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mercoledì 31 maggio 2017

Libia, chi c’è dietro il massacro di Brak al-Shati

24 maggio 2017


di Rocco Bellantone
Il massacro nella base aerea di Brak al-Shati rischia di far deragliare sul nascere la prima intesa per la risoluzione libica raggiunta lo scorso 2 maggio ad Abu Dhabi tra il premier del Governo di Accordo Nazionale Faiez Al Serraj e il generale Khalifa Haftar. Le 140 vittime del 18 maggio scorso, per lo più soldati Libyan National Army (LNA) ma anche civili, verranno infatti presto vendicate dalle forze agli ordini di Haftar con altri spargimenti di sangue.

I fatti

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La base aerea di Brak al-Shati si trova 650 chilometri a sud rispetto a Tripoli, nel distretto di Wadi al-Shati nella regione del Fezzan. Dal dicembre scorso è sotto il controllo del Libyan National Army, la principale forza militare libica agli ordini del generale Haftar. Nell’attacco del 18 maggio sono state uccise oltre 140 persone, in prevalenza soldati del 12° battaglione, oltre a decine di civili. L’offensiva è stata improvvisa. I militari dell’LNA sono stati colti alla sprovvista, colpiti nel momento in cui rientravano alla base al termine di una parata militare.


I vertici dell’LNA hanno inizialmente puntato il dito contro il comandante islamista Ahmed Abduljalil Al-Hasnawi di Bengasi, accusato di aver pianificato e realizzato l’attacco contro la base di Brak al-Shati con il supporto del 13° battaglione e delle Brigate di Difesa della città della Cirenaica. In un secondo momento da Bengasi i riflettori si sono però spostati su Misurata e, nella fattispecie, sulla 13° Brigata (ex Terza Forza) formalmente agli ordini del GNA di Al Serraj.

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(Un’immagine satellitare della base aerea di Brak al-Shati)

Chiamato in causa dall’LNA, il Consiglio presidenziale libico guidato da Al Serraj ha dichiarato di essere estraneo alla vicenda. Il ministro della Difesa del GNA, Mahdi Al Barghati, e il comandante della 13° Brigata, Jamal Al Treiki, sono stati temporaneamente sospesi dal loro incarico. È stata istituita una commissione per indagare su quanto avvenuto. A coordinare le indagini sono il ministro della Giustizia, Mohamed Abdulwahid, e il ministro dell’Interno, Aref Khoja. A loro Al Serraj ha dato 15 giorni di tempo per presentare un rapporto dettagliato. Fino ad allora tutte le forze militari che rispondono al GNA non dovranno intraprendere azioni di alcun tipo, escluse quelle di autodifesa.

Sul ruolo del ministro Al Barghati e del comandante Al Treiki ormai non sembrano esservi più dubbi. Al Barghati, pur non ammettendo di essere a conoscenza dell’offensiva su Brak al-Shati, ha dichiarato che la colpa di quanto accaduto è da attribuire a «coloro che hanno iniziato a bombardare la base di Tamenhant con caccia e tank», riferendosi all’offensiva lanciata un mese fa da forze agli ordini di Haftar contro la base situata nei pressi di Sebha e controllata proprio dall’ex Terza Forza guidata da Al Treiki. La mattanza di Brak al-Shati, pertanto, va interpretata in risposta a quell’offensiva. Ma non solo.

La reazione dell’esercito di Haftar

La reazione del Libyan National Army non si è fatta attendere. Il portavoce dell’esercito della Cirenaica, Ahmed Mismari, ha promesso una «dura risposta» all’attacco a Brak al-Shati. «La rappresaglia andrà avanti e non ci sarà il rispetto di alcun cessate il fuoco», ha aggiunto Mismari facendo riferimento alla tregua che era stata concordata ad Abu Dhabi a inizio maggio tra le forze fedeli al GNA e quelle agli ordini di Haftar. E una prima risposta da parte dell’LNA c’è già stata con raid della sua aviazione contro la base aerea di Jufra, situata sempre nel Fezzan nella parte centrale della Libia e sotto il controllo delle milizie di Misurata.

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(Da sinistra il generale Haftar e il premier del GNA Al Serraj) 

È prevedibile che a questa offensiva ne seguiranno altre nei prossimi giorni. Ciò che invece è improbabile è che l’appello lanciato dal GNA affinché si rispetti un cessate il fuoco nel sud del Paese, possa tradursi in qualcosa di concreto. Lo dimostrano gli scontri del 19 maggio nella città orientale di Slouq, dove in un’imboscata di fronte a una moschea è stato ucciso Sheikh Ibrayek Alwati, un capo tribù locale legato ad Haftar, insieme ad altre cinque persone tra cui uno dei suoi figli. A ciò si aggiunge l’uccisione di Fadl Al-Hassi, comandante delle forze speciali Saiqa (corpo d’élite dell’LNA), ucciso in un attentato a Bengasi il 20 maggio.

