Nella storia contemporanea, risulta
particolarmente complesso trovare un personaggio così controverso e
discusso come il presidente egiziano Gamal Abd Al-Nasser. Sebbene siano
ormai trascorsi più di 40 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1970,
Nasser divide tutt’oggi gli studiosi sulla reale portata delle sue
politiche non solo in terra egiziana, ma nell’intero mondo arabo. Se
da una parte si sostiene che Nasser «ha segnato la storia dei popoli
arabi, per i quali ha rappresentato la “loro ora più bella”» (Bagozzi,
2011: 6), dall’altra parte, non sono pochi coloro che ritengono il
presidente egiziano come colui «che ha collezionato soltanto sconfitte
nella propria vita» (Minganti, 1979:109).
Da tali premesse, un tentativo di
comprensione dell’opera e delle politiche del presidente egiziano non
può fare a meno di ripercorrere i tratti biografici più salienti e i
temi principali delle ideologie da lui abbracciate, in modo da sfuggire,
per quanto possibile, a quel desiderio di incasellare e classificare
l’intera politica di Nasser come quella, a seconda dei diversi punti di
vista, di un «demagogo … bolscevico … militarista … anarchico … fascista
…» (Daumal e Leroy, 1970: 9), mostrando invece, oggettivamente,
l’evoluzione delle idee e dell’agire nasseriano.
La rivoluzione e l’avanguardia: il lungo cammino di Nasser
Gamal Abd Al-Nasser nasce il 15 gennaio
1918 ad Alessandria d’Egitto; la sua famiglia è originaria di Beni-Morr,
un piccolo paese non lontano da Assiout, da dove suo padre si spostò
trasferendosi ad Alessandria per lavorare lì come funzionario delle
poste. Durante la sua infanzia, Nasser cambia spesso città di residenza,
fino a tornare nella sua città natale nel 1929, dove, giovanissimo,
viene a contatto con le manifestazioni nazionaliste dell’estate 1930,
duramente represse dalla monarchia egiziana. Il trasferimento al Cairo,
nel 1933, vede il giovane Nasser ancora coinvolto nelle agitazioni
studentesche e sempre più convinto della necessità di affrontare
l’imperialismo britannico in nome di una patria libera e indipendente;
notevoli sono le parole cariche di speranza rivolte ad un compagno di
scuola in una lettera: «Dove sono coloro che offrivano la loro vita per
liberare il Paese?…Dov’è la dignità? Dov’è la giovinezza ardente? (…)
Scuoteremo la nazione, risveglieremo le energie nascoste nel cuore degli
uomini …» (Daumal e Leroy, 1970: 32).
Sono anni in cui l’ardore giovanile di
Nasser trova terreno fertile nelle continue manifestazioni studentesche,
a sostegno della Costituzione del 1923 e in totale contrasto con una
monarchia sempre più collusa con gli inglesi. In queste manifestazioni,
alcune sfociate anche in duri scontri con la polizia egiziana, Nasser
prende inoltre consapevolezza della difficoltà di superare le ritrosie
delle masse di fronte alle loro rivendicazioni: «Mi sono messo alla
testa dei manifestanti nel collegio in cui studiavo allora, gridando a
pieni polmoni: Viva la completa indipendenza! Ma le nostre grida si
smorzarono nell’indifferenza generale» (Daumal e Leroy, 1970: 33).
La sua vocazione militare lo porta ad
entrare nel 1937 nell’accademia per ufficiali, dove si mostrerà come un
allievo dalle grandi doti. Durante il secondo conflitto mondiale, il
sotto-luogotenente Nasser comincia la sua opera di costituzione di
quella associazione segreta che prenderà il nome di Movimento degli
Ufficiali Liberi: fedele agli ideali della sua gioventù, Nasser tenta di
unire intorno a questo Movimento gli ufficiali egiziani pronti a
lottare per l’indipendenza totale dall’Inghilterra, il cui protettorato,
anche dopo gli accordi del 1936, è rimasto sempre forte e opprimente
nella vita politica e sociale egiziana. Il Movimento riesce a convergere
su un unico obiettivo: «l’indipendenza della dignità, che comporta tre
punti: cacciare gli inglesi, riedificare l’esercito, formare un governo
onesto e competente» (Daumal e Leroy, 1970: 37).
