finanze”, cit. in H. ACTON, “Gli
ultimi Borbone di Napoli”, (1962) Giunti, Firenze 1997, p. 2.
I tanti primati del Regno delle Due Sicilie: 52 primati del Regno delle Due Sicilie.
Fonte: “ Le Industrie del Regno di Napoli” di Gennaro De Crescenzo
http://www.vocedimegaride.it/html/primatidelregno.htm
1735 Prima Cattedra di Astronomia, in Italia, affidata a Napoli a Pietro De Martino
1754 Prima Cattedra di Economia, nel mondo, affidata a Napoli ad Antonio Genovesi
1762 Accademia di Architettura, una delle prime e più prestigiose in Europa
1763 Primo cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366
fosse”, nei pressi di Poggioreale a Napoli, su disegno di Ferdinando
Fuga)
1781 Primo Codice Marittimo, nel mondo, opera di Michele Jorio
1782 Primo intervento, in Italia, di profilassi anti-tubercolare
1783 Primo cimitero, in Europa, ad uso di tutte le classi sociali (Palermo)
1789 Prima assegnazione di “Case Popolari”, in Italia: San Leucio (presso Caserta)
1789 Prima istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)
1792 Primo Atlante Marittimo nel mondo (G Antonio Rizzi Zannoni,
“Atlante Marittimo delle Due Sicilie”) elaborato dalla prestigiosa
Scuola di Cartografia napoletana
1801 Primo Museo Mineralogico del mondo
1807 Primo Orto Botanico in Italia (a Napoli)
1812 Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo
1813 Primo Ospedale Psichiatrico italiano: il “Reale Morotrofio” di Aversa
1818 Prima nave a vapore nel Mediterraneo, la “Ferdinando I”
1819 Primo Osservatorio Astronomico, in Italia (a Capodimonte)
1832 Primo ponte sospeso, in ferro, in Europa continentale (sul Garigliano)
1833 Prima nave da crociera, in Europa: la “Francesco I”
1835 Primo istituto italiano per sordomuti
1836 Prima Compagnia di navigazione a vapore nel Mediterraneo
1839 Prima ferrovia italiana: tratto Napoli-Portici
1839 Prima illuminazione a gas di una città italiana (terza in Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade
1840 Prima fabbrica metalmeccanica d’Italia per numero di operai (1050): Pietrarsa, presso Napoli
1841 Primo Centro Sismologico, in Italia, presso il Vesuvio
1841 Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia
1843 Prima nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata “Ercole”), varata a Castellammare
1843 Primo periodico psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglia
1845 Prima locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa
1845 Primo Osservatorio Meteorologico italiano (alle falde del Vesuvio)
1852 Primo telegrafo elettrico in Italia (inaugurato il 31 luglio)
1852 Primo bacino di carenaggio in muratura in Italia (nel porto di Napoli)
1852 Primo esperimento di illuminazione elettrica in Italia (a Capodimonte)
1853 Primo viaggio di piroscafo dal Mediterraneo per l’America (il
“Sicilia” della Società Sicula Transatlantica del palermitano Salvatore
De Pace: 26 i giorni impiegati)
1853 Prima applicazione dei principi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi
1856 Primo Premio Internazionale per la produzione di pasta (Mostra Industriale di Parigi)
1856 Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli (Mostra Industriale di Parigi)
1856 Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Palmieri
1859 Primo Stato in Europa per produzione di guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno)
1860 Prima flotta mercantile e prima flotta militare d’Italia (seconda nel mondo)
1860 Prima nave ad elica (la “Monarca”), in Italia, varata a Castellammare
1860 La più grande industria navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia, 2000 operai)
1860 Primo tra gli Stati italiani per numero di Orfanotrofi, Ospizi,
Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza e Formazione
1860 La più bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia
1860 La più alta percentuale di medici per abitanti in Italia
1860 Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli)
1860 Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli)
1860 Primo “Piano Regolatore”, in Italia, per la città di Napoli
1860 Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113, in Napoli)
1860 Prima città d’Italia per numero di pubblicazioni di giornali e riviste (Napoli)
1860 La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120% alla Borsa di Parigi)
1860 Il minore carico tributario erariale in Europa
1860 Maggior quantità di Lire-oro conservata nei Banchi Nazionali
(dei 668 milioni di Lire-oro, patrimonio di tutti gli Stati italiani
messi insieme, 443 milioni erano del regno delle Due Sicilie)
“Le Industrie del Regno di Napoli”.
di Gennaro De Crescenzo
Grimaldi & C. Editori, Napoli 2002
http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=58&Itemid=60
Il Regno di Napoli prima dell’unità d’Italia aveva delle fabbriche?
