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sabato 4 agosto 2018

Francesca Totolo: “Ecco perché Ong e media mainstream ce l’hanno con me”




Sei stata accusata di diffondere fake news. Che rispondi ai tuoi critici?
Quando un giorno i media mainstream riusciranno a dimostrare che le mie sono fake news, ne prenderò atto. Finora non ci sono riusciti, e un motivo ci sarà. Loro hanno bisogno di carnefici, come Putin, Orban, Salvini, CasaPound, adesso Francesca Totolo. Loro non si documentano, fanno affermazioni ridicole, come i russi che manipolano le elezioni negli Usa. E hanno tutti i mezzi per contrastare chi, come me, vuole far conoscere la verità.

Non sarà che la tua ricerca approfondita e il tuo continuo e dettagliato fact-checking sulle attività delle Ong nel Mediterraneo sia una voce scomoda, controcorrente rispetto alla vulgata sull’eroismo umanitario di questi signori?
Io è un anno e mezzo che mi occupo di Ong, documentando tutto con le rotte riportate da MarineTraffic, e con fonti verificate e neutre, con informazioni prese anche dagli stessi siti delle Ong. Non ho mai scritto o pubblicato qualcosa di non verificato, ho soltanto messo in ordine i pezzi. Mostrando l’incoerenza dei salvataggi, che avvengono praticamente sulle spiagge libiche.
I media mainstream cercano di screditare tutto il tuo lavoro di ricerca focalizzando l’attenzione sullo smalto di Josefa. Come a dire che le tue competenze servono soltanto ad attaccare le Ong.
Io mi sono semplicemente posta la questione di come mai questa naufraga avesse le unghie smaltate di rosso quando è sbarcata a Palma di Maiorca. Fatto che coincide con la narrazione delle Ong – che sostengono che le migranti scappano dalla fame, dalla miseria e della guerra – secondo cui Josefa dopo 48 ore in mare (fatto impossibile, come documentato anche dal Sole 24 Ore: al massimo si sopravvive 24 ore, con una tempra eccezionale e condizioni meteo favorevoli) senza né acqua né cibo, su un relitto di un gommone – quindi immersa quasi completamente in acqua e senza alcuna ustione dovuta al sole di luglio, esposta anche al riverbero dell’acqua – una volta salvata e portata a bordo della nave della Open Arms, con tanto di foto scattata dall’Ong, mostra delle mani perfette, senza alcun segno della permanenza in acqua, e con tanto di smalto rosso, palliativo psicologico – sempre a detta delle Ong – per lenire le sofferenze.
Questi dubbi li hai sottoposti alla Open Arms?
Ho cercato di contattarli in ogni modo, anche sui social, dove la loro attività è febbrile, ma niente: non ho avuto alcuna risposta.
Hai mai provato a salire a bordo di una nave di una Ong?
Ho chiesto a tutte le otto Ong che operano nel Mediterraneo di salire a bordo, di accreditarmi per documentare le loro attività. Per verificare di persona. Ma non ci sono mai riuscita.
Secondo te, perché le Ong per prime non documentano tutto in tempo reale, per dimostrare che stanno operando nella legalità, con tanto di mappatura delle rotte e coordinate dei salvataggi? Forse hanno qualcosa da nascondere?
Direi che è presumibile che sia così. Anche perché ci sono Ong che sono sempre visibili, perché hanno il transponder acceso e sono quindi tracciabili su MarineTraffic. Come nel caso di Sea-Watch, che si posiziona davanti alle coste libiche. Questo invece non succede mai con Open Arms. Infatti, con l’ultimo salvataggio, quello del 17 luglio, sono “scomparsi” per poi riapparire sul luogo dove avrebbero rinvenuto il relitto del gommone di Josefa. Da cui tutta la campagna diffamatoria contro Italia e Libia.
Sono accuse pesanti: hanno detto al nostro governo e a quello libico di aver lasciato morire due donne e un bambino.