Un evento decisivo per Nasser e per
tutte le popolazioni arabe avviene nel maggio 1948, quando, a seguito
del ritiro delle truppe inglesi in Palestina, viene proclamato lo Stato
di Israele, dando immediatamente inizio alla prima guerra
arabo-israeliana, che si concluderà solo nel gennaio 1949, con la
sconfitta delle forze arabe unitesi contro Israele. Tra le cause della
sonora sconfitta araba può essere annoverata anche la disorganizzazione
delle truppe mandate al fronte; è un momento particolarmente importante
per Nasser: tra le trincee, riemerge tra gli ufficiali il desiderio mai
sopito di salvare la Patria dal potere corrotto, legato
indissolubilmente all’imperialismo. Seguendo le stesse parole di Nasser,
«combattevamo in Palestina, ma i nostri pensieri ed i nostri sogni
volavano verso l’Egitto. Puntavamo le armi verso il nemico, acquattato
là di fronte a noi nelle trincee, ma nei nostri cuori grande era la
nostalgia per la Patria lontana, lasciata in preda ai lupi voraci che
tentavano di dilaniarla» (Nasser, 2011: 27).
Di fronte a questa ennesima umiliazione,
gli Ufficiali Liberi decidono di organizzare in maniera precisa e
programmatica la rivoluzione che li porterà al potere. Nella notte tra
il 22 e il 23 luglio 1952, gli Ufficiali Liberi occupano tutti i centri
più importanti del Cairo, costringendo il re Farouk a dimettersi. Nasser
è uno dei principali fautori di questa impresa, cosciente tuttavia di
dover svolgere un ruolo di “avanguardia”, in un Paese dove le masse
erano da tempo immemore indifferenti e scettiche di fronte ad ogni
cambiamento.
Al potere sale una figura di
conciliazione nazionale come Mohammed Neghib, colonnello dell’esercito
molto apprezzato anche dai Fratelli Musulmani, dai nazionalisti del Wafd
e dal piccolo partito comunista. Il nuovo presidente egiziano non ebbe
tuttavia modo di arginare l’ala più dura del Movimento degli Ufficiali
Liberi, capitanata da Nasser, che spingeva per un autoritarismo da
imporre in nome della rivoluzione. Come ben descritto da Campanini,
«Anche se Neghib era Capo dello Stato, gli Ufficiali Liberi riconoscevano in Nasser la loro guida. I due uomini nutrivano una concezione politica opposta: mentre Neghib voleva che, portata a termine la rivoluzione, i militari tornassero nelle caserme e il governo passasse ai civili, Nasser era convinto che l’esercito fosse l’avanguardia cosciente delle masse egiziane e che dovesse assumersi le responsabilità del potere. Il contrasto, sotterraneo, divenne crisi aperta nel 1954» (Campanini, 2006: 125).
Lo stesso anno, Nasser diviene così
Presidente egiziano esautorando la figura di Neghib, ma ciò portò
inevitabilmente grandi malumori, specialmente tra i Fratelli Musulmani,
che vedevano nel nuovo presidente una tendenza autoritaria decisamente
pericolosa. Il culmine di questo scontro avrà luogo il 26 ottobre 1954
ad Alessandria, quando un membro dei Fratelli Musulmani spara sei colpi
di pistola contro Nasser durante un suo comizio. Rimasto miracolosamente
illeso, Nasser scatenerà l’esercito contro i Fratelli Musulmani,
arrestandone migliaia e devastando le loro sedi. L’attentato può quindi
definirsi come il punto di non-ritorno tra Nasser e l’associazione
fondata da Hasan al-Banna.
Ormai leader indiscusso della politica
egiziana, Nasser mostra grande abilità nella politica estera,
destreggiandosi e sfruttando a suo favore lo scontro allora infuocato
tra URSS e Stati Uniti d’America, proponendosi ad entrambe le parti come
alleato in cambio di aiuti economici e militari a sostegno del suo
Paese. Un’importante vetrina per Nasser sarà inoltre la conferenza dei
Paesi non-allineati dell’aprile 1955, tenuta a Bandung, che si rivelerà
un grande successo: Nasser si mostra carismatico, fermo nelle sue idee e
pronto a sostenere l’idea di un “terzo blocco”, in posizione
equidistante tra i contendenti della Guerra Fredda.