Perchè oggi non guidiamo automobili costruite a Pietrarsa? Perchè non
usiamo saponi Bevilacqua oppure orologi Marantonio? Perchè non
indossiamo maglioni Sava? Quali erano i prodotti più in uso nell’Italia
meridionale poco più di un secolo fa? Quali erano i produttori più
famosi, e perchè sono scomparsi?
Queste sono alcune delle domande cui tenta di rispondere Gennaro De
Crescenzo nel volume “Le Industrie del Regno di Napoli”. Si tratta di
interrogativi davvero stimolanti per le ricerche condotte dall’autore,
che non si è proposto di risolvere una questione così complessa come
quella dell’industrializzazione meridionale preunitaria, ma solo di
recare un contributo utile all’approfondimento di un tema ancora molto
attuale.
De Crescenzo, infatti, ricostruisce parzialmente, nelle pagine del
suo libro, la storia delle industrie della parte continentale del Regno
delle Due Sicilie (i “Reali Domini al di qua del Faro”), in attesa di
nuove ricerche relative alla Sicilia (“Reali Domini al di là del Faro”).
Il periodo verso il quale concentra la sua attenzione è quello
successivo alla rivoluzione industriale, che dall’Inghilterra introdusse
la forma-fabbrica a noi più nota e cambiò per sempre il rapporto tra
lavoro e vita in senso generale. Proprio negli anni che precedettero
l’unificazione italiana la società meridionale, insieme con il resto
della penisola, fu messa per la prima volta di fronte al problema
dell’industrializzazione e della progressiva affermazione di nuove
potenze industriali nelle zone più settentrionali dell’Europa.
Le scelte fatte dalla dinastia borbonica intorno alla metà
dell’Ottocento, con le tracce delle industrie che in quell’epoca
nacquero o si consolidarono, costituiscono una base necessaria per
ulteriori ricerche ed eventuali confronti sui problemi ancora irrisolti
del Mezzogiorno d’Italia.
Dalla consultazione di dati e documenti archivistici e dalla lettura
di testi specialistici e settoriali dell’epoca, De Crescenzo trae fuori
un quadro sintetico complessivo del tessuto produttivo meridionale della
prima metà dell’Ottocento, dalla pasta alla ceramica e alla carta,
dalle sete ai fucili, dalle lavatrici ai profumi. L’indagine dello
scrittore napoletano permette anche di ritrovare e analizzare spunti
interessanti di vita quotidiana, riferimenti a temi di grande attualità
come la continuità tra passato e presente di alcune produzioni
tradizionali, la modernità di scelte rispettose delle vocazioni del
territorio o l’interesse architettonico-archeologico-industriale di
strutture e siti superstiti.
Il libro si chiude con un elenco di cinquanta primati del Regno di
Napoli, dal 1735 al 1860, inseriti da De Crescenzo nel suo volume non
senza una punta di sorniona polemica contro i sopracciò della
storiografia e della cultura ufficiale, i quali sono soliti irridere
quanti ricordano loro le glorie passate di un Mezzogiorno attivo e
orgoglioso della propria forza, tanto diverso da quello attuale,
improduttivo e depresso, che quegli stessi intellettuali hanno
alacremente contribuito a forgiare.
La Casa di Borbone, ovvero tre Regni e un Ducato.
tratto da: in realcasadiborbone.it
http://www.realcasadiborbone.it/ita/archiviostorico/cs_02.htm
Una nobilissima antica gloriosa famiglia
La tradizione vuole che il ramo principale della Casa Borbone risalga
all’VIII secolo dopo Cristo: il fondatore, Childeprando, era un
fratello di Carlo Martello, e quindi prozio di Carlo Magno.
