“Ci vogliono le condizioni per lo schieramento di una forza multinazionale sul territorio nazionale. In Libia può essere fatta solo su richiesta del governo locale” ha detto il generale Claudio Graziano, capo di Stato Maggiore della Difesa italiano, in un’intervista a La Stampa.
Le forze armate italiane sono in grado di fare di più, noi siamo pronti ma la precondizione è la richiesta libica. La Libia è una priorità dell’Italia, come lo sono i Balcani, e il Medio Oriente. Dalla stabilità in queste aree deriva la nostra sicurezza” afferma Graziano ricordando che “a Misurata abbiamo aperto un ospedale militare (nella foto sotto – ndr) che serve a portare aiuto anche ai civili, a curare bambini, non solo i combattenti feriti nella lotta all’Isis. A terra – prosegue il generale – siamo impegnati con circa 300 uomini, è un messaggio di sostegno alla Libia, e quindi contribuisce alla stabilità del Paese e, indirettamente, aiuta anche nella lotta contro il terrorismo”.
L’ipotesi di un intervento militare internazionale in Libia resta però remota: nessuna fazione libica l’ha chiesta e neppure gli Stati confinanti la vogliono come hanno ufficialmente dichiarato nei giorni scorsi Tunisia, Egitto e Algeria al termine di un summit dei ministri degli Esteri.
La “dichiarazione di Tunisi” si articola attorno ad alcuni punti fondamentali che il ministro tunisino Jhinaoui in conferenza stampa ha sintetizzato in un’azione in grado di “garantire la sovranità della Libia” rifiutando “qualsiasi intervento militare o straniero e sostenendo il dialogo e l’unità delle istituzioni civili libiche, compresa la salvaguardia dell’unità dell’esercito libico, secondo gli accordi politici, unico incaricato per la sicurezza dello Stato e la lotta al terrorismo e immigrazione”.
Nessuno sbarco di truppe straniere quindi anche perché nessuno ha idee chiare circa quello che dovrebbero fare, ma senza un intervento almeno sull’area marittima costiera i flussi di immigrati clandestini diretti in Italia non potranno essere fermati.
Le flotte dell’Operazione Sophia (Ue) e Mare Sicuro (Italiana) non hanno per ora ordini per i respingimenti degli immigrati illegali raccolti in mare i cui flussi sono in rapido aumento rispetto alle prime settimane del 2016, che si è rivelato un anno record per gli sbarchi con ben 181.500 arrivi, tutti africani tranne meno di mille siriani.
Neppure la notizia del completato addestramento dei primi 89 membri della Guardia Costiera libica sembra offrire garanzie serie circa le capacità e la volontà del traballante governo di Fayez al-Sarraj di controllare i traffici e combattere i trafficanti.
Arriva Rosneft
Grazie anche all’inconsistenza di Italia ed Europa e all’apparente disinteresse dell’Amministrazione Trump per la Libia, la Russia sta invece assumendo un ruolo sempre più da protagonista nelle vicende libiche promuovendo i negoziati tra al-Sarraj e il Maresciallo Haftar (col quale Mosca ha stipulato un accordo di cooperazione militare) e ora anche con importanti iniziative nel settore petrolifero.
La Russia, attraverso Rosneft, espande infatti la sua sfera d’influenza nell’Africa del Nord con un accordo di cooperazione con la National Oil Corporation (Noc) libica che “getta le basi per gli investimenti nel settore petrolifero libico”.
L’intesa, fa sapere la Tass, è stata firmata (foto a lato) dal presidente della Noc Mustafa Sanalla e da Igor Sechin – amministratore delegato di Rosneft – a margine della IP Conference a Londra. “L’accordo prevede la creazione di un comitato congiunto di lavoro tra i due partner per valutare le opportunità in una serie di settori, inclusi quelli dell’esplorazione e della produzione”, si legge nel comunicato citato dall’agenzia di Stato russa.