La politica estera nasseriana trova il
suo corrispettivo in terra egiziana nel socialismo arabo, vera novità
nello scenario mediorientale di metà Novecento, che vede in Nasser uno
dei suoi principali fautori. Riforme agrarie, lotta all’analfabetismo,
la nazionalizzazione del canale di Suez (che condurrà alla crisi del
1956) rappresentano i punti di forza dell’operare nasseriano. Al
socialismo arabo (su cui si dovrà tornare) Nasser affianca un
panarabismo che condurrà il presidente egiziano a tentare un progetto
decisamente ambizioso: unire i diversi popoli arabi sotto la medesima
bandiera. Sebbene Nasser si sia prodigato molto per tale obiettivo, non
si può nascondere come ben deludente sia stato il risultato: la RAU
(Repubblica Araba Unita), fusione di Egitto e Siria, durerà solamente
dal 1958 al 1961. Fu questo un grave colpo per le speranze di Nasser,
che accantonerà così in maniera definitiva il sogno panarabista.
Gli ultimi anni di Nasser sono
decisamente complessi: sul fronte interno, i Fratelli Musulmani,
ricostituitesi clandestinamente, vengono duramente repressi nel 1966,
portando addirittura all’impiccagione di Sayyid Qutb, ideologo di punta
dei Fratelli Musulmani. Ma ciò che probabilmente segna la fine del
nasserismo è la pesante sconfitta subìta per mano di Israele nella
Guerra dei Sei giorni. Nasser si assume le responsabilità del crollo
delle difese egiziane e rassegna le sue dimissioni, respinte tuttavia a
furor di popolo che, in un pellegrinaggio spontaneo, converge nelle
strade del Cairo a sostegno del suo presidente. Commosso da tanta
devozione, il presidente egiziano riprende il potere, tentando
nuovamente di proporsi come attore politico di primo piano attraverso
politiche distensive verso gli altri Stati arabi. Tali sforzi provano
tuttavia gravemente la salute di Nasser, che morirà il 28 settembre del
1970. Una folla oceanica renderà il suo ultimo tributo a Nasser: sono
infatti milioni gli egiziani che parteciperanno al suo funerale per le
strade del Cairo.
L’esercito come avanguardia delle masse
Un interessante approfondimento sulla
figura di Nasser non può prescindere dalle sue personali considerazioni
intorno al ruolo dell’esercito nella vita politica egiziana. La
posizione nasseriana è chiaramente esposta nel testo Filosofia della Rivoluzione,
scritto dallo stesso leader degli Ufficiali Liberi, dove vengono
descritte le cause, gli obiettivi e le vie per proseguire al meglio la
rivoluzione avvenuta nel 1952. Questo piccolo testo, pubblicato nel
1953, mostra nelle sue prime pagine lo sconforto di Nasser per non poter
contare su un popolo coeso e unito contro la monarchia
filo-imperialista del re Farouk. Andando più nello specifico, Nasser
ammette che l’esercito avrebbe dovuto avere un ruolo di avanguardia
nella rivoluzione del 1952, avanguardia che avrebbe permesso in seguito
alle masse di convogliare tutta la loro forza a sostegno della
rivoluzione. Come si evince dalle deluse parole di Nasser, le masse non
ebbero invece un ruolo ben definito nella rivoluzione, preferendo
l’indifferenza di fronte ad un evento storico di importanza decisiva per
la storia egiziana:
«Immaginavo, prima del 23 luglio, che tutta la nazione fosse preparata, stesse sul chi vive in attesa degli elementi di avanguardia, per scagliarsi compatta ed ordinata verso l’obiettivo finale. Credevo che il nostro compito si limitasse a quello dei commandos, che la nostra azione non avrebbe preceduto che di qualche ora l’assalto della nazione intera contro l’obiettivo (…). Ma la realtà fu diversa (…) Allora mi resi conto che la missione degli elementi di avanguardia non era terminata, ma anzi cominciava da quel momento» (Nasser, 2011: 31-32).