In ogni caso, la certezza della documentazione storica la ritroviamo
già nel IX secolo: i signori di Bourbon, vassalli del conte di Bourges,
erano proprietari del medesimo castello (oggi Bourbon-l’Archambault) e
un documento del tempo parla di un certo Aimar, fondatore, tra il 916 e
il 922, del monastero di Souvigny, presso Moulins, definito “miles
clarissimus”, mentre un altro del 936 parla di suo fratello Guido, conte
di Borbone. Un altro documento del 953 parla di Aimone I, figlio di
Aimar, e lo descrive come un uomo già abbastanza potente per ritenersi
non più soggetto ai conti di Bourges e signore del feudo di Bourbon.
A lui successero Archembaud I (980?-1031?), Archembaud II
(1034?-1078?), che si intitolò principe e conte di Borbone, Archembaud
III (1078-1105), al quale sarebbe dovuto succedere il figlio Archembaud
IV ma il titolo gli venne usurpato dallo zio Aimone II (1105-1116), cui
seguì il figlio di questi Archembaud V (1116-1171), che riuscì a
stringere legami di sangue con i capetingi: infatti sposò Agnese
contessa di Savoia e sorella di Alice, moglie del Re di Francia Luigi
VI.
Prese parte alle crociate e vi si distinse, ma perdette in giovane
età l’unico figlio, il quale lasciava alla figlia Matilde (1171-1215) –
la cui madre era Alice di Borgogna – titoli e possessi.
Dopo un primo infelice matrimonio, Matilde sposa un valoroso generale
del Re Filippo Augusto, Guy de Dampierre, tanto valoroso che il loro
figlio, Archembaud VI, detto Il Grande (1215-1243), col quale inizia la
famiglia dei Borboni-Dampierre, si ritrovò molto ingranditi i suoi
domini territoriali. Con il figlio Archembaud VII si ripropose il
problema della successione: morì infatti crociato a Cipro, e lasciò due
femmine, tutt’e due spose dei figli del Duca di Borgogna. Ereditò i
titoli paterni prima Matilde II (1249-1262), poi la sorella Agnese
(1262-1288). E qui avviene il grande evento, destinato a cambiare il
destino della famiglia Borbone. La figlia di Agnese, Beatrice
(1277-1310) va in sposa a Roberto di Clermont, sesto figlio di S. Luigi
IX, Re di Francia.
Inizia in tal maniera il ramo principesco dei Borbone, ormai
imparentati col ramo principale dei capetingi, Re di Francia. E
pertanto, discendenti diretti di S. Luigi IX e di Carlo Magno (da cui
ereditarono il simbolo del giglio di Francia). Gli storici discutono
ancora oggi se quell’Eude, zio di Ugo Capeto, fondatore della dinastia
regale di Francia, fosse o meno un discendente di Carlo Magno. Per
quanto molto fa pensare positivamente in tal senso, qualora anche si
volesse propendere per la tesi negativa, è noto che la madre di S. Luigi
IX, Bianca di Castiglia, discendeva per linea certa da Carlo Magno.
Pertanto, è altrettanto certo – al di là di Eude e Ugo Capeto e al di là
della incerta tradizione di Childeprando fratello di Carlo Martello –
che il figlio di Beatrice e Roberto, Luigi I, nipote di S. Luigi, e con
lui tutti i suoi discendenti, ebbero nelle vene il sangue del fondatore
del Sacro Romano Impero, incarnazione storica dell’idea stessa della
regalità terrena del mondo cristiano.
La linea ducale.
Il figlio di Roberto e Agnese, Luigi I (1310-1341) ebbe il titolo di
Duca dal Re Carlo IV di Valois (si era intanto estinta la linea diretta
dei capetingi). Ma non fu tale linea quella che ebbe il miglior destino.
Occorre lasciarla e seguire invece quella del terzogenito di Luigi,
Giacomo I (1342-1361), eroe di guerra con il figlio primogenito
(morirono entrambi in battaglia), che ottenne i titoli di conestabile di
Francia e conte di La Marche (e altri feudi).
