28 aprile 2017
La Libia “liberata” dagli Usa è diventata un colossale mercato degli schiavi. Lo dimostra un report di Carey Wedler su “Zero Hedge”, che accusa l’Occidente:
le stesse menti criminali, che hanno ridotto il territorio libico a
disgustoso “business di carne umana”, stanno cercando di fare la stessa
cosa in Siria. «È ben noto che l’intervento Nato a guida Usa del 2011 in Libia, con lo scopo di rovesciare Muhammar Gheddafi, ha portato ad un vuoto di potere
che ha permesso a gruppi terroristici come l’Isis di prendere piede nel
paese», premette Wedler. «Nonostante le conseguenze devastanti
dell’invasione del 2011, l’Occidente
è oggi lanciato sulla stessa traiettoria nei riguardi della Siria».
Ieri Obama ha stroncato Gheddafi con la scusa di “proteggere il popolo
libico”, e oggi – senza uno straccio di prova sulle responsabilità di
Assad nell’attacco coi gas – Trump minaccia di abbattere il regime
di Damasco. Ma, al netto della propaganda, «emergono sempre più
chiaramente i pericoli connessi all’invasione di un paese straniero e
alla rimozione dei suoi leader politici». Lo conferma il “Guardian”, con
«nuove rivelazioni sugli effetti collaterali degli “interventi
umanitari”: la crescita del mercato degli schiavi».
Il quotidiano inglese scrive che sebbene «la violenza, l’estorsione e
il lavoro in schiavitù» siano stati già in passato una realtà per le
persone che transitavano attraverso la Libia, recentemente il commercio
degli schiavi è aumentato». E oggi «la compravendita di esseri umani come schiavi viene fatta apertamente, alla luce del sole», scrive Wedler, in un post ripreso da “Voci dall’Estero”.
«Gli ultimi report sul ‘mercato degli schiavi’ a cui sono sottoposti i
migranti si possono aggiungere alla lunga lista di atrocità che
avvengono in Libia», afferma Mohammed Abdiker, capo delle operazioni di
emergenza dell’Iom, International Office of Migration, un’organizzazione
intergovernativa che promuove “migrazioni ordinate e più umane a
beneficio di tutti“, secondo il suo stesso sito web.
«La situazione è
tragica. Più l’Iom si impegna in Libia, più ci rendiamo conto come
questo paese sia una valle di lacrime per troppi migranti». Il paese
nordafricano viene usato spesso come punto di uscita per i rifugiati che
arrivano da altre parti del continente. Ma da quando Gheddafi è stato
rovesciato nel 2011, spiega Abdiker al “Guardian”, «il paese, che è
ampio e poco densamente popolato, è piombato nel caos della violenza: e i
migranti, che hanno poco denaro e di solito sono privi di documenti,
sono particolarmente vulnerabili».
Un sopravvissuto del Senegal, proveniente dal Niger, racconta che
stava attraversando la Libia insieme a un gruppo di altri migranti,
tutti in fuga dai paesi di origine. Avevano pagato un trafficante perché
li trasportasse in autobus fino alla costa, dove avrebbero corso il
rischio di imbarcarsi per l’Europa.
Ma, anziché portarli sulla costa, il trafficante li ha condotti in
un’area polverosa presso la cittadina libica di Sabha. Secondo quanto
riportato da Livia Manente, la funzionaria dell’Iom che intervista i
sopravvissuti, «il loro autista gli ha detto all’improvviso che gli
intermediari non gli avevano passato i pagamenti dovuti e ha messo
i passeggeri in vendita». Molti altri migranti hanno confermato questa
storia, aggiunge la Manente: i profughi descrivono «i vari mercati degli
schiavi, indipendenti l’uno dall’altro, e le diverse prigioni private
che si trovano in tutta la Libia». Le stesse storie, aggiunge la
funzionaria, sono confermate dai migranti che hanno trovato asilo
nell’Italia del sud.
Il sopravvissuto senegalese ha detto di essere stato portato in una
prigione improvvisata che, come nota il “Guardian”, in Libia è cosa
comune: «I detenuti all’interno sono costretti a lavorare senza paga, o
in cambio di magre razioni di cibo, e i loro carcerieri telefonano
regolarmente alle famiglie a casa chiedendo un riscatto. Il suo
carceriere chiese 300.000 franchi Cfa (circa 450 euro), poi lo vendette a
un’altra prigione più grossa dove la richiesta di riscatto raddoppiò
senza spiegazioni». Quando i migranti sono detenuti troppo a lungo senza
che il riscatto venga pagato, continua il “Guardian”, vengono portati
via e uccisi. «Alcuni deperiscono per la scarsità delle razioni e le
condizioni igieniche miserabili, muoiono di fame o di malattie, ma il
loro numero complessivo non diminuisce mai», sottolinea il quotidiano
britannico. «Se il numero di migranti scende perché qualcuno muore
o viene riscattato, i rapitori vanno al mercato e ne comprano degli
altri», dice ancora Livia Manente. Le fa eco Giuseppe Loprete, capo
della missione Iom in Niger: «È assolutamente chiaro che loro si vedono
trattati come schiavi», ha detto.
Loprete ha gestito il rimpatrio di 1.500 migranti nei soli primi tre
mesi dell’anno, e teme che molte altre storie e incidenti del genere
emergeranno man mano che altri migranti torneranno dalle coste libiche:
«Le condizioni stanno peggiorando, in Libia: penso che ci possiamo
aspettare molti altri casi nei mesi a venire». Ora, conclude Wedler,
mentre il governo degli Stati Uniti «sta insistendo nell’idea che un
cambio di regime
in Siria sia la soluzione giusta per risolvere le molte crisi di quel
paese», è ormai sempre più evidente che la cacciata dei dittatori – per
quanto detestabili possano essere – non è una soluzione efficace.
«Rovesciare Saddam Hussein non ha portato solo alla morte di molti
civili e alla radicalizzazione della società, ma anche all’ascesa
dell’Isis», sottolinea l’analista. «Mentre la Libia, che un tempo era un
modello di stabilità nella regione, continua a precipitare nel baratro
in cui l’ha gettata “l’intervento umanitario” dell’Occidente».
Un pozzo nero e senza fondo, nel quale «gli esseri umani vengono
trascinati nel nuovo mercato della schiavitù, e gli stupri e i rapimenti
affliggono la popolazione». Chi preme sulla guerra, conclude Wedler,
deve sapere che non farà altro che produrre «ulteriori inimmaginabili
sofferenze».
Preso da: http://www.libreidee.org/2017/04/schiavi-comprati-e-venduti-nella-libia-liberata-dagli-usa/
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