Una nave spagnola recupera i profughi. Ma «Il Giornale» scopre che l'intervento era concordato
Fausto Biloslavo
- Sab, 17/03/2018 - 08:08
Prima la nave della Ong spagnola Proactiva
Open Arms va a recuperare i migranti in mare a colpo sicuro avvisati
della loro partenza e posizione. Poi non rispetta l'ordine del centro di
soccorso di Roma di allontanarsi perchè il «comando della scena» del
salvataggio spetta alle motovedette libiche, che avrebbero riportato
tutti indietro.
E gli «umanitari» pure protestano
spacciandosi per vittime se i libici cercano di fermarli. Alla fine il
governo italiano, che all'inizio non voleva far sbarcare i migranti,
cala le brache e permette l'attracco.
«Il Giornale» ha ricostruito l'ennesima battaglia navale fra la Ong Open arms e le motovedette libiche di giovedì al largo della Libia. Al mattino presto tre barconi partono dall'area costiera di Qoms ad est di Tripoli. Nessuno manda una richiesta di aiuto all'Imrcc, il comando di Roma, che coordina le operazioni di salvataggio. Un elicottero italiano sorvola i barconi intercettandoli ad una quarantina di miglia dalla costa. La nave di Open arms con i suoi gommoni veloci, guarda caso si stava dirigendo proprio verso i gommoni in mezzo al mare, come se fosse stato organizzato un appuntamento. «Ci sono contatti e comunicazioni fra le Ong in mare ed i trafficanti, che avvisano quando partono i barconi. Talvolta posiziono le motovedette a 5 miglia dalle navi delle organizzazioni umanitarie e come per magia arrivano i migranti» spiega al «Giornale» da Tripoli, Abujela Abedlbari, il comandante della squadra navale libica rimessa in piedi dall'Italia. Grazie al centro di coordinamento libico con la Marina italiana viene fatta partire la motovedetta Gamines. I libici spediscono il primo fax al comando di Roma, in possesso del «Giornale», per assumere «il comando della scena» di salvataggio. Il comandante scrive a mano «per favore dite ad Open arms di rimanere fuori dalla vista» dei migranti, che altrimenti si gettano in mare per raggiungere gli umanitari. La motovedetta raggiunge il primo barcone, ma l'Ong è già presente sul posto. Allora punta sul secondo e riesce a recuperare 120 migranti senza incidenti. Alle 16.15 i libici fanno partire una seconda motovedetta, la Ras Jadir, «su segnalazione della guardia costiera italiana» ed inviano un'altra comunicazione scritta all'Imrcc a Roma che conferma il ruolo di «comando sulla scena» del soccorso. Il centro dei soccorsi italiano chiede ad Open Arms di allontanarsi, ma la Ong se ne frega, nonostante abbia firmato il codice di condotta del Viminale impegnandosi «a non ostacolare la guardia costiera libica». Quando la seconda motovedetta arriva sul posto la nave umanitaria ha già lanciato i gommoni veloci per non mollare la preda. «È sempre la stessa storia, ma se le Ong continueranno a comportarsi così il flusso migratorio verso l'Italia non si fermerà mai» sottolinea il comandante Abujela. In mezzo la mare i libici minacciano di usare le armi se gli umanitari non abbandonano l'area, ma non sparano un solo colpo. Oscar Camps, il capo dell'operazione, twitta: «La guardia costiera libica ci minaccia di sparare per uccidere se non consegnamo loro le donne e i bambini che abbiamo salvato».
La situazione è tesa. «I migranti sul barcone ci gettavano contro quello che avevano ed un gruppo si è tuffato in mare perchè volevano farsi recuperare dalla Ong per andare in Italia - racconta il comandante da Tripoli - Non è vero che li abbiamo messi noi in pericolo. Anzi, per evitare tragedie ho dato l'ordine di ritirarci». Alcuni migranti sarebbero anche stati fatti salire a bordo dei gommoni di Open Arms dagli stessi libici. La grancassa della disinformazione umanitaria ha già mobilitato altre Ong sui social, l'Arci e del senatore Luigi Manconi che denuncia il «gravissimo atto intimidatorio, al limite della pirateria» dei libici.
«Il Giornale» ha ricostruito l'ennesima battaglia navale fra la Ong Open arms e le motovedette libiche di giovedì al largo della Libia. Al mattino presto tre barconi partono dall'area costiera di Qoms ad est di Tripoli. Nessuno manda una richiesta di aiuto all'Imrcc, il comando di Roma, che coordina le operazioni di salvataggio. Un elicottero italiano sorvola i barconi intercettandoli ad una quarantina di miglia dalla costa. La nave di Open arms con i suoi gommoni veloci, guarda caso si stava dirigendo proprio verso i gommoni in mezzo al mare, come se fosse stato organizzato un appuntamento. «Ci sono contatti e comunicazioni fra le Ong in mare ed i trafficanti, che avvisano quando partono i barconi. Talvolta posiziono le motovedette a 5 miglia dalle navi delle organizzazioni umanitarie e come per magia arrivano i migranti» spiega al «Giornale» da Tripoli, Abujela Abedlbari, il comandante della squadra navale libica rimessa in piedi dall'Italia. Grazie al centro di coordinamento libico con la Marina italiana viene fatta partire la motovedetta Gamines. I libici spediscono il primo fax al comando di Roma, in possesso del «Giornale», per assumere «il comando della scena» di salvataggio. Il comandante scrive a mano «per favore dite ad Open arms di rimanere fuori dalla vista» dei migranti, che altrimenti si gettano in mare per raggiungere gli umanitari. La motovedetta raggiunge il primo barcone, ma l'Ong è già presente sul posto. Allora punta sul secondo e riesce a recuperare 120 migranti senza incidenti. Alle 16.15 i libici fanno partire una seconda motovedetta, la Ras Jadir, «su segnalazione della guardia costiera italiana» ed inviano un'altra comunicazione scritta all'Imrcc a Roma che conferma il ruolo di «comando sulla scena» del soccorso. Il centro dei soccorsi italiano chiede ad Open Arms di allontanarsi, ma la Ong se ne frega, nonostante abbia firmato il codice di condotta del Viminale impegnandosi «a non ostacolare la guardia costiera libica». Quando la seconda motovedetta arriva sul posto la nave umanitaria ha già lanciato i gommoni veloci per non mollare la preda. «È sempre la stessa storia, ma se le Ong continueranno a comportarsi così il flusso migratorio verso l'Italia non si fermerà mai» sottolinea il comandante Abujela. In mezzo la mare i libici minacciano di usare le armi se gli umanitari non abbandonano l'area, ma non sparano un solo colpo. Oscar Camps, il capo dell'operazione, twitta: «La guardia costiera libica ci minaccia di sparare per uccidere se non consegnamo loro le donne e i bambini che abbiamo salvato».
La situazione è tesa. «I migranti sul barcone ci gettavano contro quello che avevano ed un gruppo si è tuffato in mare perchè volevano farsi recuperare dalla Ong per andare in Italia - racconta il comandante da Tripoli - Non è vero che li abbiamo messi noi in pericolo. Anzi, per evitare tragedie ho dato l'ordine di ritirarci». Alcuni migranti sarebbero anche stati fatti salire a bordo dei gommoni di Open Arms dagli stessi libici. La grancassa della disinformazione umanitaria ha già mobilitato altre Ong sui social, l'Arci e del senatore Luigi Manconi che denuncia il «gravissimo atto intimidatorio, al limite della pirateria» dei libici.
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