Gli fu erede il figlio Giovanni (1361-1393), anch’egli valoroso uomo
d’armi, che sposò l’ereditiera della contea di Vendôme, che assegnò al
secondo figlio Luigi (1393-1446), iniziatore della linea dei
Borbone-Vendôme. Ricordiamo: Giovanni (1446-1478), il figlio Francesco
(1478-1495), il figlio Carlo (1495-1537), che nel 1515 ottenne dal Re
Francesco I il titolo di Duca trasmissibile agli eredi, il figlio
Antonio (1537-1562), erede del Ducato e, per il matrimonio con Giovanna
d’Albret, Re di Navarra.
Un antico e glorioso Regno.
tratto da: realcasadiborbone.it
Gli Altavilla e la costituzione del “Reame”
È il “Reame” per eccellenza. Il suo territorio si è delineato fin dai
primissimi anni della sua costituzione sotto Ruggero II d’Altavilla,
rimanendo immutato nel corso dei secoli, fino alla caduta nel 1861: a
nord, il confine seguiva una linea che partiva da Civitella del Tronto
sotto Ascoli ed arrivava a Gaeta passando per Leonessa, L’Aquila, sopra
Pontecorvo e quindi giù fino al Mar Tirreno; a sud, il confine era il
mare stesso, compresa la Sicilia. Dopo la caduta dell’Impero Romano, i
territori del futuro Regno furono in parte sotto il dominio bizantino
(Bassa Puglia, Calabria, Sicilia e Ducato di Napoli), in parte sotto il
dominio longobardo (il Ducato di Benevento); nel IX secolo la Sicilia
cadde in mano musulmana. Nei secoli successivi, specie nell’XI, la
situazione geopolitica del Meridione precipitò in una tristissima
frammentazione di piccoli potentati locali, mentre gli antichi domini
bizantini e longobardi andavano via via sempre più perdendo il controllo
della situazione. Si arrivò progressivamente in una sorta di “guerra di
tutti contro tutti”, aggravata dalle continue incursioni saracene. In
tale stato naturalmente il Meridione si impoverì e indebolì; chi ne
seppe approfittare furono i normanni, guidati dalla audace famiglia
degli Altavilla (Hauteville).
Già intorno all’anno Mille erano giunti i primi avventurieri
normanni, che si ponevano al servizio dei vari signori in guerra col
signore rivale; in questa politica mercenaria brillarono gli Altavilla,
che seppero presto creare una loro contea a Melfi nel 1043; da questo
momento la loro espansione politico-militare fu costante (specie con
Roberto il Guiscardo, che conquistò la Puglia e la Calabria), finché,
intromessisi anche nelle guerre per la Lotta delle Investiture, seppero
spregiudicatamente farsi riconoscere dai Pontefici come signori
infeudati delle terre meridionali della Chiesa (nel 1091 cacciarono
anche i musulmani dalla Sicilia). Infine, nel 1130, Ruggero II
d’Altavilla (1101-1154) poté farsi proclamare, sebbene come suo
vassallo, da Papa Anacleto II Re di Sicilia, Puglia e Calabria, poi con
dominio anche su Capua, Benevento e Napoli. Era la nascita formale del
Regno di Napoli, allora chiamato “Regno di Sicilia”.
A Ruggero II successero: Guglielmo I il Malo (1154-1166), Guglielmo
II il Buono (1166-1189), Tancredi (1189-1194), Gugliemo III (1194).
Il “Reame”.
