8/6/2018
Romano Prodi, ancora lui. «Due volte presidente del Consiglio», lo presenta Simona Casalini su “Repubblica”,
evitando di evidenziare le funzioni rivelatrici che ne illumiano il
curriculum: privatizzatore dell’Iri, presidente della Commissione
Europea e advisor europeo della Goldman Sachs, la cupola di “bankster”
che ha infiltrato le economie nazionali per saccheggiarle
crocifiggendole al debito, come la Grecia a cui lavorò Mario Draghi. Ma,
per “Repubblica”, nel giugno 2018 – con Di Maio e Salvini e al governo –
Romano Prodi è ancora il “due volte presidente del Consiglio”,
l’autorevole “professore” interpellato sull’Italia come fosse un
economista di Sydney, un osservatore neutrale e nobilmente estraneo al
disastro italiano. Al forum “La Repubblica delle Idee”, Prodi risponde
alle affabili domandine del direttore del quotidiano di De Benedetti,
Mario Calabresi, affiancato dal collega de “L’Espresso”, Marco Damilano.
«La gente non ha più fiducia nelle democrazie», proclama soavemente
Prodi, fingendo di non sapere che in quest’Europa è stata proprio la democrazia
a trionfare in Gran Bretagna addirittura con un referendum, mentre ora
in Italia – sempre a suon di voti – ha mandato a casa l’ex inaffondabile
euro-Pd. Se c’è una notizia è proprio la riscoperta della democrazia
come possibilità. E i direttori del gruppo Espresso lasciano che il
super-tecnocrate italiano dica il contrario esatto della verità.
Il crollo generale di fiducia – non “nelle democrazie”, com’è
evidente, ma negli euro-governi non democratici – secondo Prodi nasce da
«un problema di diritti», palesemente conculcati. E ammette: «Bisogna cambiare registro. La disparità è aumentata in
quasi tutti i paesi del mondo proprio perché i governi democratici
hanno adottato modelli fiscali e di welfare che hanno aumentato la
disparità». Dov’era, il “professore”, mentre tutto ciò accadeva? Su
Marte, potrebbe pensare il lettore, se non sapesse che Prodi era prima
all’Iri, impegnato a tagliare le gambe all’Italia, per poi “finire il
lavoro” tra Bruxelles e Palazzo Chigi, lautamente ricompensato da Wall
Street. “Chi sei e da dove vieni” dovrebbero essere l’abc del
giornalismo? Nei film, forse.
Nella realtà, Mario Calabresi “incalza”
Prodi chiedendogli di esercitare il suo apollineo intelletto misurandosi
su giudizi temerari, come quello concernente la vera natura del neonato
governo gialloverde. Per la precisione: l’orientamento del neo-premier.
«Conte? E’ di destra», sentenzia (in qualità di astrologo) il
“professore”, per quarant’anni al servizio della destra economica
neoliberista. Ormai l’Italia è spacciata, ripeteva, da Palazzo Chigi: l’economia del mondo è in mano a grandi “cluster” industriali, di fronte ai quali il made in Italy – piccola e media impresa – può solo estinguersi.
Ambasciatore prescelto dall’Impero globalista per piegare le ultime
resistenze della sinistra sociale, l’ipocrita Prodi – travestito da
cattolico “di sinistra” – tiene ancora banco, tra gli addetti alla
non-informazione quotidiana. «Quando si governa ci sono decisioni che
sono di sinistra e altre di destra», pontifica il grande rottamatore
dell’Italia, sfoggiando il suo cinico pragmatismo (così apprezzato, da
Bruxelles a Washington). «Serve un progetto politico», brontola,
pensando all’ex finta sinistra da lui un tempo guidata. Auspica «un
ampio, largo dibattito collettivo nel paese». Velenose falsità, come
sempre, anche sull’euro-mostro chiamato Unione Europea: «Se qualcuno si vuole male esce dall’Europa».
L’euro? «L’introduzione della moneta unica doveva essere accompagnata
da molte altre decisioni e invece siamo rimasti a metà». Che peccato. Ma
vorrebbe suscitare tenerezza l’amarcord da coccodrillo in lacrime che
riserva all’ingenua platea della “Repubblica delle Idee”: «Kohl mi disse
che i tedeschi
erano contro la sua introduzione ma lui lo volle a tutti i costi perchè
era anche un forte simbolo di pace, raccontandomi che suo fratello era
morto in guerra».
Kohl, sì: il cancelliere che telefonava a Roma, dando ordini – da
Berlino – al governo italiano. Per la precisione, pretendeva
l’allontanamento dell’economista keynesiano e progressista Nino Galloni,
il funzionario strategico che lavorava (con Andreotti) per parare i
colpi mortali di Maastricht. E sua eccellenza Prodi, il “professore”?
Era impegnato a smontare l’Iri, per poi prepararsi a spiegare –
all’Italia ormai declassata – che avrebbe dovuto subire 25 anni di
disgrazie, presentate come “sacrifici” purtroppo inevitabili, nel
mondo-cluster visto come l’unico possibile dal globalizzatore fatalista e
reazionario Romano Prodi, massimo architetto della “democratura”
italiana sottomessa a poteri privati e famelici. Il ruolo di quei
poteri, i soli e veri decisori, non è neppure lontanamente evocabile –
né ora né mai – nelle sacrestie provinciali del nuovo feudalesimo
imperiale e nei servili retrobottega della macchina che fabbrica notizie
false e pensieri deprimenti. Il paese è in rivolta a causa del declino
nel quale è stato precipitato? Ovvio, per “Repubblica” ed “Espresso”,
chiedere lumi proprio all’uomo che, più di ogni altro, quel declino ha
organizzato, prima come privatizzatore e poi come liquidatore
fallimentare del paese. Bel tipo, il “professore”: pagato dai banchieri,
s’intende, ma pur sempre “di sinistra”.
Preso da: http://www.libreidee.org/2018/06/morto-che-parla-le-bugie-di-prodi-e-la-repubblica-senza-idee/
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