L’esercito assume dunque un ruolo di
avanguardia che non si esaurisce con la cacciata del re Farouk,
ponendosi invece l’obiettivo di condurre le masse, l’intera società
egiziana, ad uscire da uno stato di commiserazione e impotenza, dovuto
alle angherie che nei secoli si sono abbattute contro la parte più
debole della popolazione, mostrando loro la strada corretta per lo
sviluppo della nazione. Risulta ancora una volta illuminante leggere le
stesse parole di Nasser: «E, dunque, qual è il cammino da seguire? Quale
il nostro compito? La via da scegliere è l’indipendenza economica e
politica. Il compito affidatoci né più né meno che quello di sentinella
per un tempo limitato (…) La nostra azione si limiterà (…) a tracciare
il cammino» (Nasser, 2011: 45).
L’allontanamento nel 1954 di Neghib dal
comando del Paese e lo scioglimento di tutti i partiti mostrerà invece
come tali affermazioni rimasero valide solo a livello teorico. Ciò che
invece rimarrà valido a lungo nel pensiero nasseriano sarà la
riflessione intorno al nazionalismo arabo e sul ruolo dell’Egitto nella
seconda parte del Novecento, tematica con cui termina la terza ed ultima
parte della Filosofia della Rivoluzione.
Un nazionalismo “in cerca d’autore”: origine e temi del panarabismo
Singolare appare nell’ultima parte del testo nasseriano il riferimento alla commedia di Pirandello Sei Personaggi in cerca d’autore:
«Non so perché, ma arrivando a questo punto delle mie meditazioni, mi viene in mente una Commedia del grande scrittore italiano Luigi Pirandello: Sei Personaggi in cerca d’autore. Indubbiamente il palcoscenico della storia è pieno di atti intrepidi di cui si sono resi autori molti eroi, come pure è ricco di sublimi gesta che non hanno trovato gli eroi capaci di adempierle; io credo appunto che nella zona in cui viviamo ci sia un’importante missione “in cerca” di un personaggio che possa eseguirla: essa, esausta dalla lunga ricerca attraverso i vasti territori a noi contigui, ha fatto sosta alle frontiere del nostro Paese per invitarci all’azione, ad assumere “la parte”, a portarne il vessillo. Nessun altro avrebbe potuto farlo» (Nasser, 2011; 50-51).
La “parte” è evidentemente quella presa
di coscienza di una missione, di un compito che travalica i confini
egiziani. Di qui la consapevolezza di vivere in un Paese importante
nello scacchiere internazionale, e che ogni isolazionismo risulterebbe
non solo antistorico, ma impossibile da attuare per la stessa posizione
geografia del territorio egiziano.
Ciò che vale la pena approfondire è
dunque la convinzione di Nasser che il nazionalismo egiziano debba
lasciare spazio ad un panarabismo che rispecchi il nuovo ruolo
dell’Egitto nel quadro geopolitico contemporaneo. Il nazionalismo
egiziano si era infatti sviluppato nel contesto delle lotte per
l’indipendenza dall’imperialismo britannico, avendo principalmente come
obiettivo lo stravolgimento del potere monarchico colluso con l’elemento
occidentale. Raggiunto l’obiettivo con la rivoluzione del 1952, si
trattava adesso di condurre l’Egitto ad essere riconosciuto come Paese
dominante nel panorama arabo, sia in modo da prevalere sugli stessi
Stati arabi, sia per poter avere in ambito internazionale una forza che
si ponesse in contrasto con i due blocchi della Guerra Fredda.
Relativamente agli elementi principali
del nazionalismo arabo, occorre evidenziare il peso delle rivendicazioni
arabe successive alla proclamazione dello Stato di Israele del 1948,
che destano nei diversi Paesi arabi sentimenti di comunione, di
fratellanza che il presidente egiziano farà propri in molti dei suoi
discorsi. Oltre a questo elemento etnico, che lega i territori del
Nord-Africa e del Medio Oriente, un altro fattore importante del
panarabismo risulta essere l’elemento religioso. Nasser ritiene difatti
l’Islam fondamentale fattore di forza all’interno del nazionalismo
arabo: «quando (…) la mia mente va a queste centinaia di milioni uniti
dai vincoli di un’unica fede, mi convinco ancor più delle immense
possibilità che nascerebbero dalla collaborazione di tutti i Musulmani»
(Nasser, 2011: 61).