La dinastia normanna venne meno con Costanza d’Altavilla, moglie
dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Enrico VI di Hohenstaufen (il
figlio di Federico I Barbarossa) e madre di Federico II di Svevia, il
quale ereditò appunto, alla morte del padre nel 1197, oltre l’Impero, il
Reame (era nato a Jesi e cresciuto a Palermo). Dopo la morte di
Federico II nel 1250, luogotenente del Regno divenne il suo figlio
naturale Manfredi come reggente al posto del fratellastro Corrado IV, il
quale morì prematuramente nel 1254; Manfredi allora mantenne la
reggenza a nome del figlio di questi Corradino di Svevia, ma poi nel
1258 ruppe con il nipote e si proclamò Re di Sicilia, riprendendo la
politica antiecclesiastica del padre. Urbano VI prima e poi Clemente IV
favorirono allora la discesa in Italia di Carlo d’Angiò (d’Anjou),
fratello del Re di Francia Luigi IX (il Santo), il quale affrontò e
uccise il ghibellino Manfredi a Benevento nel 1266. Senonché
sopraggiunse allora Corradino, che vantava i diritti dinastici sul
Regno; Carlo lo affrontò a Tagliacozzo nel 1268 sconfiggendolo; dapprima
lo fece arrestare, ma poi lo fece decapitare a Piazza del Mercato a
Napoli. In tal modo, Carlo poté tranquillamente assumere il titolo di
Carlo I d’Angiò Re di Sicilia, dando inizio al dominio angioino – e
quindi capetingio – sul Reame. A causa delle conseguenze della Guerra
dei Vespri, perse la Sicilia nel 1282 a favore di Pietro III d’Aragona
(che aveva sposato Costanza, figlia di Manfredi), che divenne Re di
Sicilia (1282-1285). Il Reame è ora diviso in Regno di Napoli, agli
angioini, e Regno di Sicilia, agli aragonesi.
Il Regno di Napoli sotto gli Angiò e gli Aragona.
Gli Angioni tennero la parte continentale fino al 1442, anno in cui
Alfonso d’Aragona vinse definitivamente la guerra con gli angioni
(scoppiata a causa del fatto che Giovanna II d’Angiò aveva dapprima
nominato suo erede Alfonso e dopo aveva ritrattato nominando un suo
lontano parente francese, Luigi d’Angiò) e conquistò in trionfo Napoli,
unificando di nuovo il Reame. Dopo Carlo I, regnarono su Napoli: suo
figlio Carlo II (1285-1309), Roberto il Saggio (1309-1343), Giovanna I
(1343-1381), Carlo III di Durazzo (1381-1386), Ladislao di Durazzo
(1386-1414), Giovanna II di Durazzo (1414-1435), Luigi III (1435-1438),
Renato (1438-1442).
Nel 1443 il Regno di Napoli venne conquistato, come detto, da Alfonso
V d’Aragona (1443-1458), cui successe suo figlio Ferdinando I
(1458-1494), il famoso Ferrante, che rimase solo Re di Napoli (e mai
anche di Sicilia). Gli successe Alfonso II (1494-1495), momentaneamente
spodestato da Carlo VIII di Francia; ma il Regno tornò subito agli
Aragona con Ferdinando II (1495-96) e con Federico (1496-1501), finché,
nel 1504, Ferdinando il Cattolico (Re d’Aragona, di Sicilia e di Spagna –
per il suo matrimonio con Isabella di Castiglia), riunì il Regno di
Napoli a quello di Spagna e Sicilia. Da questo momento, quindi, il Regno
di Napoli (come quello di Sicilia) è a tutti gli effetti parte
integrante del Regno di Spagna, e sarà governato per circa due secoli da
un Viceré.
Il Regno di Sicilia sotto gli Aragona.
In Sicilia, successero a Pietro III (I come Re di Sicilia): Giacomo
II (1285-1296), Federico II (1296-1336), Pietro II (1336-1342), Luigi
(1342-1355), Federico III (1355-1377), Martino I (1377-1409), Martino II
(1409). Nel 1412 il Regno di Sicilia venne unito al Regno d’Aragona: ne
furono Sovrani: Ferdinando I (1412-1416), Alfonso il Magnanimo
(1416-1458), Giovanni (1458-1479), Ferdinando il Cattolico (1479-1516).
Con Ferdinando il Cattolico, marito di Isabella di Castiglia e fondatore
con lei del Regno di Spagna, la Sicilia divenne parte unica con il
Regno di Napoli del Regno di Spagna.
Il Vicereame.
