7/6/2018
L’Italia è quel paese in cui l’austero professor Mario Monti è
senatore a vita. E dal suo scranno, può permettersi di ammonire –
retroattivamente – il popolo italiano che già stritolò nel 2011:
ricordavi, avverte, di quello che potrebbe capitarvi anche nel 2018, se
non righerete dritti. Nella sua visione grottesca della politica,
Monti arriva a fregiarsi dell’infima gloria sinistra del gauleiter, il
grigio reggente regionale che si presenta come il male minore rispetto
truce Führer: senza la mia purga sanguinosa, allora, vi sarebbe toccata
quella della Troika, il nuovo potere imperiale che regna sull’Europa
senza alcun mandato e che dispone della vita e della morte delle
economie, delle società, delle democrazie. E’ come se dicesse: io sono
lo spread, la punizione biblica per voi miscredenti, non abbastanza
timorati della vendetta degli déi. Un lessico che ricorda quello,
altrettanto cupo, maneggiato dal presidente della Repubblica nel vietare
a Paolo Savona l’ingresso al ministero dell’economia: guai a chi osa sfidare il potere
supremo della divinità che è l’unico arbitro del nostro destino, ben al
di sopra della sciocca e pericolosa presunzione degli elettori, che si
credono sovrani. Non sanno, gli stolti, che ben altri poteri sovrastano
la risibile finzione confederale chiamata Unione Europea, con i suoi Parlamenti nazionali ormai solo decorativi?
Si è ribaltato l’universo, nella percezione della maggioranza degli
elettori italiani – ai quali, incredibilmente, è ancora concesso il
diritto formale di voto. Si è capovolto il pianeta, nella testa di
milioni di cittadini (la maggioranza), se è vero che sono stati
capaci di mandare a casa gli storici camerieri del regime, travestiti
da politici. Eppure, Mario Monti si offre al pubblico nella sua
invariata fissità statuaria, con il suo identico verbo altrettanto
mortuario: crisi
e rigore, senza alternative. E il suo alter ego al femminile, Elsa
Fornero, autrice della più famigerata riforma degli ultimi anni, ha
facoltà di parola – ogni settimana – nei salotti televisivi, dove viene
regolarmente interpellata come una sorta di nume della saggezza, insieme
agli altri professori della sciagura nazionale fondata sui tagli al
bilancio in nome dei conti del salumiere europeo, la premiata macelleria
di Bruxelles. Uno spettacolo, quello delle figure marmoree
detronizzate, che gli addetti al culto mediatico non riescono ad
accettare: smarriti, si rifugiano nella pretesa sapienza di colleghi e
sacerdoti di rito ortodosso, sedicenti giornalisti e pomposi analisti –
gli stessi che applaudirono il pontefice Monti, l’inviato speciale degli
Inferi, e poi la sue versioni annacquate e letargiche, il mite Letta e
il torpido Gentiloni, passando per l’imbarazzante fanfarone di Rignano
sull’Arno, spacciato per rigeneratore libertario della provincia
italiana dell’impero medievale.
E mentre il Parlamento incorona i nuovi governanti, insieme alla loro
spericolata ipotesi di riforma radicale del sistema, le parrocchie
televisive – per reagire all’affronto – affollano gli studi di politici
di ieri, mesti cantori del “tua culpa” e supporter del passato, infidi
scrutatori mai imparziali di un mondo che non esiste più. E’ il lutto a
reti unificate a dominare il cosiddetto mainstream, tramortito
dall’insolenza inconcepibile dell’elettore medio, che ai faccendieri
dell’impero stavolta ha preferito i masanielli del nord e del sud, isole
comprese. E’ elusa, come sempre, la domanda madre: perché accade tutto
questo? Perché hanno tradito la casalinga e l’operaio, l’imprenditore e
lo studente, il precario e il disoccupato? Perché hanno smesso,
riprovevolmente, di riporre la loro fede nei disciplinati ed eleganti
maggiordomi dell’ineffabile zarismo di Bruxelles? Temendo la risposta,
gli uscieri del mainstream trovano facile accanirsi, fin da subito,
sulle presunte incongruenze dei neo-eletti, la loro scarsa
dimestichezza con i sacramenti dell’ufficialità. E lasciano l’Italia a
fari spenti, in una notte in cui riappare l’ectoplasma del disastro,
Mario Monti. Il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio, con annessa
maledizione egizia per i profanatori del santuario del rigore.
L’impero regna ancora: ha perso il Parlamento, non la banca. Né le
parole – false – che ha forgiato nei decenni, raccontando che al declino
non si sfugge: lo schiavo non può mai cambiare il suo destino. Era una
fiaba nera, che lentamente è diventata verità di piombo. Sanno, gli
incantatori, che le parole hanno un potere
fondativo. Sanno benissimo, i fabbricanti di “fake news”, quanto
determinante sia la narrazione degli eventi. Sono perfettamente
consapevoli che basterebbe poco, un niente, per invertire il corso delle
cose, il sentimento del presente. Pace e fiducia basterebbero a
sfrattare la paura, la principale leva su cui fonda il suo potere
il verbo eternamente minaccioso di un impero che ha ridotto il vecchio
continente a una congrega di impostori e di meschini, così codardi da
tremare al semplice sussulto di un paese che si affida a portavoce per
una volta alieni, non mafiosi e non ancora compromessi, non partoriti
dalla filiera dell’oligarchia che ha preso il posto, ovunque, della democrazia
dei tempi andati, il cui fantasma turba il sonno dei gerarchi e dei
loro datori di lavoro. Piramidi nefaste, di un business che si avventa
sugli Stati per spolparli, invocando la norma religiosa della privazione
come dogma. E si prepara a dispiegare tutta la potenza che gli resta
per minacciare e scoraggiare, spaventare la popolazione insorta. Nella
pericolosa guerra
che si annuncia, par di capire che saranno proprio le parole – ancora –
a disputare una battaglia decisiva, in nome della verità che questa
pseudo-Europa ha costretto alla più dura clandestinità.
(Giorgio Cattaneo, “Il fantasma di Monti sulla democrazia gialloverde”, dal blog del Movimento Roosevelt del 6 giugno 2018).
Preso da: http://www.libreidee.org/2018/06/il-fantasma-di-monti-incombe-sulla-democrazia-gialloverde/
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