Nasser vede dunque nell’Egitto del
Novecento il soggetto designato per portare l’ideologia del nazionalismo
arabo ad essere riconosciuta dagli altri Paesi, in nome sia di una
comune “coscienza” araba, sia per l’importanza della religione islamica
come elemento aggregante e universale. Solo attraverso queste
considerazioni può essere inteso gran parte dell’agire nasseriano, mai
domo nel cercare e proporre diverse soluzioni di collaborazione e di
unità tra i diversi Stati arabi; sebbene tali sforzi abbiano prodotto
come massimo risultato la breve ed infelice esperienza della Repubblica
Araba Unita (1958-1961), Nasser può essere considerato a buona ragione
il più notevole esponente del nazionalismo arabo, «un patriota arabo tra
milioni di patrioti arabi» (Daumal e Leroy, 1970: 173).
Il socialismo arabo: l’Egitto come laboratorio politico
Un ulteriore elemento da approfondire
per comprendere la politica nasseriana è rappresentato dal socialismo
arabo, che costituirà un momento fortemente innovativo nella storia
egiziana, ben presto imitato anche da altri Capi di Stato arabi. A
livello sociale, il socialismo arabo si è concretizzato in Egitto
attraverso diverse misure tese a dare una forte scossa all’economia
locale: esempi di queste misure possono essere i piani quinquennali
pensati per lo sviluppo energetico-economico, le riforme agrarie del
1952, le nazionalizzazioni del 1961 e il controllo statale delle
industrie produttive e delle banche del Paese. Lo Stato si assume quindi
la piena responsabilità dei problemi principali di un Paese ancora poco
sviluppato come quello egiziano, tentando, con ampie nazionalizzazioni e
con un intervento a tutto campo nell’economi, di migliorare le
condizioni di vita dei suoi cittadini, puntando così al superamento
della divisioni in classi della società, piaga ormai secolare
dell’Egitto.
Sebbene molti studiosi siano concordi
nel definire il socialismo nasseriano molto pragmatico, un’ideologia
delineata lungo il corso degli eventi, è possibile comunque fissarne
analiticamente le principali istanze: «[1] il sentimento della
collettività come di un organismo stabile e onnicomprensivo (…) [2] la
centralità dell’esperienza religiosa (…) [3] l’importanza essenziale che
il possesso della terra ha avuto per confermare un’autorità, e quindi
per la gestione del potere» (Campanini, 1987: 42).
Il sentimento della collettività veniva
letto da Nasser sotto la lente del panarabismo, ideologia che avrebbe
permesso alle popolazioni arabe di unirsi nello scontro con il
colonialismo occidentale. L’Egitto avrebbe dovuto assumere un ruolo
guida nel portare le masse ad abbracciare le idee del panarabismo, e in
effetti, come si è avuto modo di osservare, il leader degli Ufficiali
Liberi si è particolarmente speso per tale causa. Ulteriore punto
interessante risulta essere il terzo, in quanto esso richiama
quell’esigenza di giustizia sociale che fu il grido rivoluzionario non
solo dell’esercito, ma anche dei Fratelli Musulmani e, in generale,
delle opposizioni al protettorato britannico: «La rivoluzione è stata
fatta affinché la terra egiziana venga distribuita agli egiziani.
L’Egitto per noi e noi per l’Egitto» (Campanini, 1987: 53).
L’elemento religioso si configura invece
come una delle chiavi di volta per comprendere la distanza tra il
socialismo europeo e quello nasseriano. Il marxismo, nella sua
impostazione teorica, poggia infatti sulle basi del materialismo
storico, ideologia che invece è rigettata da Nasser e dagli altri
esponenti del socialismo arabo. La religione assume un ruolo centrale
nel socialismo arabo, rappresentandone la base etica; tale concetto è
bene espresso in un discorso del presidenze egiziano del 1966: «Il
nostro problema è un’ingiusta redistribuzione (dei redditi) tra le
classi. Dobbiamo far sì che il reddito nazionale venga suddiviso tra
tutto il popolo. In questo modo avremo applicato i principi dell’Islam»
(Campanini, 1987: 61).
