di Giancarlo Elia Valori
- 20 marzo 2017 - 12:28
È di pochi giorni fa la notizia, di grande rilievo
strategico, secondo la quale alcune dozzine di “contractors” militari
russi, forniti dalla ditta RSB Group, sarebbe già operante nell’Est
della Libia, per sminare le aree attorno a Bengazi, in una zona che è
stata recentemente liberata dai jihadisti per mezzo delle armate di
Khalifa Haftar, che appare sempre più come il perno della geopolitica
russa in Libia.
D’altra parte, Mosca non vuole affatto compiere l’errore
primario che hanno fatto l’ONU e i Paesi occidentali, ovvero quello di
scegliere fin dall’inizio il loro “cavallo” nella persona del debole
Fajez al Serraj.
Ed infatti il leader di Tripoli è stato invitato in Russia
all’inizio del mese di Marzo 2017, e in quella occasione Vladimir Putin
gli ha detto chiaramente che Mosca è presente in Libia per porre rimedio
alla “barbarica aggressione” dell’ONU e della NATO del 2011, e intende
aiutare tutte le parti, il GNA di Serraj come il governo di Khalifa al
Gwell e le altre fazioni non jihadiste, per “ricostruire lo stato
libico”. Mosca non vuole portare fantasiose “democrazie”, ma ricostruire
lo stato unitario libico contro il jihad e con un rapporto favorevole,
economico e strategico, con la Federazione Russa.
Di certo Mosca non vuole un “protettorato occidentale” né in tutta né in una parte della Libia.
Peraltro, dal punto di vista degli USA, occorre notare che
il Daesh-Isis non è stato ancora sconfitto né in Libia né altrove, dato
che i bombardamenti aerei di Washington o degli altri alleati
occidentali degli USA hanno certamente “degradato” il potenziale
offensivo del califfato nella Sirte, ma non lo hanno completamente
eliminato e, in un prossimo futuro, il Daesh-Isis si alleerà certamente
con la rete di Al Qaeda, ricreando le sue basi e attività militari
tramite Al Qaeda nel Maghreb Islamico o le reti qaediste del Sudan e
dell’Africa subsahariana.
Una continuità strategica e territoriale che va dalla Sirte, appunto, fino alle reti di Boko Haram
in Nigeria. Peraltro, sia gli USA che i suoi alleati hanno posto in
essere una strategia, in Libia e contro l’Isis, che non può non fallire:
gli occidentali hanno sostenuto, sul terreno, le fazioni libiche loro
alleate e hanno tentato unicamente di eliminare i vertici
dell’organizzazione terroristica con azioni mirate.
I capi vanno e vengono, sono le grandi reti organizzative e
militari del jihad che devono essere spezzate definitivamente, e non
solo “contenute”. La guerriglia o il jihad non si basano sulla quantità
della loro massa di militanti, ma sulla qualità delle loro azioni. Una
logica di “containment” che non può funzionare in presenza di sistemi
regionali autonomi e alleati globali, come gli altri Paesi NATO. Ognuno
ha il suo progetto: gli italiani vogliono il petrolio dell’ENI, che è
loro, e evitare l’immigrazione di massa che parte dalle coste libiche, i
francesi vogliono il petrolio italiano e la rete militare mediterranea
della vecchia Libia gheddafiana, i tedeschi non sono interessati molto
alla questione, gli americani, ecco, gli USA cosa vogliono? Non lo
sappiamo ancora con precisione.
Non si debbono poi usare, in ogni caso, proxies, i piccoli
alleati regionali, per combattere le nostre guerre e per garantire i
nostri interessi. Nel caso della Libia, si tratta infine di evitare che
essa divenga il punto di riferimento di tutto il jihad a poche miglia
marine dall’Italia e, quindi, dall’Europa e dalle stesse basi militari
dell’Alleanza Atlantica. Basta quindi che l’Isis se ne stia fermo, nel
momento in cui le fazioni libiche non jihadiste si combattono tra di
loro e nella fase in cui gli USA decidono di aiutare questo o quel
gruppo che combatta anche l’Isis, per poi risorgere indisturbato quando
l’aiuto americano cesserà e le milizie locali se ne andranno o saranno
troppo deboli per reagire.
Nel frattempo, la Federazione Russa, tramite Rosneft, ha
siglato un accordo petrolifero con la NOC libica, dato che Mosca sa bene
come il petrolio sarà, anche dopo che si sarà conclusa l’attuale fase
di de-globalizzazione, il bene-chiave, la “merce assoluta”, per dirla
con Karl Marx, anche in futuro.
In altri termini, Mosca sta operando in Libia più o meno nel modo in cui
è riuscita ad inserirsi nel grande gioco siriano: per mezzo soprattutto
dei patenti e grandi errori delle potenze occidentali.