“L’intesa con la più’ grande società’ petrolifera della Russia – ha detto Sanalla – getta le basi per identificare insieme le aree di collaborazione. Lavorando con Noc, Rosneft e Mosca possono svolgere in Libia un ruolo importante e costruttivo. Noi – ha aggiunto il presidente dell’ente petrolifero libico – abbiamo bisogno dell’assistenza e degli investimenti delle maggiori società petrolifere internazionali per raggiungere i nostri obiettivi di produzione e stabilizzare la nostra economia”. Rosneft, benchè società quotata in borsa, il cui 19,75% è posseduto dalla britannica BP, fa capo per il 50% al governo russo e Sechin è noto per essere un alleato di ferro del presidente Vladimir Putin.
Mosca negli ultimi mesi ha rinnovato gli sforzi diplomatici per risolvere la crisi libica attraverso il dialogo delle fazioni in lotta, stabilendo contatti sia con il primo ministro Fayez al-Sarraj, capo del governo riconosciuto dall’Onu, sia con Khalifa Haftar, signore della Libia orientale. La Russia, che prima della caduta di Gheddafi aveva ampi interessi nel Paese, sta cercando – a detta di diversi analisti – di recuperare terreno. La Libia, tra l’altro, è uno dei tre paesi membri dell’Opec esclusi dal tetto alla produzione del greggio deciso dal cartello per sostenere la domanda. Le autorità libiche hanno dunque dichiarato che il piano per il 2017 è quello di aumentare la produzione di 1,7 volte fino ai 1,75 milioni di barili al giorno superando la produzione dell’epoca di Gheddafi pari a 1,6 milioni di barili giornalieri.
Il Califfato nel deserto
Quanto alle milizie dello Stato Islamico, dopo la sconfitta a Sirte sembrano essersi disperse nelle aree desertiche a sud della città dove sono state colpire almeno in un’occasione dai raid aerei statunitensi, l’ultimo dei quali è stato ordinato da Barack Obama poche ore prima di lasciare la Casa Banca, il 19 gennaio scorso, provocando almeno 80 morti tra i miliziani.
Secondo un recente report dell’agenzia Reuters che cita anonime fonti della sicurezza diverse centinaia di miliziani dell’Isis stanno cercando di fomentare il caos tagliando i rifornimenti idrici ed elettrici nelle comunità a sud di Site cercando di reclutare nuovi adepti.
Secondo Ismail Shukri, capo dell’intelligence di Misurata, la minaccia è consistente nelle aree a sud di Sirte, tra Misurata e Tripoli, intorno a Bani Walid,
Un gruppo di 60/80 miliziani operano intorno a Girza, 170 chilometri a sud di Sirte, un altro gruppo di un centinaio di combattenti è accampato nei pressi dei campi petroliferi di Zalla e Mabrouk 300 chilometri a sud di, mente altri 300 sarebbero basati tra il confine algerino a al-Uwaynat.
“Si muovono in piccoli gruppi, con due o tre veicoli, per lo più di notte, per evitare di essere notati“ sostiene Mohamed Gnaidy, ufficiale dell’intelligence delle milizie di Misurata) con un chiaro riferimento alla ricognizione aerea statunitense effettuata con droni e velivoli basati a Sigonella, Pantelleria e Tunisia.
Le difficoltà a impiegare ampi contingenti in queste aree desertiche per dare la caccia ai jihadisti confermano, secondo Shukri, che l’unica opzione per contrastare l’Isis è riposta nei raid aerei.
Mohamed Gnounou, portavoce delle forze aeree di Misurata (equipaggiate per lo più con vecchi Mig-21, sostiene che i miliziani del Califfato vengono monitorati costantemente dalle forze aeree statunitensi nelle aree vicino alla costa di al-Khoms e Zliten, nella regione desertica di Sabha.
I miliziani dell’Isis ricevono supporto dalle popolazioni civili, arruolano volontari e pagano alcune persone per sabotare le linee elettriche e le reti idriche sostiene Gnounou precisando che i miliziani dello Stato Islamico “hanno distrutto oltre 150 chilometri di piloni per i cavi dell’alta tensione nel sud tra Jufra e Sabha”.
Foto: Foreign Policy, Difesa.it, Libya Observer, Isis
Preso da: http://www.analisidifesa.it/2017/02/mentre-leuropa-chiacchiera-in-libia-sbarcano-i-russi-e-riappare-lis/
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