Il rischio nell’immediato è che lo scontro tra le milizie di Misurata e le forze affiliate ad Haftar assuma proporzioni sempre più ampie: non solo attentati e attacchi improvvisi, ma anche combattimenti in campo aperto con l’uso di caccia e artiglieria pesante.

Chi ha interesse a far deragliare l’intesa

I fatti di Brak al-Shati dimostrano almeno due cose. La prima conferma l’inconsistenza politica del GNA di Al Serraj. Il premier, infatti, non solo non ha il controllo della capitale Tripoli ma neanche dei componenti del suo stesso esecutivo (il ministro della Difesa Al Barghati) e dei suoi alleati (la 13° Brigata di Misurata).

L’altro aspetto da tenere in considerazione rimanda proprio a Misurata. È da questa città, da cui sono partite le milizie che hanno permesso al GNA di estirpare la minaccia di ISIS da Sirte, che sono piovute le critiche più dure nei confronti dell’intesa tra Al Serraj e Haftar. Se Al Serraj non tiene conto del peso politico e militare di Misurata, continuerà a trovarsi contro un “alleato” difficilissimo da gestire.

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(Il ministro della Difesa del GNA Mahdi Al Barghati)

Attaccando l’esercito di Haftar a Brak al-Shati, Misurata ha voluto ribadire proprio questo concetto, vale a dire che nel futuro della Libia deve essere assegnato un ruolo di primo piano anche alle forze che sono espressione di questa città. Quali siano queste forze, e quali interessi perseguano, è un altro problema che Al Serraj e lo stesso Haftar dovranno affrontare. La città è infatti spaccata in due, con da una parte una cerchia di milizie che spalleggiano il deposto Governo di Salvezza Nazionale dell’ex premier Khalifa Ghwell e dall’altra il cosiddetto “Quartetto” di gruppi armati (guidati dai comandanti Bishr, Ghneiwa, Tajouri e Abdul Raouf) che invece sostiene esponenti del GNA. In mezzo c’è Al Serraj, che di fatto non ha presa né sull’una né sull’altra parte.


Cosa c’entrano Bengasi e Al Qaeda?

Nei giorni che sono seguiti alla strage di Brak al-Shati, sono stati chiamati in causa altri due attori accusati di essere coinvolti nell’attacco, vale a dire le milizie islamiste di Bengasi e i gruppi jihadisti che nelle vaste aree desertiche del sud della Libia – lungo i confini con Algeria, Niger, Ciad e Sudan – si contendono i ricchi traffici illeciti di esseri umani, droga e armi.

La pista di Bengasi è stata quasi immediatamente scavalcata da quella di Misurata. Sul ruolo dei jihadisti, invece, peserebbe il fatto che tra le vittime di Bakr al-Shati sono stati ritrovati sia cadaveri con la testa mozzata sia corpi dati alle fiamme. Inoltre, stando a quanto dichiarato al giornale libico Libya Herald da Mohamed Lifrais, portavoce della 12a Brigata dell’LNA (quella che ha subito le maggiori perdite), tra i miliziani uccisi e quelli catturati nella controffensiva dell’esercito di Haftar, molti sarebbero di origine straniera: addirittura il 70% del totale, tra cui palestinesi, maliani e un canadese. Secondo Lifrais potrebbe pertanto trattarsi di foreign fighters al soldo di AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), filiale di Al Qaeda confluita recentemente nella nuova coalizione jihadista Jamaat Nasr Al islam wa Al mouminin a cui apparterebbe anche il signore della guerra Mokhtar Belmokhtar.



La sensazione è che però possa trattarsi di una mossa attuata da chi ha attaccato la base di Bakr al-Shati per depistare le indagini. E il fatto che lo stesso ministro Al Barghouthi, pur essendo stato sospeso dal suo incarico, abbia riunito nei suoi uffici a Tripoli i capi della coalizione di Misurata impegnati nell’operazione “Al Bunian al Marsus” (Edificio dalle fondamenta solide) tirando in ballo il ritorno del pericolo ISIS per la Libia, non fa che dare peso a questa ipotesi.

Nell’insieme, questi elementi dimostrano che è in atto in Libia una manovra per sabotare le trattative tra Al Serraj e Haftar, e in questa manovra di sabotaggio Misurata gioca un ruolo centrale. Se non si viene a capo di questo problema, qualsiasi altro tipo di negoziato – compresi gli ultimi ospitati a Ginevra – sarà destinato a fallire.

Preso da: http://www.lookoutnews.it/libia-brak-al-shati-massacro-milizie-misurata/

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