Dalla base religiosa del socialismo
arabo scaturiscono interessanti corollari, quali ad esempio l’attenzione
verso l’individuo, la persona, che non deve risultare annullato nella
collettività, e il rispetto della proprietà privata. Sono questi temi
che lo stesso Nasser sottolinea nel rimarcare la distanza tra il
comunismo e la sua politica sociale ed economica:
«I comunisti grazie al loro comunismo sono diventati delle macchine nell’apparecchio della produzione collettiva, mentre prima erano uomini dotati di una propria volontà! Hanno rinnegato la religione (…) hanno rinnegato la persona umana (…). La sola realtà è lo Stato; hanno rinnegato la libertà perché la libertà è una manifestazione della fiducia della persona umana nelle sue possibilità (…). Noi Egiziani … Noi Arabi … Noi musulmani e cristiani di questa parte del mondo … Noi abbiamo fede in Dio, nei suoi angeli, nei suoi libri, nei suoi profeti e nella risurrezione …(…). Quel che ci separa dal comunismo sia nella teoria del governo che nelle regole di vita, è che il comunismo è una religione … e noi abbiamo già la nostra religione. Non lasceremo mai la nostra religione per il comunismo» (Daumal e Leroy, 1970: 164-165).
Riepilogando: il materialismo storico,
la lotta tra le classi come motore della storia, la collettivizzazione
della proprietà privata sono elementi estranei al socialismo arabo, che
invece poggia sui princìpi dell’Islam, ritenuti validi e fondamentali
per la costituzione di una società progredita. È l’elemento religioso la
vera molla della lotta per la giustizia sociale e distributiva.
La crisi del nasserismo e il riemergere dei movimenti islamisti
I provvedimenti in campo sociale, le
nazionalizzazioni attuate dal presidente egiziano riuscirono solo in
parte nel loro intento di migliorare la situazione economico-sociale
egiziana: i piani quinquennali non ebbero grandi risultati e la
corruzione a livello burocratico raggiunse livelli più che allarmanti.
La seconda durissima repressione dei Fratelli Musulmani tra il 1965 e il
1966 intaccò inoltre fortemente la figura di Nasser, ormai consapevole
delle difficoltà di unire un intero popolo a sostegno dell’ormai datata
rivoluzione del 1952. Ma il colpo più duro per il leader degli Ufficiali
Liberi sarà la sconfitta nella Guerra dei Sei Giorni (5-10 giugno
1967), dove le armate egiziane mostrarono un’imbarazzante
disorganizzazione, non riuscendo ad arginare gli attacchi di Israele
che, in pochi giorni, sbaragliò la coalizione formata dai diversi Paesi
arabi. Crollò così drasticamente la popolarità di Nasser, provocando
inoltre una grave crisi all’interno dell’intellettualità arabo-islamica:
le ragioni della sconfitta vennero infatti additate nell’abbandono dei
precetti islamici in nome del nazionalismo e del socialismo, concetti
allogeni rispetto alla cultura e al mondo arabo. Si spalancheranno così
le porte a quelle rivendicazioni islamiste che, rifiutando in toto
la modernità di stampo occidentale, cercheranno nuovamente nella
religione islamica le fondamenta per una ricostruzione della società,
rivendicazioni che, nei casi più drammatici, sfoceranno nel terrorismo e
nella lotta armata contro il potere costituito.
Dialoghi Mediterranei, n.25, maggio 2017
Riferimenti bibliografici
Bagozzi M., La Rivoluzione panaraba di Gamal Abd al-Nasser, in Nasser, Filosofia della rivoluzione, All’insegna del Veltro, Parma, 2011
Campanini M., Socialismo arabo. La teoria del socialismo in Egitto, Centro Culturale Al Farabi, Palermo, 1987
Campanini M., Storia del Medio Oriente, Il Mulino, Bologna, 2006
Daumal J. e Leroy M., Nasser. La vita, il pensiero, i testi esemplari, Accademia-Sansoni, Milano, 1981
Minganti P., L’Egitto Moderno, Sansoni, Firenze, 1959
Minganti P., Vicino Oriente, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1979
Nasser G., Filosofia della rivoluzione, All’insegna del Veltro, Parma, 2011
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