Hanno detto così, ma è impossibile che la Guardia costiera libica abbia lasciato morire qualcuno.
Perché?
La Guardia costiera libica – che, ricordo, è addestrata dalla nostra Guardia costiera e dalla flotta nella missione Sophia – è costantemente monitorata dalle navi dell’operazione Sophia, ha l’obbligo di registrare in audio e video tutti i salvataggi che effettua nella zona Sar [ricerca e soccordo, ndr] di competenza. Infatti, nella vicenda di Josefa, è impossibile che i libici abbiano lasciato in mare lei e i cadaveri dell’altra donna e del bambino. I salvataggi sono avvenuti il 16 pomeriggio, a 16 miglia nautiche dalle coste di Homs, e un altro nella notte tra il 16 e il 17 a 76 miglia da Tripoli. In questo caso era a bordo la giornalista della rete tv tedesca Ntv, che ha documentato lo svolgimento delle operazioni di soccorso. Ebbene, i libici non hanno lasciato nessuno in mare. Anche perché fanno salire a bordo uomini da 100 chili, ti pare che non riescono a trasportare una donna che si rifiuta di essere salvata perché non vuole tornare in Libia? Sul relitto in ogni caso non c’è alcun cadavere. Ma sono tante le incongruenze nella versione di Open Arms.
Che cosa non torna, secondo te?
Il relitto di un gommone con a bordo il cadavere di una donna, quello di un bambino e Josefa è impossibile che dal salvataggio del 16 pomeriggio abbia potuto percorrere cento miglia nautiche di scarroccio [spostamento trasversale per azione del vento, ndr], fino al punto dove il 17 mattina sarebbe stato individuato da Open Arms. In sette ore e con correnti contrarie, poi. Impossibile. In ogni caso è impossibile che la Guardia costiera libica abbia abbandonato una donna in mare o i corpi della donna e del bambino. C’è un rispetto per le salme, molto sentito per chi è di fede musulmana. Non hanno mai lasciato nessun corpo in mare. Poi c’è un’altra questione che va chiarita.
Quale?
Le Ong sostengono che la Guardia costiera libica affonderebbe le navi dei trafficanti con i migranti a bordo. Non è affatto vero: ha sì l’obbligo di affondare barconi e gommoni, ma soltanto una volta effettuato il trasbordo di migranti e scafisti. E’ una direttiva di Frontex. Altra inesattezza – chiamiamola così – è quella riportata dalla Stampa: una giornalista sostiene di aver intervistato un sedicente colonnello della Guardia costiera libica, che avrebbe confermato che i suoi avrebbero lasciato dei corpi in mare. Peccato che questo colonnello non esista. E che l’unico che può parlare, il portavoce ufficiale della Guardia costiera libica, abbia smentito l’esistenza del colonnello e soprattutto che loro abbandonino i corpi in mare. Anche perché monitorati da operazione Sophia. Si vede fin troppo spesso il dramma dei corpi recuperati e sbarcati dalle motovedette libiche.
Certa stampa tradizionale, chiamiamola così, quindi prende per oro colato le dichiarazioni delle Ong, non verifica nulla e riporta la loro versione dei fatti senza fare i dovuti controlli di fonti e circostanze – come stanno facendo con te in questi giorni – perché il messaggio che deve passare è che le Ong hanno ragione e chi invece cerca di fare luce sulla verità ha torto?
Spesso gli articoli pubblicati sono vere e proprie trascrizioni dei comunicati delle Ong. Perché le Ong salvano vite. Invece è proprio il contrario.
In che senso?
