Pubblicato il
06/03/2017
Ultima modifica il 07/03/2017 alle ore 07:30
Non si ferma la guerra per i pozzi di petrolio in Libia. Nuovi scontri, iniziati venerdì, mettono a rischio i successi ottenuti dalla Compagnia petrolifera nazionale negli ultimi mesi. Dall’estate, la situazione della sicurezza attorno alle maggiori installazioni energetiche era migliorata: da un minimo storico di quasi 200 mila barili al giorno, la Libia è arrivata a produrne 700mila nelle scorse settimane. È molto meno rispetto alla quota prodotta prima della rivoluzione del 2011 – 1,6 milioni –, ma è certo un successo per un Paese instabile, ancora diviso geograficamente e politicamente tra l’Ovest del governo di Fayez al-Sarraj, sostenuto dalle Nazioni Unite, e l’Est del generale Khalifa Haftar. È proprio il generale a essere di nuovo al centro degli eventi in queste ore. Le sue forze – l’autoproclamato Esercito nazionale libico – stanno tentando da venerdì di riottenere il controllo di due dei maggiori porti petroliferi del Paese: EsSider e Ras Lanuf, in Cirenaica. I rivali sono i membri di una milizia – le Brigate per la Difesa di Bengasi – allontanate dalla città di Bengasi proprio dalle truppe del generale. Haftar e i suoi uomini a settembre avevano conquistato questi porti assieme a quelli di Zueitina e Brega, per due anni nelle mani di un altro gruppo armato che aveva bloccato il loro funzionamento. Dopo aver tentato di vendere indipendentemente il greggio, Haftar ha iniziato a collaborare pochi mesi fa con la Compagnia nazionale del petrolio libica, la Noc. I soldi delle rendite energetiche dell’Est finiscono dunque, come quelli dell’Ovest, nelle casse della Banca centrale, assieme alla società energetica nazionale una delle poche istituzioni a muoversi trasversalmente rispetto alle divisioni politiche.
La perdita del controllo dei porti petroliferi dell’Est è un colpo duro per quello che è considerato l’uomo forte della Libia, Haftar, il generale che mantiene in vita lo stallo politico. In realtà, le implicazioni della battaglia di queste ore vanno molto oltre, spiega a La Stampa Mattia Toaldo, esperto di Libia dello European Council on Foreign Relations. Per prima cosa, il successo dell’attacco di venerdì da parte delle Brigate di Difesa di Bengasi – non una forza numericamente importante - «dimostra quanto sia esigua la forza militare di Haftar. L’attacco sarebbe avvenuto quando un paio di suoi aerei erano fermi: abbattuti o in riparazione. Su una flotta di dieci/quindici velivoli questo fa la differenza». In secondo luogo, «c’è un riattivarsi del fronte radicale anti-gheddafiano». Le Brigate per la Difesa di Bengasi non sono direttamente legate all’ex premier Khalifa Gwell – che ha già tentato due volte negli scorsi mesi di spodestare senza successo Sarraj a Tripoli – ma «politicamente, nella regione, giocano dalla stessa parte: con la Turchia e il Qatar».
In terzo luogo, sia a Est sia a Ovest, questa nuova offensiva sarà sfruttata per «sostenere l’inopportunità di qualsiasi dialogo: “Perché dialogare adesso con Haftar, se è in difficoltà?”, si diranno a Tripoli?». E infine, «non si è visto finora nessun sostegno a Haftar da parte dei suoi tradizionali alleati – Emirati arabi ed Egitto -. In altri casi c’è stato: questo avviene a due settimane dallo sgarbo di Haftar nei confronti del presidente egiziano AbdelFattah al-Sisi. Il generale non ha voluto infatti sedersi al Cairo con Sarraj», in un incontro organizzato con la mediazione egiziana.
I combattimenti per i pozzi dell’est non sono un colpo soltanto per Haftar, ma anche e soprattutto per gli equilibri della Libia stessa. Attraverso gli sforzi dei mesi passati della Compagnia petrolifera nazionale la produzione di greggio è più che triplicata. I vertici della Noc hanno portato a termine lenti e difficili negoziati tra clan, tribù e milizie per la riapertura di pozzi sia a Ovest sia a Est, garantendo così una ripresa dell’estrazione congelata da anni. Secondo un membro del board della Noc, Jadalla Alaokali, dall’inizio degli ultimi combattimenti, però, la produzione è già passata da 700mila a 663mila barili al giorno. La Waha Oil Company, compagnia libica che pompa greggio verso EsSider, ha infatti tagliato l’output per precauzione. E i due porti per l’esportazione attorno cui si combatte restano chiusi. Le installazioni petrolifere «non devono diventare una merce di scambio», ha detto in un comunicato il presidente della Noc, Mustafa Sanalla, convinto che la stabilizzazione della Libia passi attraverso la ripresa economica, e quindi petrolifera.
Preso da: http://www.lastampa.it/2017/03/06/esteri/libia-la-guerra-silenziosa-per-i-pozzi-di-petrolio-zob982FO2IEgpHDHdomb0M/pagina.html
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