‘Lo
scontro delle civiltà’ come lo ha definito Huntington nel suo libro
anticipatore del 1996 fra Occidente e mondo islamico si gioca in larga
misura sul diverso ruolo che la donna ha nelle due culture. Se
l’Occidente riesce a convincere la donna islamica a omologarsi a quella
occidentale ha vinto la partita senza sparare un solo colpo a parte
quelli contro gli estremisti jihadisti dell’Isis che, per quanto
valenti, non hanno la forza per opporsi a lungo allo strapotere militare
della ‘cultura superiore’. Come spiega il filosofo e antropologo
Lévi-Strauss una cultura è fatta di pesi e contrappesi, di misure e
contromisure, che la tengono in equilibrio. Se qualcuno degli elementi
costitutivi di questa cultura viene eliminato ne modifica anche tutti
gli altri e la cultura in questione ne esce disgregata e alla fine
distrutta. Come è avvenuto nell’Africa Nera non per motivi legati ai
rapporti sessuali (le donne dell’Africa subsahariana sono sempre state
sessualmente molto libere fin dai tempi in cui le nostre portavano
ancora la cintura di castità) ma per motivi economici.
Per questo la
propaganda occidentale insiste in modo asfissiante sui diritti negati
alla donna musulmana, ottenendo con ciò anche l’appoggio spontaneo delle
nostre donne che, anche qualora detestino la politica di aggressione
dei Bush, dei Clinton, degli Obama, sentono il dovere morale di correre
in soccorso delle ‘sorelle’ islamiche. Se la ‘moral suasion’ non basta
ci sono allora le sanzioni economiche, come per l’Iran, o le bombe come
per l’Afghanistan e la Somalia. Esemplare è la vicenda dell’Afghanistan.
Da quindici anni gli occidentali occupano e combattono questo Paese
alla cui guida hanno imposto, com’è collaudato costume, un loro
fantoccio, Ashraf Ghani, che ha studiato alla Columbia University, ha
insegnato alla John Hopkins, è stato membro del Fondo Monetario
Internazionale (FMI) è di moglie libanese e cristiano maronita, e che di
afgano non ha nulla se non la nascita. L’Afghanistan
non ha il petrolio, il suo sottosuolo è fra i più poveri del mondo. E
anche la sua posizione geografica può essere considerata strategica solo
volendo forzare molto le cose. Anche Tagikistan, Turkmenistan,
Uzbekistan si trovano, più o meno, nella stessa posizione in Asia
Centrale e nessuno, almeno per ora, ha pensato di mettergli le mani
addosso. E allora perché combattiamo l’Afghanistan? Perché in realtà più
che l’Afghanistan, il cui interesse è quasi nullo, noi combattiamo il
fenomeno talebano, i costumi talebani, l’ideologia talebana. Il progetto
del Mullah Omar era quello di una moderata modernizzazione del Paese
mantenendo però integre le sue tradizioni. E fra queste c’è,
fondamentale, che il ruolo della donna sia innanzitutto quello di fare
figli e di occuparsi della famiglia. In cambio riceve una protezione
pressoché assoluta. Durante i sei anni del governo del Mullah Omar non
si ricorda un solo stupro e chi ci ha provato è finito sulla forca. Il
suo progetto Omar lo aveva mutuato dall’Ayatollah Khomeini dal cui
avvento al potere in Iran nel 1979 si può datare la nuova guerra di
civiltà fra Occidente e Islam (com’è noto di queste guerre ce ne sono
state anche in passato, basta pensare alle Crociate). La differenza sta
nel fatto che Khomeini era un intellettuale raffinatissimo, aveva alle
spalle una grande cultura, quella persiana, e aveva completato la sua
esperienza con gli anni di esilio a Parigi cui lo aveva costretto lo
Scià. Mentre Omar era un povero ragazzo di campagna, mai uscito dal suo
Paese, e aveva applicato la teoria khomeinista in modo molto più rozzo.
Quindi
la guerra all’Afghanistan talebano è stata, ed è, una guerra
squisitamente ideologica che può essere presa ad emblema, per la sua
chiarezza, dell’attuale scontro fra Islam e Occidente anche se nel
parapiglia del Medio Oriente giocano molti altri fattori, di potere ed
economici.
Se
invece l’Occidente non riuscirà ad omologare a sé la donna musulmana,
saranno gli islamici a prevalere con la loro massa, perché continueranno
a sfornare figli mentre da noi la denatalità e l’invecchiamento non
fanno che aumentare. E infine ci sommergeranno e si infiltreranno nei
nostri territori piegandoci alla loro cultura, senza un grande sforzo
perché la Natura non tollera il vuoto (‘horror vacui’) e un vuoto di
valori non può che essere riempito da altri valori. E’ l’ipotesi
Houellebecq.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2017
Nessun commento:
Posta un commento