di stopeuro — Mag 29, 2018
La stragrande maggioranza del personale politico e media
mainstream all’unisono tuonano che l’Italia non può permettersi di
uscire dalla moneta unica. É quindi giunto il momento di rovesciare il
paradigma ed evidenziare perché per l’Italia sia insostenibile la
permanenza nella gabbia monetaria europea.
di Fabrizio Verde
Le recenti e arcinote vicende che hanno portato allo scontro
istituzionale tra il presidente della Repubblica Mattarella e la
maggioranza parlamentare M5S-Lega, con il conseguente veto sul nome di
Paolo Savona evidentemente sgradito a Berlino e Bruxelles, hanno
riportato in auge il mai sopito dibattito sulla permanenza dell’Italia
nell’euro. Una forma coercitiva di governo più che una semplice moneta.
La stragrande maggioranza del personale politico e media mainstream
all’unisono tuonano che l’Italia non può permettersi di uscire dalla
moneta unica. É quindi giunto il momento di rovesciare il paradigma ed
evidenziare perché per l’Italia sia insostenibile la permanenza nella
gabbia monetaria europea.
Una situazione dove l’Italia si era già cacciata negli anni del
fascismo, quando Mussolini decise che per ragioni di prestigio
internazionale la Lira dovesse raggiungere e mantenere la parità con la
Sterlina inglese.
Il 18 agosto del 1926 in un discorso tenuto a Pesaro, Benito
Mussolini, annunciò per la Lira una politica di rivalutazione nei
confronti della Sterlina, la valuta mondiale di riferimento a quel
tempo. Il regime, esclusivamente per motivi di prestigio e credibilità
internazionale, adottò una politica di forte rivalutazione della moneta
fissando l’obiettivo alla «prestigiosa quota 90». L’obiettivo stabilito e
raggiunto nel dicembre del 1927 con l’introduzione da parte di
Mussolini del Gold Standard Exchange, fu quello di condurre il tasso di
cambio da 153,68 Lire per una Sterlina, a 90 Lire per una Sterlina. Una
rivalutazione di ben il 19% per la moneta italiana.
Passano due anni con la Lira sempre attestata sulla fatidica «quota
90», il fascismo arroccato alla strenua difesa della prestigiosa quota e
la Grande Depressione del 29′ in arrivo dagli Stati Uniti d’America
relegata in qualche trafiletto semi-nascosto, giacché i giornali del
regime sono impegnati a narrare agli italiani le mirabolanti conquiste
del corporativismo fascista. Intanto il tenore di vita degli italiani
peggiora notevolmente. I forti tagli salariali sono stati già
definitivamente sanciti attraverso l’approvazione della «Carta del
Lavoro». Il costo della crisi e del supposto prestigio derivante dalla
moneta forte è scaricato per intero sulla classe lavoratrice.
Quando non si può svalutare la moneta si svaluta il lavoro attraverso i salari.
L’analogia con l’Euro è lampante su questo punto.
La «Lira forte» è una delle bandiere del regime tanto che Mussolini
di dichiara pronto a «difendere la Lira fino all’ultimo respiro, fino
all’ultimo sangue». Appaiono inquietanti certe analogie con i difensori
dell’Euro a spada tratta, costi quel che costi. Inoltre, altra analogia
(già richiamata in precedenza) con l’attuale scenario, per sostenere il
rialzo della Lira si dovette ricorrere a politiche deflattive sui salari
che tra il 1927 e il 1928, e senza soluzione di continuità sino ai
primi anni 30′ subirono diminuzioni dal 10% al 20% a seconda delle
categorie. Una scure calò sui salari degli operai che videro peggiorare
le loro già miserevoli condizioni di vita.
Arriviamo così al 1930: la Lira è sempre arroccata a «quota 90» nei
confronti della valuta inglese e la situazione continua a peggiorare,
complice anche la Grande Depressione che porta i banchieri privati
americani a richiedere indietro i milioni di dollari dati in prestito a
comuni, enti e società italiane a partire dal 1925. A pagare il prezzo
più alto è sempre la classe lavoratrice: i disoccupati aumentano di 140
mila unità rispetto all’anno precedente, i salari subiscono una stretta
ulteriore (25% lavoratori agricoltura – 10% lavoratori industria – forti
decurtazioni settore statale), tanto da divenire i più bassi
dell’intero continente. Mentre la discesa dei prezzi non fu altrettanto
ripida come quella dei salari. Tanto che il Corriere della Sera
scriveva, «il salariato fa questo ragionamento molto semplice: se il
costo della vita va giù del 5%, ed i miei salari van giù del 10%, chi
gode della differenza?».
Oggi come allora: diminuzione dei salari, crollo della produzione,
esponenziale aumento della disoccupazione, progressiva proletarizzazione
degli strati sociali intermedi, forte crescita della povertà. Quelli
appena citati sono gli effetti classici di un processo di aggancio a uno
standard nominale forte.
Lo scenario deprimente a cui assistiamo dall’ingresso nell’eurozona
che è equivalso sostanzialmente ad un aggancio della Lira al Marco
tedesco.
Alla luce di una siffatta situazione la domanda è: per quale motivo l’Italia dovrebbe restare nell’Euro?
Fonte L’antidiplomatico
Preso da: https://www.stopeuro.news/perche-litalia-deve-rimanere-nelleuro-quando-una-moneta-non-si-puo-svalutare-si-svalutano-i-salarii/
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