In Siria, gli USA prima e poi tutti i suoi alleati, sempre
meno capaci di fare davvero politica estera o di pensare
strategicamente, hanno sostenuto gli “islamisti moderati”, ammesso che
questa espressione abbia un senso, unicamente per destituire Bashar el Assad e ricreare, anche in Siria, il caos idiota successivo alle “primavere arabe”.
L’idea che basti mandare via un “tiranno”, magari con qualche
manifestazione manipolata ad arte, e che dopo tutto si risolva, è
francamente ridicola. Una geopolitica da sessantottini invecchiati male.
Se si destabilizzava definitivamente la Siria, l’Iran
sarebbe intervenuto subito, come poi ha fatto in rapporto con i russi e
gli alawiti dell’Esercito Arabo Siriano degli Assad, per non parlare di
quello che sarebbe accaduto in Libano e, quindi, in Israele.
Mosca ha quindi fiutato subito l’ingenuità stupida dell’Occidente ed è entrata in gioco, vincendolo.
Anche in Libia sta accadendo lo stesso: la NATO e l’ONU difendono strenuamente il GNA di Serraj,
che comanda appena il palazzo dove risiede il suo governo, e paga a
caro prezzo (ma lo paghiamo noi) l’appoggio di alcune milizie.
E Mosca sarà invece il mediatore, benvenuto e credibile, che
concluderà la tensione tra Serraj e Khalifa Haftar, interagendo tra i
due e ricostruendo così un’area centrale stabile per la futura
ricostruzione dello Stato libico. L’Egitto, intanto, alleato della
Federazione Russa, sta gestendo un accordo tra tutte le fazioni libiche,
che prevede elezioni politiche da tenersi nel febbraio 2018. Se Mosca
sosterrà il progetto, le probabilità che si vada al voto sono
elevatissime.
È probabile poi che lo stesso Haftar giochi la carta russa anche per
avere un sostegno credibile dalla nuova Presidenza USA, ma il capo della
“Operazione Dignità” non vuole, probabilmente, chiudere un patto con
Serraj, ma solo aspettare che il leader troppo amato dagli occidentali e
dagli USA si indebolisca ulteriormente.
L’incontro al Cairo tra Haftar e Fajez al Serraj, previsto il 14
Febbraio scorso, non è infatti avvenuto, proprio a causa del rifiuto di
Haftar di incontrare il capo del GNA.
Quindi, possiamo affermare che il sostegno ad Haftar da parte di Russia e
Egitto è, da un lato, inevitabile, considerando la sempre maggiore
debolezza e l’evidente frazionismo del governo del GNA, ma permette nel
contempo al capo della “Operazione Dignità” di credere ad una sua
vittoria sul campo, che renderebbe inutile la attuale trattativa
politica.
E non interessa a nessuno regalare la Libia ad un altro Rais.
L’Operazione che ha liberato Sirte dall’Isis, denominata “Bunyan al Marsous“,
ha visto infine operare sul terreno molte fazioni, soprattutto di
Misurata, e perfino alcuni salafiti in disaccordo con il califfato.
Gli USA e gli alleati occidentali hanno sostenuto “Bunyan al
Marsous” soprattutto con bombardamenti aerei, gli americani hanno
infatti compiuto almeno 300 strikes con la loro aviazione, i britannici
hanno addestrato e sostenuto le forze di Misurata, gli italiani hanno
costruito un ospedale da campo per i feriti in combattimento.
Ma l’obiettivo degli occidentali, in questo caso, non era
tanto combattere l’Isis, che viene ritenuto un potere troppo forte e
localizzato, piuttosto il fine era quello di sostenere Serraj
garantendogli il controllo di una importante città come quella di
Misurata.
In altri termini, gli occidentali devono smetterla di
giocare solo con un unico alleato libico, ma piuttosto debbono unificare
il più possibile le attività belliche di tutte le fazioni libiche,
sostenere lo sforzo di alcuni leader locali nel costruire uno stato
unitario ma decentralizzato, per evitare di contare, in futuro, i
perdenti e i vincitori della lunga guerra tra fazioni, sostenere
economicamente il nuovo stato, magari con aiuti e accordi petroliferi
particolarmente amichevoli, evitare infine che, in futuro, si ripeta
l’asimmetria tra Tripolitania e Cirenaica, con l’Est che si ritiene, a
torto o a ragione, marginalizzato.
Intanto, la Russia avrà le sue basi militari in Cirenaica, che serviranno a marginalizzare la NATO e a controllare il retroterra maghrebino.
Preso da: http://www.bergamonews.it/2017/03/20/la-russia-in-libia-per-non-commettere-lerrore-dellonu-e-dei-paesi-occidentali/249155/
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