13 MAGGIO 2017
| di
Riccardo Noury
Oltre sei al giorno, secondo i dati del ministero
dell’Interno. Ma siccome le famiglie che non sporgono denuncia per
timore di rappresaglie sono molte, il numero dei sequestri di persona in Libia potrebbe essere molto più alto.
Già quel dato ufficiale ci dice chiaramente quanto l’assenza dello
stato di diritto stia alimentando il caos e l’illegalità e mettendo in
pericolo i civili. Qualcosa di cui, dolorosamente, abbiamo conoscenza anche in Italia.
Dal 2014, soprattutto nella Libia occidentale, sono scomparse centinaia di persone.
Una delle ultime in ordine di tempo è Salem Mohamed Beitelman,
docente di Ingegneria marittima presso l’Università di Tripoli, rapito
il 20 aprile mentre si stava recando al lavoro. La sua automobile è
stata rinvenuta abbandonata, alle 10 di mattina, poco lontano dalla sua
abitazione. Tutti i tentativi di rintracciarlo, da parte dei familiari,
non hanno avuto esito.
Il quartiere di Siyyad, dove Salem Mohamed Beitelman è stato rapito, è
sotto il controllo di numerose milizie, alcune delle quali dovrebbero
teoricamente operare sotto il controllo dei ministeri dell’Interno e
della Difesa. Nessuna milizia ha finora rivendicato il rapimento e non è
chiaro quale milizia stia tenendo Salem Mohamed Beitelman sotto
sequestro.
Le preoccupazioni per Salem Mohamed Beitelman derivano anche dal suo stato di salute, per il quale il rapito ha bisogno di costanti cure mediche.
Il caso di Salem Mohamed Beitelman è emblematico del costante pericolo rappresentato per i civili dalle milizie, che continuano a terrorizzare la popolazione con una brutale campagna di rapimenti.
La maggior parte dei rapimenti è eseguito allo scopo di estorcere il più alto riscatto possibile, ma in altri casi vi si ricorre per negoziare scambi di detenuti o per ridurre al silenzio oppositori, giornalisti e difensori dei diritti umani
che hanno denunciato l’operato delle milizie. Persone sono state rapite
a causa della loro presunta opinione politica o affiliazione tribale
oppure perché percepite come benestanti.
I gruppi armati e le milizie in lotta tra di loro commettono gravi violazioni dei diritti umani nella pressoché totale impunità. Anche quelle che operano alle dipendenze o sotto il comando dei ministeri dell’Interno e della Difesa del governo sostenuto dalle Nazioni Unite non sono sottoposte ad alcuna supervisione da parte delle autorità centrali.
Amnesty International continua a chiedere alla Corte penale internazionale,
che ha affermato di voler dare priorità nelle sue indagini ai crimini
commessi dai gruppi armati, di prendere in esame i crimini commessi da
tutte le parti in causa a partire dal 2011. Finora, non vi è stata
alcuna indagine degna di questo nome sui crimini commessi dai gruppi
armati affiliati ai governi succedutisi in Libia.
Quanto alla comunità internazionale, sarebbe importante che nei
negoziati con le varie milizie e tribù e coi gruppi politici libici
venisse posto sul tavolo il fenomeno dei rapimenti. Ricevere finanziamenti mentre contemporaneamente ci si arricchisce chiedendo riscatti per i sequestrati non farà altro che alimentare ulteriormente il ciclo dell’impunità.
Preso da: http://lepersoneeladignita.corriere.it/2017/05/13/libia-ondata-senza-fine-di-rapimenti/
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