Con le operazioni delle Ong il numero delle morti in mare è aumentato. Sia in valori assoluti che rispetto alle partenze. Questo significa che il pull factor delle Ong sui migranti, che li ha spinti ancora di più a partire, ha fatto impennare i naufragi e quindi le morti in mare. Anche perché già nei Paesi d’origine sono attirati dalla propaganda secondo cui in Europa si vive bene e tutti hanno macchina, casa e vestiti firmati. Non a caso, in Italia non sbarcano quasi mai migranti denutriti, in condizione di vera miseria. Oltre a essere per oltre l’80 per cento maschi, che lasciano a casa mogli, madri, figlie e sorelle, anziani e bambini scappando dalla guerra, dicono. Prima delle elezioni politiche in Italia del 4 marzo, nonostante condizioni meteo favorevoli, tutte le navi delle Ong erano nei porti di supporto. E che cosa è successo? Si sono azzerate le partenze dalla Libia. E non è morto nessuno. Questo significa che se non ci sono le Ong davanti alle coste libiche, i trafficanti non partono. Perché gli scafisti sanno benissimo quando arrivano le navi delle Ong, visto che queste stesse pubblicizzano con proclami sui social network quando partono e dove sono dirette. Il business dei trafficanti è la causa delle tragedie, come nel caso della strage di migranti a Lampedusa, che giustificò la missione Mare Nostrum. Missione poi ritirata dal direttore di Frontex, perché stava facendo pull factor.
Tu adesso, come ricercatrice indipendente, sei tra i massimi esperti di traffico di esseri umani e attività delle Ong, eppure cercano di dipingerti come una fantomatica esponente di una rete internazionale di contatti anonimi e fonti segrete che lavora a screditare le attività umanitarie di chi salva vite umane…
Io ho cominciato con Luca Donadel, con il suo portale d’inchiesta sulle attività delle Ong, sulle attività finanziate da George Soros finalizzate a favorire l’immigrazione in Italia, documentando il tutto. Così ho verificato che quelli delle Ong non sono salvataggi, sono traghettamenti. Il salvataggio avviene quando qualcuno su una imbarcazione è in pericolo di vita, non quando è appena partito da una spiaggia. Da questo dato di fatto è partito tutto il mio lavoro, puntando sui social per avere quella visibilità che le testate tradizionali non mi hanno mai dato. Nessun giornale mainstream ha pubblicato le mie inchieste. Sono partita con Twitter e poi con Facebook. Così molti che si occupavano di rotte e di Ong mi hanno contattato. E’ nata una rete condivisa di supporto per un’informazione trasparente. Non c’è nessun finanziatore occulto. Sono soltanto io, che ci metto la faccia e firmo tutto quello che scrivo. La mia inchiesta su Soros è stata tradotta in sette lingue. Questo spiega perché sono stata intervistata o contattata più volte da testate internazionali, compresa Sputnik News. Vengo contattata non per commentare i Mondiali di calcio o per cosa succede in America latina, ma per commentare fatti che riguardano le attività di Soros, l’immigrazione e le Ong.
Ora però ti definiscono una influencer, come se facessi pubblicità a qualche marca di vestiti… invece semmai pubblicizzi ben altro, verità scomode. Perché, scusa, non sei una giornalista?
Sono talmente influencer che Facebook mi ha bannato per un post su Josefa. La motivazione: bullismo e intimidazione. Come ormai tutti sanno, scrivo per il Primato Nazionale, il primo giornale che mi ha dato la possibilità di scrivere tutto quello che scopro e che voglio che si sappia, senza toccare una virgola. Il primo giornale che ha voluto pubblicare le mie inchieste, anche coraggiosamente, perché lo capisco bene di essere scomoda. Motivo per cui la nostra collaborazione andrà avanti per sempre. Non sono una giornalista iscritta all’Albo perché per farlo dovrei sottoscrivere la Carta di Roma, il codice deontologico sull’informazione circa l’immigrazione, voluta da Soros. Sarebbe assolutamente incoerente.
Adolfo Spezzaferro

Preso da: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/francesca-totolo-ecco-perche-ong-e-media-mainstream-ce-l-hanno-con-me-90142/


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