Dal 1504 al 1713 il Regno di Napoli è di fatto unificato con il Regno
di Spagna. Come è noto, alla morte di Ferdinando il Cattolico divenne
Re di Spagna Carlo I d’Asburgo. Carlo (1500-1558) era figlio di Filippo
il Bello d’Asburgo, a sua volta figlio dell’Imperatore del Sacro Romano
Impero Massimiliano, e di Giovanna la Pazza, figlia di Ferdinando il
Cattolico e Isabella di Castiglia. Egli si trovò pertanto ad ereditare
nel 1516 il Regno di Spagna con tutti i suoi domini (fra cui i Regni di
Napoli e Sicilia), e nel 1519 divenne anche Imperatore del Sacro Romano
Impero col titolo di Carlo V, divenendo di fatto uno dei più importanti
sovrani che la storia abbia conosciuto, anche perché i suoi immensi
territori furono accresciuti alla conquista delle colonie americane.
Abdicò nel 1556, lasciando al fratello Ferdinando il Sacro Romano Impero
con il titolo imperiale, al figlio Filippo II il Regno di Spagna e
tutti i domini ad esso connessi, compresi i Regni di Napoli e Sicilia.
Carlo fu quindi a tutti gli effetti anche Re di Napoli e Sicilia. Gli
successe come Re di Spagna suo figlio Filippo II (1556-1598); furono
poi Re di Spagna (e quindi di Napoli e Sicilia, che, ricordiamo, erano
direttamente governate da Vicerè di nomina regia): Filippo III
(1598-1621), Filippo IV (1621-1665), Carlo II (1665-1700). Carlo II di
Asburgo-Spagna morì senza eredi, e nominò suo successore Filippo
d’Angiò, nipote di Luigi XIV, preferito a Carlo d’Asburgo-Austria; egli
prese il titolo di Filippo V di Borbone, Re di Spagna; ciò provocò la
Guerra di Successione Spagnola (1700-1713), che vide vincitore Filippo
V, il quale, in cambio del riconoscimento internazionale del suo diritto
sul Trono di Madrid, dovette cedere i Regni di Napoli e Sicilia agli
Asburgo. Così, dal 1713 il “Vicereame” è di nuovo sotto il dominio
asburgico, anche se questa volta si tratta degli Asburgo d’Austria: esso
divenne quindi parte integrante del Sacro Romano Impero, ed ebbe come
sovrano l’Imperatore Carlo VI. Peraltro, dal 1714 al 1720 la Sicilia fu
data al Re Vittorio Amedeo di Savoia, ma poi tornò agli Asburgo.
I Borbone delle Due Sicilie, restauratori del Regno.
Nel 1734, per vicende storiche che descriviamo meglio alla voce
dedicata a Carlo di Borbone (Re di Napoli e Sicilia dal 1734 al 1759),
questi, figlio di Filippo V di Spagna ed Elisabetta Farnese, conquistò
le Corone di Napoli e Sicilia, restaurando a tutti gli effetti un regno
unito e sovrano. Dopo due secoli di dipendenza politica, il “Reame”
divenne di nuovo una nazione libera sotto la dinastia dei Borbone di
Napoli e Sicilia.
Le voci della sezione storica di questo sito, che seguono la
presente, descrivono brevemente ma in maniera puntuale come Carlo e i
suoi discendenti seppero governare, riformare ed ammodernare il loro
regno, conquistando quell’amore dei sudditi che nessun’altra dinastia
ebbe nel corso dei secoli (se non in maniera minore), e che si manifestò
apertamente durante gli anni dell’invasione napoleonica e durante
quelli seguenti alla caduta del Regno in mano ai Savoia.
Successori di Carlo di Borbone furono: Ferdinando IV (1759-1825), dal
1814 Ferdinando I delle Due Sicilie; Francesco I (1825-1830),
Ferdinando II (1830-1859), Francesco II, che nel 1860 perse il Regno,
conquistato dal Vittorio Emanuele II di Savoia. Con tale conquista, il
Regno delle Due Sicilie smette di esistere in quanto regno sovrano e
indipendente.
Preso da: http://www.cogitoergo.it/la-verita-sul-regno-delle-due-sicilie/
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